INDEX_EPOCA_2002_2008

 

 

 

I.P. CAPOZZI

LA METEMPSICOSI  NELL'ANIMISMO DEI SICULI 

 

 

 

I. IL SIGNIFICATO ANIMISTICO DEL TOTEMISMO.

 

Secondo una dottrina formatasi nella mentalità dell'uomo primitivo e sopravvissuta anche in tempi storici, gli spiriti - cioè le anime dei defunti - potevano scegliere la propria sede anche nel corpo di alcuni animali ed è questa la spiegazione del totemismo segnalato dalla odierna jerologia o scienza delle religioni. Com'è noto, il totem - per alcune popolazioni selvagge d'oggidì - è un animale ritenuto sacro da quelle tribù che ad esso rapportano anche la propria origine. Ora è ovvio, che in nessun modo l'uomo può credersi derivato da una specie animale se non ammettendo che lo spirito dell'antenato divinizzato si sia reincarnato in un corpo bestiale. In tal modo il totemismo riesce comprensibile e può essere avvicinato alla dottrina della metem- psicosi ed alla più vasta dottrina dell'animismo . All'animismo si ricollega anche il tanto deplorato feticismo, il quale diventa com- prensibile come il culto di una pianta e anche di una pietra, non considerate tali, ma come la sede di uno spirito designato all'umana venerazione. Il feticismo pertanto (e così pure il totemismo, cui voglia estromettersi l'interpretazione animistica) farà torto più al moderno scienziato che all'uomo selvaggio. Ciò premesso, farò una breve esegesi di quello che potrebbe chiamarsi esoterismo delle origini italiche e mediterranee. Prendo lo spunto dalla notizia di un'antico scrittore - Eliano - secondo il quale ben mille cani erano posti a guardia del tempio di Adrano sulle pendici etnee. Adrano era la più grande divinità degli antichi Siculi, popo- lazione discesa ad occupare le opime campagne e i monti della Trinacria bella, dopo epiche vicissitudini occorse nella Penisola e troppo a torto dimenticate o trascurate dagli storici dell'Italia moderna.
 

II. SICULI E ITALICI. 

Vale pertanto la pena di ricordare che i Siculi sono ricordati nelle nostre più antiche memorie come gli occupatori pre-latini del Lazio da cui furono scacciati quando i Pelasgo-Tessali sospinti dall'oracolo di Dodona, sopraggiunsero al rincalzo degli Ausoni che calavano dalle montagne dell'Abruzzo. Gli Ausoni, detti pure Aborigeni, Averunchi, Opici, Osci ed Enotri, di tipo umano a cranio dolicomorfo e di provenienza africana, avevano popolato l'Italia dal Sud, mentre i Liguri -loro affini di razza e che chiamavano se stessi Ambroni - avevano invaso la Penisola dalle Alpi occidentali occupando la pianura settentrionale e il versante tirrenico. Un terzo elemento era, però, sopravvenuto dalle Alpi orientali con gli Umbri, i quali superato anche l'Appennino, aveva occupata quella che fu poi la Toscana. In tal modo quei Liguri che col nome di Siculi si erano spinti nel Lazio, impediti di retrocedere e premuti dalla riscossa ausone che calava dalle montagne, procedettero verso mezzogiorno ove furono ancora battuti sui Campi Flegrei, finché ripararono oltre lo Stretto, lasciando delle retroguardie nella penisola calabra domate più tardi dai colonizzatori elleni. Nella Trinacria i Siculi si sovrapposero ai Sicani, coi quali la odierna critica vorrebbe identificarli, e crearono una civiltà della quale ci sono rimaste delle vaghe rimembranze che accennano anche ad interferenze storiche con l'isola di Creta. Dopo il Xsecolo av. E. V. i Fenici ne intrapresero la colonizzazione dalla vicina Libia; ma più vasta ed efficace vi si affermò dall'oriente la espansione ellenica, la quale con Siracusa costituì uno stato potente emulo di Cartagine. Questi Sicelioti derivarono dalla fusione degl'immigrati Elleni con gl'indigeni, ma i Siculi dell'interno, rimasti indipendenti, salvarono un'vasto patrimonio di civiltà e di credenze religiose, che riuscì a coesistere ed in parte a fondersi con la civiltà dei sopravvenuti. Con l'eroe nazionale Ducezio tentarono anche la riscossa verso la metà del v secolo. Era l'epoca in cui gli Italici con i Japigi sul versante jonico e i Sabelli sul campo tirrenico, iniziarono quella vigorosa reazione che Roma, sotto gli auspici di Giove, doveva, portare alla vittoria, nel giro di tre secoli contro i Greci, i Fenici, i Celti e gli Illiri che nel Meridione, nelle Isole nostre, nella Padana e nella Liburnia avevano gravemente violato i territori di quella che Plinio dice : " Italia sacra agli iddii ". Della permanenza dei Siculi nel Lazio e dell'affinità etnica con gli stessi Ausoni, o Enotri, rimasero però varie reminiscenze tardivamente registrate dai primi storici: i quali riferiscono che Italo, rè ausone, ebbe Morgete e Siculo come figli. Vedremo adesso quali analogie sussistessero anche nelle dot- trine religiose, se la tesi che vado ad enunciare desumendola da indizi, rievoca una realtà storica.

