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GUIDO DI NARDO  

" I Laghi Inferni" e l`Isola di Circe

 "La Fenice" Rivista di Studi e ricerche spirituali - Anno IV ,Fasc. n.5-6 - Ediz. Ardenza -  Napoli 1952
 

 

 

Sulla scorta di Virgilio, Dante avrebbe quindi, come stiamo dimostrando, identificato e fissato il vero periplo del viaggio all'Ade qual'era conosciuto fin dagli antichissimi tempi in tutto il primitivo mondo eurasiano frigio-semitico ed egizio; oggetto primo di tutti i poemi argonautici ai quali l'Odissea e l'Eneide stessa appartengono. Evidente appare nel poema vergiliano lo sforzo di conciliare le esigenze esoteriche con la necessità di fissare apertamente alcuni caposaldi storici del famoso periplo sulle coste tirrene, con prima tappa la calcidica Cuma (1). Durante la sua sosta in Butroto, consultando forse l'Oracolo di Dodona, Enea, per bocca dell'indovino Fieno apprende che « prima di poter fondare su sicura terra, in pace, la novella Troia laziale, dovrà visitare nel mare ausonio i « laghi inferni » e vedere l'isola di Circe: « Infemique Incus, Aeaeaeque insula Circae ». (Libro III, 386). Va però rilevato che, a differenza di Ulisse, Enea non sosta affatto nell'isola famosa, anzi, vi gira al largo, nella tema che piossa accadere ai suoi troiani quanto accadde ai greci di Ulisse scendendo in quel fatale porto. Tuttavia, come ne l'Odissea, quest'isola è esplicitamente indicata da Virgilio quale terminale caposaldo della neckya per l'identificazione dell'Ade e sede di Circe; popolata di belve captive come leoni, cinghiali, orsi, lupi ecc. siccome di poi ce la descriverà il bizzarro ed ermetico Gelli (1548). Dunque, dalla euboica Cuma al Circèo si snodano le tappe della discesa di Enea agli inferi (Libro VI). 

Vi si parla dell'immaree speco della Sibilla Cumana {Amalthea, cioè... Capra), dal dèlio Febo ispirata, posto oltre il recinto di Trivia (cioè Beote triforme o Diana Trivio} ove fu il gran tempio di Apollo costruito da Dedalo allor che fuggendi a volo da Creta ivi poso, consacrando al Dio le remiganti penne, quanto a dire l`aliante da lui inventa to. Sui suoi propilei il grande artefice avrebbe scolpite le vicende di Androgeo s dei Cecropidi, cioè degli ateniesi, costretti ad inviare annualmente olocausti umani al cretese Minotauro; effigiandovi l'urna dalla quale venivano estratti a sorte i nomi degli infelici sette giovani predestinati alla voracità del mostro! In altra figurazione vi appare addirittura il Minotauro, « prole biforme » frutto del bestiale amore di Pasife (moglie di Minos Rè di Creta) per il Toro, alla quale Dedalo presto l'opera sua — siccome racconta il mito — a imbestiandola nelle imbestiate scheggie » (Dante Purg. XXVI, 87). Questa particolarità rievoca direttamente il Tempio di Apollo in Delfo descritto neLa tragedia Jone da Euripide; i cui propilei erano ornati di sculture (...sdari) che il protagonista, guardiano del Tempio (2), si compiace altresì di spiegare nel loro significato, al Coro. Ha poiché nulla è nel poema vergiliaro, come in quello dantesco, citato a taso; perché Virgilio si richiama al cretese mito di Pasife ed alla leggenda del fuggiasco Dedalo parlando del supposto Tempio di Apollo da questi costruito sulla enboica rupe? Ne vedremo presto i motivi, colllegati al mistero templare del Circèo. Nell'antro immane dalle cento porte Enea chiede a Febo, per tramite della Sibilla Cumana, il responso sull'esito finale della sua impresa, promettendo di elevargli un grande tempio nella nuova sede latina, consacrando anche alla sorella Diana Trivia o Ecate (che ebbe effettivamente il suo Tempio massimo in Aricia) ed un altro tempio alla Sibilla stessa ove saranno deposti « i suoi oracoli ed i fati arcani » (il Pisco di Terracina, come vedremo!). E poiché riteneva di esser giunto alla porta dell'interna reggia e del tenebroso stagno di Cocito alimentato dalla fosca onda d'Acheronte, il Pio Enea chiede ancora di poter scendere agli inferi per venerare l'ombra del padre Anchise —, giacche era ancor questo nel potere della Sibilla posta da Ecate a guardia dei sacri boschi dell'Averne; — richiamandosi ai precedenti di Orfeo, di Polluce, di Teseo e di Èrcole. Ma dalla descrizione che segue è facile arguire che codesto regno di Dite non riguardava la ristretta zona cumana dell'antinferno con i suoi laghi di Lucrino ed Averne, ritenuti erroneamente pei citati laghi inferi, ma una più ben distanziata località circondata da immense foreste e paludi come Virgilio stesso la descrive per bocca della Sibilla nel Libro VI: « ..... Molta selva il luogo Di mezzo tutto quanto occupa, e intorno Lentamente scorrendo con le nere Acque, il Cocito quelle lande avvolge Che se hai tanto affetto e tanta brama Di navigar due volte i laghi stigi, Di vedere due volte il tenebroso Tartaro, e in cuor non tremi ad affrontare La insana impresa, quanto pria t'è [d'uopo

