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Corrado Rocco
La Scienza dello Spirito e lo Yoga Integrale
Libreria Editrice Corrado Rocco - Napoli 1965
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INDICE

Capitolo I - Il mondo moderno e le idee pericolose
Capitolo II - Steiner e la "Scienza dello Spirito.
Capitolo III - Aurobindo e lo Yoga integrale
Capiztolo IV - La Reincarnazione

 


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dal Capitolo introduttivo " Il Mondo Moderno e le idee pericolose" 

La civiltà moderna è priva di una visione unitaria e totale della vita; ne è priva, perché sperimenta il cosiddetto mondo esteriore come mondo sensibile e non la presenza di altri mondi sottili e causali, di potenze e di virtù creatrici in reciproca complementarità col nostro mondo terrestre. L'uomo non è più a contatto con le forze viventi che, nelle epoche primordiali ed anche relativamente prossime a noi, attingeva per l'azione rituale alle sorgenti stesse della spiritualità; egli si avverte condizionato e la comune esperienza ci dice che, quando l'uomo si propone oggi di reprimere le tendenze istintive in nome della virtù e della moralità o di lottare con la propria volontà direttamente contro di esse, rischia di vedere convertiti — dalla reflexio - della coscienza — i propri sforzi nel rafforzamento delle tendenze che si proponeva di vincere. Nei brevi capitoli del presente volumetto accenneremo anche al significato di questi condizionamenti in relazione al problema dell'io e dello sviluppo spirituale- All'epoca delle grandi civiltà tradizionali dell'Oriente e dell'antichità classica, era la tradizione che « sceglieva » per l'uomo; il bene e il male seguivano precise linee di demarcazione; la realizzazione spirituale, per via di tecniche spiritualizzanti non suscitava perplessità e non immetteva sintomi di perturbamento nell'attività dell'anima, come si verifìcherebbe ora se qualcuno volesse applicarle, e ciò perché non era la coscienza lucida e volontaristica che portava avanti tutto i! processo iniziatico. La distinzione di un dominio esoterico, riservato ad una élite, e di un dominio exoterico, cui aveva accesso la maggioranza, ove sì verifìcava, s'inquadrava pur sempre in una determinata tradizione, che !a proteggeva e la stabiliva. Le influenze dei mondi spirituali, cui l'uomo era costituzionalmente «aperto», sacralizzavano il suo lavoro e tutti i suoi atteggiamenti; le grandi gesta traducenti virtù che oggi appaiono eroiche dipendevano più dalle potenze invisibili che dalla diretta iniziativa umana. Quando nei poemi classici, in Oriente e in Occidente, si celebra la diretta partecipazione degli dei alle imprese terrestri, non si tratta di mitologia, .cioè insomma più o meno di favole, ma dell'intervento di realtà di ordine trascendente (1). La coscienza era legata al cosmo e il mondo non avvertito come esteriore, non presentava una resistenza all'impulso vitale, indice della scissione fra Io spirito e la vita. Anche quando, in epoche posteriori, in India, col Buddismo,noi assistiamo ad un certo riconoscimento dell'ordine causale del mondo, dunque ad una certa posizione oggettiva di distacco da esso,o in Grecia alle prime affermazioni di un pensiero razionale, l'uomo antico non era ancora entrato in un vero e proprio processo di solidificazione interiore; l'accesso al mondo essenziale, ad esempio, al Nirvana, era realizzabile; nella biografìa dei grandi santi del Buddismo hinayana o nei neoplatonici non si riscontrano mai le contraddizioni ed i condizionamenti che, in un mondo a noi più vicino, ravvisiamo nell'ascetismo. I tradizionalisti, facenti capo a Guénon, a Schuon, a Coomaraswamy, rigettano queste vedute in nome di una conoscenza metafisica,ora decaduta,in mancanza della quale — secondo loro — la spiritualità si sarebbe ridotta a forme aberranti del misticismo, conoscenza, però, che una èlite di buona volontà potrebbe sempre ritrovare e assimilare, purché dotata di certe qualifìcazioni,prendendola a base a base di una "via" iniziatica.In realtà, questa pretesa conoscenza metafìsica, nei testi sacri d'Oriente e d'Occidente, e nella testimonianza degli ultimi «realizzati» (Jivan-mukta), si riduce a ben poca cosa che non sia immediatamente riferibile alla via stessa di realizzazione : sono in genere descrizioni . simboliche o analogiche dei cosiddetti stati superiori dell'essere cui l'uomo aveva accesso ante o post mortem, con l'iniziazione, o paragoni di esperienze e di visioni, non mai la esposizione didattica di una metafìsica, cioè di una base dottrinale che dovrebbe precedere l'applicazione di una tecnica, concezione questa intrìsa di intel- lettualismo. Non è una conoscenza metafìsica che mancherebbe — o che sarebbe mancata, poiché ormai esisterebbe dall'avvento degli «studi tradizionali » —; quello che veramente manca è l'uomo tradizionale, con i suoi miti e con le sue facoltà di comunicazione coi piani essenziali di realtà, l`uomo che poteva ricevere sul serio le influenze iniziatiche del rito e del simbolo; e questo cambiamento, di struttura interna dell'uomo, non è una progressiva decadenza, ma una condizione nuova dell'umanità che ha interiorizzato quelle forze che prima agivano dall'esterno (2). La scienza e la psicologia hanno voluto spiegare lo apparire di una coscienza razionale nell'uomo con