 

III. - INTERFERENZE EGIZIE IN SICILIA.

 

I Siculi invadendo la Trinacria Orientale ne ricacciarono verso la punta occidentale i Sicani, primi abitatori dell'isola. Dobbiamo considerare questi Sicani dello stesso ceppo ausonico e quindi riconnettere anche ad essi quei miti atlantidi menzionati da Diodoro. Il più antico di questi miti è quello di Saturno che avrebbe regnato sull'Africa, la Sicilia e l'Italia e combattuto infelicemente per conquistare l'Egitto e finalmente, sconfitto sulle rive del Tartesso (fiume Beti, poi Guadalquivir) nell'Iberia avrebbe cercato riparo in Italia dove sul Campidoglio sorgeva la sua metro- poli e alle fauci del quale avrebbe avuto la tomba, su cui sorse un tempio a lui dedicato che costituisce a tutt'oggi il più cospicuo relitto archeologico del Foro Romano. Le cinte fortificate che si vedevano anticamente sulle vette di alcuni monti in Sicilia e chiamate cranio. - da Crono o Saturno - ricordavano il suo antico dominio nell'Isola e gli erano sacre. Il disastro di Saturno sul Tartesso sarebbe celato, secondo alcuni, nel mito dei Titani o Uranidi precipitati nel Tartaro. Così pure il ricordo della sua spedizione contro l'Egitto, sopravviverebbe nel mito dell'Atlantide di Fiatone, perché effettivamente le iscrizioni faraoniche del Delta odiernamente ritrovate, ricordano vari attacchi di genti libiche. Attacchi respinti, ma che non impedirono l'infiltrazione etnica nelle milizie e l'esaltazione al trono con l'avvento di dinastie di origine libica. Il che sarebbe in rapporto con la notizia mitostorica del regno di Giove - figlio di Saturno - stabilito sull'Egitto ad opera di Dioniso (Osiride). Del resto le iscrizioni egizie dicono che i Libi attaccinti avevano come alleati i Sakala e i Shardonos nei quali la moderna critica vuole riconoscere delle popolazioni asiatiche e non - come sarebbe più plausibile - i Siculi e i Sardi delle isole italiane. Nel referto platonico è detto che gli Atlantidi, che già impe- ravano su tutto l'Occidente sino alla Tirrenia e cioè all'Italia, fecero impeto verso Oriente per conquistare l'Egitto, la Grecia e che poi soggiacquero al grande disastro tellurico che inabissò il loro paese . Dal fatto che i Pelasgo - Tirreni d'Italia rurono fune- stati da cataclismi che staccarono fra l'altro la Sicilia dal conti- nente - secondo le memorie accennate da Dionigi d'Alicarnasso - dedussero alcuni autori italiani - (Maazzoldi e Ravioli verso il 1850) la identificazione dei due disastri e conseguentemente dell'Italia con l'Atlantìde, la quale solo per una falsificazione di Fiatone sarebbesi traslatata nell'Oceano oltre le colonne d'Ercòle. Comunque sui rapporti della Sicilia e delle terre italiane con l'Africa e l'Egitto, sussistono i seguenti elementi ed indizi : 

1) l'unità del tipo umano riconosciuta dagli antropologi e anche da alcuni storici fra i quali il difficilissimo Pais;

 2) l'esistenza di popolazioni italiche denominate come Libi;

 3) la precisa notizia di Pausania sulle immigrazioni maure in Sardegna e in Corsica ; 