Compiere apprendi. Ascoso entro un'o- [paco 

Albero è un ramo, che ha foglie d'oro E il tenace peduncolo, e a Giuno (Proserpina - Caprotina) 

Inferna è sacro. Tutto lo difende La selva al guardo, e l'ombra de la [oscura

 Valle Io cuopre. Ma non è concesso Entrare ad uom nei sotterranei chiostri Se prima il ramoscello aurichiomato Svelto non abbia dall'arboreo tronco; Che la bella Proserpina, qual dono Proprio ed omaggio, decretò che a lei Lo si recasse ». (trad. Vivona) 

Noi dimostrammo (3) in accordo con la famosa trattazione: IL RAMO D'ORO del Frazer, come senza dubbi debba identificarsi tale località nel Lago di Nemi o Speculum Dianae, già ultimo cratere spento del gran vulcano albano-laziale, sacro all'antichissima religione dei paleolatini (Ovidio), coi suoi centri religiosi di Aricia, sacra a Diana Trivia o Tauropola (Ecate Tri forme, dea della Magia) e di Lanuvio sacro all'Oracolo del Serpente ed al culto di Giunone Infera, cioè Caprotina (4) quale ipostasi di Bellona-Proserpina (= Gorgone!) quando ancora le grandi paludi del Ponto cosparse di mefitici acquitrini e di impenetrabili selve si estendevano tutto attorno lambendone le falde protese verso la marina tirrena, ove, gradualmente interrate di poi, si sarebbe svolta l'epopea degli Eneadi. Prosegue infatti la vergiliana vicenda mostrandoci Enea che, avvertito dal prodigio delle due colombe (analogo quindi a quello dell' acherontico Oracolo di Dodona) riesce, dopo averne seguito il lungo volo fino alle « fetide bocche dell'A- verno », a cogliere dall'oibero gemello il Ramo d'Oro. Ond'è da presumere che «.... La spelonca: Di vasto ingresso, spaziosa, orrenda, Tutto rocchi, difesa da un oseiro Stagno e da selve tenebrose; sopra (del [quale) Non vi potevano impunemente a volo Passar gli uccelli: tale dal suo vano Uscia mefite e si effondea per l'aria » non poteva essere che il cratere in stato di semiestinzione, di Nemi, (5) occulta sede della grande deità androgina gorgonica-ctonia che non si doveva nominare per non evocarla: La Diana Infera. Basterebbe a confermarcelo i passi che seguono circa l'esorcismo rituale e relativi sacrifici da perte della Sibilla alla triforme Ecate, cioè, alla triplice immagine della Juno Caprotina in cui s'adombrò quel Gorgone che tanto Ulisse che Dante (alle porte di Dite) rifuggono per non esserne impietriti! L'accorgimento escogitato da Virgilio sarebbe quindi l'aver idealmente fatto risalire a Enea via terra lungo la regione aurunca l'itinerario già da noi descritto partetdo da Cuma con prima tappa Montecassino (ove si ubicherebbe il famoso Tempio di Apollo abbattuto da San Benedetto per fondarvi la sua celebre Abazia) ed attraversando i vuoti regni di Dite sul l'attuale percorso della via Casilina fino a Velletri ed a Lanuvio (la città di Dite) di dove si risale al cratere nemorense; ritornando di poi a Cuma lungo la costa tirrena che ha per caposaldo il Pisco di Terracina, il Giano dalla Doppia Porta descritto da Virgilio alla , fine di questo Libro VI. Ipotesi questa che occorre accettare, dopo elaborati confronti con il periplodi Ulisse nell'Odissea e degli Argo nauti in Apollonio Rodio, Valerio Fiacco ecc., come la più plausibile, dato il vincolo iniziatico cabirico che impediva di parlarne apertamente! (Virgilio ci svia infatti, per non voler precisare l'occulta sede demogorgoni- ca, con diversi accorgimenti, facendo p. e. sprofondare Aletto, e cioè, la Erinni, nel baratro di Amsanto). 