le varie teorie dell'evoluzionismo biologico; sono teorie valide al loro livello, il livello — o il limite _ precisamente di quel pensiero che si vorrebbe spiegare. La «Scienza dello Spirito» — che da alle forze spirituale la stessa realtà delle "forze naturali — propone "un pensiero che non si arresti a ciò che « sembra » un limite, sia di portare a coscienza il limite stesso come sua incapacità provvisoria di andare avanti. Ciò significa impegnare il pensiero, sollecitarlo sempre oltre ogni limite. Prima dell'avvento del Cristo, per l'umanità si poteva parlare soltanto di divenire, non di evoluzione; gli a enti » delle sìngole tradizioni la guidavano dall'esterno, senza che l'uomo intervenisse veramente, non avendo che l'iniziativa rituale o conoscitiva per un « ritorno » — già tracciato e descritto nei sacri testi — allo stato essenziale o ai diversi stati intermediari. Ora, lo impulso spirituale è impulso cristico inerente agli stessi elementi dell'uomo; può essere suscitato tramite il pensiero, la coscienza. Egli dovrebbe trovare la forza per la sua trasformazione e per quella della terra — che aspetta il suo gesto redentore — nell'intimo di se stesso, nel pensiero vissuto spiritualmente, apertamente. Una «Scienza dello Spirito», scienza delle realtà sottili e causali raccordate a quelle terrestri, è sempre presente nel mondo per destare giusti pensieri, insegnare all'uomo le modalità e l'azione delle correnti sottili, con centri di iniziativa, capaci di accogliere, di proteggere, di istruire i suoi mèmbri, di sostenerli nello slancio verso Sa verità, nell'assumere l'impulso evolutivo. Questi centri debbono essere rappresentati nel mondo moderno da « Libere Università », ove non imperi la cultura ufficiale, ma si trasmetta una conoscenza spirituale e si esercitino le corrispondenti facoltà dell'anima. E' ormai luogo comune sentir dire che il mondo moderno,freddo, impersonale, quasi spieiato, non ha più ideali. E' una realtà da cui l'uomo non deve lasciarsi sopraffare, ma assumere in nome di un volere superiore, cioè più sottile, cercando di comprendere il significato profondo dell'epoca in cui si vive. I problemi non sono più gli stessi; al nazionalismo, all'imperialismo e alle sue guerre competitive per il potere, al colonialismo, all'educazione classica, al problema della donna e della famiglia, delle unificazioni nazionali, a quello delle convenzioni sociali e morali, si sono sostituiti i problemi economici, la lotta di classe, la questione alimentare, delle armi termo-nucleari, problemi che restano insoluti, malgrado un'insidiosa propaganda, interessate riunioni di partito, congressi e conferenze mondiali, insoluti e insolubili — diciamo — quanto lo furono i primi, che persero d'interesse per il sovrapporsi di nuove situazioni, non furono mai risolti. I problemi moderni non suscitano entusiasmo, non si traducono in arte, in poesia, in letteratura, non spin- gono a gesti eroici, non portano al martirio e alla gloria, tutte cose che, seppur realizzate splendidamente, non hanno fatto l'umanità migliore, più affratellata, rianimata nello spirito. L'umanità deve ora ricavare dalla sua intima essenza, dalle profondità del suo essere, dall'istantaneità dello spirito, lo slancio per andare avanti e non lasciarsi chiudere nella materialità intesa in senso lato. E' un compito che solo gruppi assai ristretti possono affrontare, in un primo momento, investendo poi con ta conoscenza spirituale suscitata ambienti sempre più vasti. I maestri di cui parleremo hanno tracciato le grandi linee di questa azione salvatrice a partire dalle prime Associazioni da loro fondate. Questa conoscenza spirituale deve mostrare per prima all'uomo moderno le forze che per lui diventano insidiose appena varcano certi limiti, le forze tentatrici dello spirito, luciferiche, e quelle tentatrici dei corpi, sataniche o ahrimaniche, le prime presiedenti gli ideali di un recente passato, le altre — generalmente forze reattive — che spingono oggi alla ricerca del benessere, allei rivendicazioni sociali, alla radicalizzazione della istintività, a forme di fanatismo capaci di tutti i mascheramenti. Parleremo delle une e delle altre — seppur brevemente — nel capitolo dedicato a Rudolf Steiner e alla «Scienza dello Spirito». non presenterebbe all'esteriore nulla di veramente cambiato, gli uomini continuando a seguire, per un tempo indeterminato, le leggi, le convenzioni sociali e religiose; uno stato ritenuto di « equilibrio » li mostrerebbe tranquilli — più che in molte altre epoche storiche anche recenti —, nell'illusione dell'obbiettività e della razionalità, mentre ciò non significherebbe altro che la facilità di trovarsi a loro agio in condizioni materiali consoni alla loro natura- E la psicanalisi sarebbe il tentativo di adattare a queste condizioni coloro che ne fossero incapaci, forse alcuni per vedere più lontano, più ampiamente, vietata in un mondo, tutto esteriore e superficiale, in mancanza di quel sottofondo occulto di gruppi, fratellanze, comunità costituiti da individui particolarmente dotati che cercavano in altri tempi di dare un indirizzo spirituale alla stessa storia.In realtà,una tale specie di civiltà sarebbe morta per lo spirito,abbandonata dallo slancio evolutivo,senza rapporto con la natura. 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Note