4) le invasioni africane in antico e nel Medio Evo, coi Cartaginesi e gli Arabi ; 

5) la mitostoria degli Atlantidi con i presunti regni di Saturno sull'Africa e l'Italia e di un presunto Atlante Italico;

 6) le invasioni di genti d'oltre mare in Egitto (Sakala e Shardanos) riferite dalle superstiti iscrizioni faraoniche ; 

7) il culto egizio del Sole Ammone che ebbe il suo centro principale in Tebe e del quale si trovano tracce sino alla Mauritania e nel dio Iperione di Sicilia ;

 8) la dottrina precipuamente egizia della metempsicosi e della reincarnazione che affiora nei 'ricordi mitostorici della Penisola e della Sicilia e che precedette in Italia la propaganda pitagorica e quella orfica; 

9) la fortunata propagazione ch'ebbe in Italia l'orfismo del quale la divinità centrale è quella di Dioniso eh'è stata giustamente assimilata con Osiride ; 

10) il fatto che la più lunga iscrizione etrusca è stata rinvenuta sulle fasce di una mummia proprio in Egitto ; 

11) l'usanza di popolazioni italiche di tingersi in rosso specialmente il viso. 

Facendo grazia, per brevità; degli altri argomenti, mi soffermo sull'ultimo, ricordando, anche a proposito del preteso regno egizio di Giove Saturnide, il fatto che il simulacro del nume capitolino aveva la faccia tinta in rosso. Ora nei trionfi, anche il trionfatore, nel quale si considerava come incarnato il dio, aveva la faccia imbellettata. Il che era in uso presso alcune popolazioni italiche come i Dauni della Puglia ed anche nei riti funebri, perché le ossa dei defunti, dopo la naturale scarnificazione, venivano tinte con l'ocra e poi definitivamente tumulate. Ma l'usanza - per tacere l'imbellettamento delle europee d'oggidì - era d'origine africana e sopravvive presso i Tuareg del, Sahara: ne Indagheremo in altra occasione il significato religioso.

 

 

IV - Il DIO ADRANO E I PALIKOI

 

Italo identificato,con Pico Martio,apparisce come figlio di Saturno e padre di Morgete e di Siculo.Ma con Italo può anche identificarsi quell`Atlante Italico accennato da Eusebio e soprattutto Adrano che costituiva la massima divinità nazionale dei Siculi.Foneticamente Italo,Atlas e Adrano sono tre nomi che si basano sullo stesso tema.Ma Pico Martio figlio di Saturno e padre di Fauno – tutti re ausoni – era tutt`uno col dio Quirino rappresentato nel simulacro di una lancia nel santuario di Triora ed al quale erano sacri due animali: il picchio e la lupa.Questi due animali appariscono sul fico ruminale in connessione coi gemelli Romolo e Remo alle origini di Roma.

In quanto al picchio,la maga Circe avrebbe trasformato in quell`uccello,il re pico Martio,il quale fu divinizzato sotto il nome di Quirino come più tardi il re Romolo:il cui potrebbe significare che Romolo costituiva una reicarnazione di Pico Martio,perché Re Silvia sarebbe divenuta madre ad opera appunto del dio Marte.

Omettendo altri dati e considerazioni,osservo che Adrano,dio siculo,era rappresentato con la lancia,in mano come un dio guerriero ed a lui era sacro il cane,animale questo,ch`è molto vicino al lupo se non identico al lupo.Aggiungo che Adrano era considerato come padre dei due Palikoi o Palici,la identificazione col Marte latino - o Quirino,o Pico Martio,o Italo,ecc. – mi sembra autorizzata anche la paternità di Romolo e Remo attribuita appunto a Marte.

Se,dunque,Adrano non è altro che Marte,e ciò il re Italo deificato,padre appunto di Siculo,bisogna però riconoscere che in Sicilia esso prese un  carattere locale proprio dell`Isola perché Adrano era anche il dio del fuoco.Infatti sebbene adorato in tutta la Sicilia,il suo tempio principale sorgeva sulle pendici dell`Etna e i due suoi figli,i Palici,costituivano la personificazione delle acque calde e sulfuree e furono assimilati ai Cabiri di Samotracia ch`erano appunto figli di Efesto o Vulcano.

Questo particolare aspetto di Adrano ,non era pertanto esclusivo della Sicilia ma soltanto più accentuato e caratteristico,perché  anche nella Penisola i Peligni(denominati se stessi Palacini) avevano Palicus come eroe eponimo rappresentato come un dio con gli attributi di Efesto o Vulcano.