 

***

  Tuttavia, prove concrete che affermano fra l'altro doversi in questa zo na, come dicemmo, ubicarsi l'Amentid o DUAT (= Cab. — Tauro — ) ne troviamo anche nei testi egizi delle Piramidi, deH'Al-di-la, ecc. varianti cioè del famoso Libro dei Morti il cui più noto papiro già tradotto dal Lep- sius (che trovasi nel Museo di Tori no) è altresì affrescato in molte tombe ipogee egizie. Infatti, si parla in questi sacri testi dei Laghi inferni che trovavasi nel- l'estremo occidente ov'era la Sacra Montagna della finris Solare circondata dalle stigee paludi; dimora del Gran Serpente Ap-Ap e di Osiride infero. In una recente traduzione tutt'ora inedita del Prof. Kolpaktchy, filologo di origine russa ma residente a Parigi (6), raffrontata ad altre varianti: Papiro Nu, Ani, Nebseni, ecc. alcuni passi, pubblicati per saggio, sono in proposito di una evidenza solare, specie il CXXV e l'importantissimo cap. LXIV che riassume tutta l'opera. Ripromettendoci d'illustrarli ampiamente (vedi saggio inserito in un nostro studio su Leonardo, in «Bibl. dei Curiosi» - N. 29) esaminiamone qui brevemente alcuni passi tolti dal Cap. XVII

(13-16) ; di sapore e colore veramente

.... danteschi!
Cammino sulla via che conosco e che

[conduce
All'isola della Giustizia.
Arrivo nel paese dell'orizzonte (cioè,

[ad occidente)
Varco il soglio della Porta Sacra
O Dei che mi venite incontro!
Accoglietemi, porgetemi le mani!
24-0 Ka, Salvami da quegli spiriti

[custodi delle paludi infernali...
25 - O voi che siete assisi sulle vostre

[fiamme

Sappiate che io appartengo al se-

[guito di Osiris

Com'è scritto nel «Libro delle Mu-

tazioni B

Eternamente permarro illeso, mai

[sarò distrutto

Dal Drago-Demone Neheb-Ha.
26 - O Atum: Abitante dalla Gran Ca-

[sa. Principe fra tutti gli Dei

Salvami da quel Dio il cui volto e

Come quello di un cane (Cerbero?)

La cui pelle, quale cute umana

Prolunga la propria vita cibandosi

[di coloro che soccombono

Che custodiscono le anse del lago

[di fuoco

Che divora i cadaveri dei moni...
32-0 Dio Kepher, tn nella tua barca

[celeste!