Il tempio di Palikoi augusto per antichità e venerazione sorgeva – ornato di portici – in una magnifica località della regione orientale dell`isola,nei pressi di due crateri(corrispondenti all`odierno lago di Naftia)che ribollivano di acqua,che si elevava altissima con boato ed emanazioni sulfuree.Il mistero delle forze sotteranee ivi operanti conferiva al luogo un terrore religioso,che lo rendeva sacro asilo per schiavi e ne faceva inviolabili i giuramenti e innappellabili i giudizi.

Tali giudizi emessi probabilmente dal sacerdote,dovevano avere carattere di oracolo,attesochè si attribuiva alle emanazioni telluriche la facoltà d`inspirare l`estasi profetica.

 

 

V - LA DEA MADRE E LE COLOMBE DI ERICE

 

Il tempio di Afrodite sul Monte Erice costituiva il santuario della Sicilia occidentale,nel quale – è sintomatico – erano custoditi,non certo a scopo di guardia,cinque cani quasi in corrispondenza degli altri mille consacrati nel santuario di Adrano nella regione orientale dell`isola.Si è opinato che l`Afrodite di Erice,nella quale i Romani riconoscevano la loro Venere,madre di Enea,derivasse dall`Astarte fenicia.Ma è da ritenersi che in origine,prima della influenza politica dei dominatori stranieri,la divinità ivi adorata,fosse quella che potrebbe denominarsi la Dea Madre,nella quale le stirpi mediterranee vollero riassumere tutte le qualità eccelse della donna: la bellezza,la bontà,il fascino trascinante,la fecondità,la maternità,lo spirito di protezione e di consolazione,la soave sofferenza,l`intuizione estatica dell`Arcano,il tramite con l`invisibile stesso. Il preciso nome indigeno,che per Erice scomparve sotto l`influenza straniera,credo che si debba riconoscere in quello conservato in un altro tempio delle regione etnea dedicato alla dea Iblea,la quale,secondo gli scrittori greci,era onorata dai Siculi come nessun`altra divinità dell`Isola e riconosciuta appunto come indigena.

La iscrizione “Veneri Victrici Iblensi” rinvenuta presso Paternò,autorizza la identificazione di Venere Afrodite,con la dea Iblea,divinità che potrebbe rapportarsi agli analoghi culti di Creta e dell`Asia Minore ed assimilarsi alla gran Madre Idea,detta Cibele,che durante la seconda guerra punica ebbe così entusiastiche accoglienze in Italia e in Roma,ove certo si riconobbe che non era estranea alle più arcaiche e tenaci tradizioni religiose della stirpe.

Cibele ebbe infatti un tempio sul Palatino,ove ne sussistono i ruderi insieme al simulacro decapitato della dea.Più tardi,Cesare,volendone precisare il culto in rapporto alle origini troiane di Roma e della gente Giulia,elevò quel tempio magnifico che è stato riesumato in bellissimi ruderi alle falde del Campidoglio,lungo la via dell`Impero. L`assimilazione tardiva ma non arbitraria delle varie divinità femminili delle genti mediterranee,Venere,Afrodite,Cerere,Demetra,Iside,Cibele,Astarte…,risponde ad un effettiva monogenesi religiosa sulla quale non è il caso d`indugiarsi ora,poiché qui voglio soltanto accennare all`aspetto mistico e mantico del culto femminile.

Il territorio dove sorgeva Hybla Gereatis – sede del santuario etneo – conserva tutt`oggi un carattere vulcanico con emanazioni telluriche.

Tali emanazioni originarono spesso nell`antichità dei santuari mantici perché provocavano in talune persone uno stato di estasi durante il quale venivano emessi oracoli e profezie.Adetta infatti al santuario vi era una corporazione di indovini e interpetri di sogni,in circostanze,dunque,analoghe a quelle della Sibilla Tiburtina presso la fonte Albula,della Sibilla cumana presso le solfatare dei Campi Flegrei,dell`oracolo della dea Temi che precedette a Delfo l`oracolo di Apollo e dove la pitonessa oracoleggiav appunto  per effetto di emanazioni o vapori tellurgici.