Dio archetipo il cui corpo è tessu-

[to d'eternità:

Salvami da quegli spiriti che ve-

[gliano i condannati

ad essi ceduti dai santi onnipotenti

[che vegliano

sui nemici dell'Onnipotente pnnen-

[doli nella Palude Infernale.
33 - Io oltrepasso gl'iniziati.

Io disperdo le schiere nemiche.

Io sopravvivo al potere dei demoni

Tutti gli dei temono la mia maestà!

Nei Testo delle Piramidi (di Unas)
tradotto dal Sethe, si legge altresì:
157 - Toth, Accorri : Annuncia agli Dei

[dell'Occidente e ai loro spiriti

che Unas giunge — Spirito imperi-

[bile egli si presenta ad Anubi,

Maestro della Montagna Occiden-

tale...
372 - Horus lo ha ricevuto nelle sue

mani e vivrà eternamente - Egli lo

ha purificato nel lago dello Scia-

callo (Anubi) nel Duat.. ecc. ecc.

 

Sappiamo che la città di Abydos nel delta del Nilo veniva indicata come la necropoli dell'antico Egitto. Ma la gran palude d'occidente la « satura pa lus » con la Sacra Montagna ed i laghi infernali nulla hanno a che vedere con il cosidetto « Viaggio ad Abydos » della rituale baris solare. La catarsi della materia consumata dell'uranico fuoco purificatore del « divoratore di eternità » (rappresentato spesso dal coccodrillo o dall'ippopotamo) presupponeva il gran viaggio a setten trione — seguendo il corso del Sole — verso il covo del Gran Serpe Ap-Ap. Abbiamo già citato nel nostro ultimo volume « Alchimia e Cabala alla Luce della Scienza » (pag. 80) e nell'ari. precedente una fra le più impressionanti prove tratta dal libro dcll'Al-di- là affrescato nelle Tombe private di Tebe (cfr. Album del Farina: «La Pittura Egiziana » Ediz. Treves - Milano Tavola CLXXX) ove l'ingresso all'A- mentid (= occidente) è addirittura (.ontrassegnato dal Pisco-Porta di Terracina e dall'omphalos alle falde della Montagna Sacra presso la cui palude approda la funebre barca. Ed a mezza costa della montagna (coltivata a filari di viti!) ecco venir incontro — come nel passo 13 del citato Libro dei Morti, è specificato — le infere deità e cioè Osiride e Iside la quale appare nel significativo atto d'indicare a terra un cratere ricolmo di frutta (accenno al cratere nemorense placato generante la feracità del suolo) ed a lei dietro — protesa dalla cima del monte — la protome della Sacra Vacca cioè la Dea Ator (ipostasi frugifera della stessa Iside), contrassegnata dal geroglifico regale, che si svela nella sua vera es- senza come Juno Sospitae Mater Regina, la supera deità lanuvina in precedenza adorata come deità infera (Juno Caprotina) alla quale fu inizialmente sacro il Monte Albano ! Altre opere d'arte da noi reperite (7) ce ne danno l'esplicita conferma per l'identità delle iconografie e dei simboli. Ma dove troviamo le più severe conferme è nei testi affrescati del Libro d'Oltretomba (o delle Porte) nelle tombe ipogee di Amenhotep II di Rames VI, di Sethy I ecc. In un magnifico Album a colori pubblicato a cura dalla Casa A. Gaddis e G. Seif in Luxor (Egitto): Thè Book of thè Dead and Elysian Fieids nella Tav. IX riguardante gli affreschi della Tomba di Rames VI (che regno dal 1157 al 1142 a. C. epoca che corrisponderebbe all'incirca con i cicli argonautici omerici) il Faraone (intercalato nel testo geroglifico) è rappresentato dinanzi ai due laghi sacri, intensamente rosseggianti, ciascuno contrassegnato da quattro geroglifici che rappresentano il fuoco uranico e da quattro Api (richia manti — etim. cabal. — il serpente
Ap-Ap, il bue Api e l'Apex o Apice rotante quale omphalos del mondo), mentre in quello inferiore è visibile al centro, una protome di Capra (!) che conferma la nostra versione sul significato vulcanico della Palude Caprea e della Juno Caprotina già in altra sede dimostrata. E nella Tav. X il .testo geroglifico è intercalato dal Gran Serpente stesso che reca sul dor- so Osiride, mentre la barca con il « doppio » del Defunto sta amarrando sul bordo della palude d'occidente. Come non pensare allora ai cabali- stici prodigi del destino di... Lavinia elencati da. Virgilio nel Libro VII, quale lo sciame di Api che va a nid ficare sul Lauro piantato il dì che la prima pietra fu da Rè Latino posta alla rocca di Laureato (dal quale la città aveva preso il nome) e la corona di fiamme (le correnti laviche!) che, durante il sacrificio, sembra irradiare dalle chiome della fanciulla appiccando poi il fuoco all'intera Reggia! Prodigi..... vulcanici per i quali, il tur bato Rè ricorre al famosissimo grande Oracolo di Fauno (Pan) sull'alta Albunea Selva cioè sul Monte Albano per averne il famoso responso annunciante il sopraggiungere dei dardanidi, la sconfitta di Turno (la cui armatura è tutta una allegoria della leggenda giunonica di IO) ed il trionfo finale del predestinato Enea ! 