In quanto al tempio di Erice,non pare che ci fossero oracoli poiché vi era più accentuato il carattere della dea come forza generatrici della natura. Sotto quest`aspetto la dea aveva la sua  vivente personificazione nei cinque cani,custoditi nel suo tempio,nelle colombe e nelle belle hierodule o sacerdotesse addette al suo culto.L`indole vivace del cane,esplicita nell`agressività e negli amori,ne facevano ad un tempo il simbolo del bellicoso Adrano e della dea Ericina onnipresente per la sua dolcezza.Ma più appropriata personificazione era quella della colomba colorata in rosso e seguita da un corteggio di candide colombe nelle quali è da presumersi che si credessero trasmigrate,dopo la morte,le anime delle hierodule.Dalla simbologia annessa al santuario di Erice si può desumere quale grado avesse ivi raggiunto la naturale evoluzione dell`idea religiosa.Eliano ed altri autori riferiscono che in alcune feste di Erice si provocava un volo di colombe sino alla prospicienti terre di Libia.Una colomba di colore rosso considerata come la dea,precedeva le altre,cioè le sacerdotesse,e dopo nove giorni faceva ritorno.In Erice il culto di Maria Vergine si è sostituito a quella della Dea in un tempio sorto ai piedi del monte.       

 

VI. - IL CANE E LA METEMPSICOSI.

Il tempio del dio Adrano sull'Etna era custodito da mille cani che secondo la notizia conservataci da Eliano superavano in mole e bellezza i famosi molossi. Questi cani - si raccontava — avevano l'abitudine di accogliere benevolmente di giorno i visitatori del tempio riaccompagnandoli a casa di notte se erano ubriachi. Sbranavano - invece - i ladri notturni. Dei cani si trovavano nel tempio della dea Venere sul monte Erice e nel tempio di Atena Iliade della Daunia. Per non uscire dall'Italia ed anzi dalla Sicilia - lo storico Ciaceri che ha stu- diato l'argomento - osserva che le antiche monete delle città occidentali dell'isola, Erice, Panormo, Mozia, Sedeste - recano il cane, di un tipo analogo a quello che odiernamente è detto cirneco, molto apprezzato per la caccia e che si crede, derivato dal lupo indigeno. Nelle monete di Siracusa, di Agirio e Centu- ripe si riscontra, invece, un tipo di cane da pastore che forse corrispondeva ai famosi cani di Adrano. Il cane si vede anche nelle monete di Piakos e di Paripo e - fuori della Sicilia - sulle monete di Mesma e di Pandosia. Ora, siccome vicino al cane apparisce - sulle monete - una figura umana che è stata intesa come quella di un cacciatore, mi sia lecito opinare che quella figura rappresenti invece il dio Adrano, cioè, il Marte Siculo perché il cane - a causa della sua indole bellicosa e di animale attaccabrighe - era sacro a Marte. 

Infatti i Mamertini di Sicilia, ch'eran dei mercenai provenienti dall'I Italia centrale e dalla Campania, avevano impresso anche loro il cane sulle monete ed altresì la testa di Adrano, per l'assimilazione, appunto, di Adrano con Marte. La ragione è che il cane per la sua indole e gagliardia non è soltanto adibito alla guardia e custodia ma altresì alle esplorazioni di guerra e ai combattimenti. Per questa sua utilità ,e per la fedeltà sua all'uomo, specie in epoca di predominante vita pastorizia, il cane doveva essere molto apprezzato nelle prime comunità civili. Il pastore Dafni muore sui Monti Erei - secondo il mito siculo - e i suoi cinque cani vollero spirargli accanto. Ma quali siano le precise circostanze che autorizzarono la mentalità preistorica a ritenere che gli spiriti potessero incarnarsi nei cani, non si è - ch'io sappia - ancora detto. Il primo fatto - a mio vedere bisogna riconoscerlo nell'orrendo pasto che i cani randagi, - come i lupi, gli avvoltoi ed altre bestie - facevano dei cadaveri umani. Il morto - bisogna premetterlo - era considerato come un dormiente non completamente separato dal suo spirito o principio vitale. Si riteneva che il cadavere si andasse ad imme-. desimare nel cane, o altra bestia, da cui era divorato. Questa presunta immedesimazioue del divorante con la cosa, o essere, divorato è antichissima nel pensiero religioso ed infor- ma anche la Eucarestia cristiana, ne il riferimento deve significare irriverenza o menomazione, anche se aggiungerò che il mede. simo criterio presiede al cannibalismo, il quale non è praticato - come si crede - per ragioni alimentari, ma per motivi direi quasi o affettuosi o rituali. 