 

NOTE

(1) Dai tempi di Virgilio fino ai giorni nostri si riteneva Cuma fondata da una colonia calcidese d'Eubea. Ma recenti scavi hanno messa in luce sotto le vestigia greche una stazione preistorica di carattere autoctono che dimostra come in quella località stanziassero popoli proellenici in possesso di  una  già avanzata civiltà. E si penso agli omerici Cymmeri o Cumeri, ai Ciclopi ed ai Campi di Flegrea. Comunque, è da ritenersi ormai assai discussa la pretesa colonizzazione greca di tutta la.... Magna Grecia, se pure infiltrazioni greche si riscontrassero lungo le coste tirrene da tempi antichissimi. Ma si tratto (come dimostrammo anche in un recentissimo studio apparso sul n. 26 della «Biblioteca dei Curiosi» di Roma, sulla «Leggenda di Dardano nell'Eneide») di ondate di ritorno; cioè di quei Tirreno-Pelasgi che, fugati dalle primitive sedi italiche a causa degli immani cataclismi tellurici che funestarono questa zona (Virgilio stesso ne accenna parlando della avvenuta frattura fra il Continente e la Sicilia) dopo aver colonizzate le isole egee, l'Eurasia e la stessa Grecia (da cui, l'appellativo di... Magna Grecia!) ne furono ricacciati dagli autoctoni (destino- ancor attuale di tutte le nazioni colonizzatrici) come le istorie confermano. E spinti anche da precisi responsi oracolari, questi profughi ricercarono l'originaria Terra Madre, ri- occupando spesso le primitive sedi di- sertate e facendole rifiorire alla nuova luce della civiltà egea. Recentissimi scavi in Reggio Calabria hanno difatti rivelato sotto le greche vestigia e fra altri relitti anteriori, una rudimentale cerchia muraria con porta di accesso, di sicura datazione preellenica, se non fosse altro, per una vasta iscrizione compo- sta da segni e simboli ideo-steno-criptografici incisi su un triplice filare di pietre squadrate denunciandoci forse uno dei tanti focolar! dai quali emigrarono quei Divini Pelasgi, primi abitatori di Creta ed importatori ivi, con i misteri cabirici, della prima scrittura alfabetiforme ! 

 (Vedi: Evans, eco.). Che se di poi una colonia calcidese, stanziandosi in Cu- ma riconoscesse ivi la sede o l'an ticamera dell'Ade è una prova in più per le nostre illazioni, giacché sem brerebbe importata dagli Aurunci-Campani nel Lazio quel primitivo ritualismo escatologico e catabasico degli Dei Mani che ebbe nel Sacrario del Lapis Niger il suo occulto sacello ipogeo presso le Are di Vulcano e Saturno nel Foro Romano, con il sottoposto fa- moso piccolo béthilo piramidale sul quale appare ancora iscritta in caratteri ritenuti calcidesi, l'indecifrata dedicazione del Sacro Luogo nefasto al Deits ex Para saturnio-cabirico (il Baal-Liban), mentre in Naploli vi furono sacri il Serapeo di Pozzuoli ed il Tempio dei Cumei (Santa Maria della Rotonda a Mezzocannone). Veramente, la tradizione vergiliana ubicherebbe il famoso tempio di Apollo, riconsacrato da Dedalo, sul Mónte Cuma ove sorgeva l'Acropoli delle cui mura si ammirano grandiosi avanzi. Questa rupe è tutta perforata e scavata da grotte e gallerie generalmente di difficile accesso, di cui, alcune risalgono indubbiamente alla età della pietra, altre al periodo greco-etrusco, veri labirinti che hanno fatto pensare forse a quello cretese da Dedalo stesso costruito. Celeberrima, la grotta della Sibilla, che fu identificata in una colossale cavità alla base ouest del monte. L'immenso antro, recentemente liberato dalla terra che vi si era addensata (la cui volta è sor- retta da sostruzioni romane in lateri zi) mise allo scoperto una comunicazione fra la grotta ed il sovrastante tempdo di Apollo (in parte- questo, ricostruito dai romani) rivelando così l'indubbia sua dedicazione infera al culto di Apollo, il serpente di fuoco (del quale Apollo fu l'ipostasi supera). Comunque, tradizioni paleocristiane lo ubicherebbero a Montecassino. 

(2) Ne abbiamo trattato nel Volume « Oracoli e Misteriosofie del mondo antico » che... speriamo di prossima pubblicazione.

 (3) Cfr. nostro ultimo volume « Alchimia e Cabala alla luce della Scien-za » Napoli • Istituto della Stampa • 1951 - la decifrazione - per la conoscenza del Ramo d'Oro - dell'alchemica rota saturnia (VIII chiave di B. Valentino) a pag. 110, fig. 18 ed Appendice - 3 - pag. 148. 

(4) Cfr. nel n. 24 della « Biblioteca dei Curiosi » - Roma • nostro studio su « Le Origini del cullo paleolatino di Juno Caprotina ». 

(5) Potrebbe corrispondere a tale descrizione il « Romitorio di S. Michele Arcangelo » uno speco sotto la Rupe che sovrasta il Lago di Nomi (ove sorge il castello feudale) sul qua. le ha pubblicato un notevole studio l'insigne archeologo Mons. A. Galieti (Boll. di Ardi. Storia e Arte: II sem. 1940, Roma) già appellata « grotta del diavolo » ! Noi osserveremo che cedesti tipici spechi scavati ai piedi di prominenti roccioni angolari come per il Pisco di Terracina; per la « Tagliata » di Mon-te Autore (Santuario della SS. Trinità) ; per 'L'Ara di Pietra sul « Gran Sasso d'Italia » per il San Michele del Gargano ecc. riconsacrati al culto di Pietro Apostolo o di Michele Arcan- gelo (spesso tratti da grotte naturali come per l'Abazia di Trisulti a Col lepardo ecc.) sono altrettanti documenti del preistorico culto al Deus ex Potrà... infero, identificato in Saturno o Sat-An, idealizzato di poi in J-ANU come culto solare. 

(6) Le primizie di tali traduzioni e nuove interpretazioni ci sono state gentilmente comunicate dall' insigne studioso Donato Piantanida da Arco (Trento) che ne sta curando una edi- zione italiana.

 (7) Cfr. « L'Arte in Egitto » di G. Maspero (Arti Graf. Bergamo - 1929) pag. 168, fig. 316, 317, pag. 245, fig. 472 per la dea Vacca-ATOR (= Rota- Tora); pag. 160, fig. 301, per il serpente Maritsacro (Ap-Ap).

 

 

GUIDO DI NARDO - Bibliografia

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