Il selvaggio s'induce a divorare il nemico forte e valoroso, per assimilarne le virtù, oppure pasteg- gia le carni del padre o dei propri piccoli perche il morso è vicino al bacio più di quello che si creda! I rapaci non meno dei carnivori, erano dei divoratori di cadaveri, come accenna Omero nei primi versi dell'Iliade : e di cani e d'augelli orrido pasto, lor salme abbandonò. Ed è da presumere che gl'Italici li venerassero sia coi riti dell'aruspicina e sia nei simulacri recati più tardi dalle legioni romane. Una conferma indiretta io la vedo nei riti funebri che i moderni Parsi hanno conservato sino ad oggi derivandoli dalla più remota antichità. Com'è noto i cadaveri non vengono ne inumati e nemmeno cremati, ma sono esposti nelle lugubri < torri del silenzio » sulle quali nereggiano degli avvoltoi che in pochi minuti li divorano. Per analogia, l'idea del cane totem negli antichi Italici del continente e delle isole potrebbe avere la stessa origine. L'idea totemistica si sarebbe poi incrementata per effetto della convi- venza del cane con l'uomo, e per i vantaggi derivatine, per le prove d'intelligenza e di commovente affetto che questi animali spesso dimostrano, per la gagliardia e la efficace difesa ed offesa spiegate in azioni bellicose : donde la consacraìione del cane al dio guerresco Adrano che aveva il massimo santuario sull'Etna ma che era adorato in tutta la Sicilia. 

È sintomatico che malgrado l'avvento del Cristianesimo i cani abbiano continuato la loro azione guerresca nell'Isola perché durante l'alto medio evo una muta ai servizi di S. Giuliano sul monte Erice, difese la città omonima del Santo dall'invasione dei Saraceni. Però il cane è un animale gagliardo negli amori non meno che nelle zuffe, il che spiega la presenza di lui -inel santuario di Venere su quel monte Erice e perché venisse sacrificato a Mylitta, la Venere dei Persi. Sussiste ancor oggi la credenza che gli animali e specialmente i cani, abbiano sentore della presenza degli spiriti, come i cani di Ulisse che guaiscono allorquando Minerva entra notturna nella reggia d'Itaca. Ma un diretto rapporto del cane col mondo spiritico è desunto - nelle credenze animistiche della preistoria - dalla malattia della rabbia. Secondo gli antichi certe specie di cani randagi, specie se rabbiosi, erano la personificazione di spiriti turbolenti o di demoni maligni che vagavano per spaventare i vivi e trasformarli col morso contagioso e malefico in altrettanti cani rabbiosi.

 Era Ecate - la divinità infernale che iniettava ai cani il fuoco della rabbia. Non soltanto questo male, ma la epilessia e tutti i morbi che si manifestano con spasimi nervosi e rapimento dei sensi erano attribuiti all'ossessione del cane demone, e il kynantropo - o affetto dal caninus raptus credeva sé stesso trasformato in cane e, come tale, saltava e abbaiava. Secondo un referto di Filostrato, allorquando la peste affliggeva la città di Efeso, Apollonio Tianeo fece lapidare nel pubblico teatro un vecchio mendico quale apportatore del morbo. Rimosse le pietre, si rinvenne, però, un cane molosso e grande come un leone nel quale si riteneva incarnato il demone pestifero. Questa opinione si è perpetuata in Sicilia e altrove anche negli ultimi secoli per quanto riguarda certi attacchi convulsori denominati "ballo di S. Vito " i quali, secondo il Fazello, erano attribuiti all'azione di spiriti maligni e furono miracolosamente guariti da S. Filippo in Agirlo nella festa del Santo dell'anno 1541. S. Vito è ancora oggi invocato dai contadini siciliani per guarire dai morsi dei cani arrabbiati. Quel santo nel culto della nativa Mazzara è accompagnato da due cani. Simile culto ritenuto efficace contro la rabbia canina venne anche in fiore nelle città di Capo S. Vito, Salaparuta, Gibellina e Regalputo.

 

I.P. Capozzi - La Metempsicosi nell`animismo dei Siculi - in "Biblioteca dei Curiosi" - Anno XXVI, n. 12 luglio 1950 - Casa Editrice Dott. A. Tinto - Roma 1950

 

 

Imbriani Poerio Capozzi   Bibliografia

 

 

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