 (1) L`illustre Novalis scrive: Nei tempi antichi tutta la natura deve essere stata più vivente e più ricca di sensi di oggi....; per questo gli uomini,semplicemente ricchi di arte,certi atti furono possibili ed essi poterono produrre fenomeni che attualmente consideriamo innammissibili e favolosi....essi avrebbero agito in una come indovini e come sacerdoti,come legislatori e come teraupeti,poichè,all`appello della loro arte fascinatoria,esseri superiori erano discesi sulla terra e sollevando al loro sguardo i veli dell`avvenire rivelavano loro le proposizioni e l`ordine di ogni oggetto,sino alle virtù segrete e benefiche dei numeri,delle piante e di tutte le creature.

 (2) Un'altra idea dei tradizionalisti di stretta osservanza è la necessità ineluttabile — secondo loro — di una vera e propria iniziazione, al principio stesso e come condizione indispensabile del lavoro iniziatico, conferita con rito particolare da organizzazioni iniziatiche qua lificate. Una siffatta affermazione netta e categorica è molto grave per coloro che la fanno; rischia di impedire un qualche possibile sviluppo superiore e l'approfondimento di motivi spirituali veri agli aspiranti alla vita dello spirito, che possono perdere buona parte o tutta la vita alla ricerca di una iniziazione rituale e formale, in un'epoca che, per le mu tate condizioni interiori dell'uomo, anche se regolarmente ricevuta, è ino perante. — AbduI Hadi — in fondo il vero iniziatore di Guénon, anche se a nome di Esh Sheikh Abder Rahman Elish el Kebir — l'aveva in parte compreso e perciò asserì in un suo famoso scritto che attualmente si potevano riscontrare un gran numero di iniziazioni cosiddette mariali cioè conferite direttamente dall'alto senza una qualsiasi organizzazione umana intermediaria che trasmettesse le influenze spirituali. Ciò non poteva convenire a Guénon, che si affrettò ad assimilare le dette iniziazioni a quei casi rarissimi di « uomini due volte nati », cioè già nati realizzati o tali spontaneamente dopo la nascita, come ad esempio l`illustre Ramana Maharshi da poco defunto. Ora ciò non corrisponde affatto a quanto ha chiaramente detto AbduI Hadi, che non ha parlato di casi eccezionali — due o tre per ogni generazione —, ma come di una vera nuova possibilità iniziatica.

 

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L`idea della reincarnazione  e le correnti del pensiero moderno- Osservazioni sui rapporti fra scienza moderna,scienza dello spirito e reincarnazione - Risposta ad una obiezione contro la reincarnazione avanzata dai tradizionalisti - Paragrafi tratti dal Cap. IV - La Reincarnazione
 

 

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L'idea della reincarnazione trova punti di raccordo con le più avanzate correnti di pensiero del mondo moderno, ad esempio con la fenomenologia. Non tanto con la fenomenologia di HusserI, quanto con quella di Max Scheler. Vogliamo dire che l'idea della reincarnazione si presta ad essere verifìcata con il metodo fenomenologico più di molte altre. Secondo Max Scheler, il nostro spirito ha la capacità di realizzare più di quello che permettono le condizioni ed i mezzi terrestri e la durata, molto limitata, della vita. Per lui, ciò è una prova dellasopravvivenza, prova che ha verifìcato fenomenologicamente. In realtà, però, questa coscienza del potere e della forza dello spirito, la coscienza di questo « eccedente di forza »— secondo una sua espressione — non prova solo la sopravvivenza, ma soprattutto quel modo della sopravvivenza che è la reincarnazione. Se le energie umane debbono svilupparsi e se un qualsiasi condizionamento o la morte vengono ad interromperle in tal processo, non vediamo come possa evitarsi di prendere in esame le vite successive. D'altra parte, è insostenibile che analoghe energie possano fluire per il medesimo compito attraverso un complesso di forze animiche per la prima ed unica volta incarnato in un corpo; ogni energia animica deve già essere passata, adattata ed esercitata sulla terra se deve esserci una ulteriore evoluzione dell'uomo e del mondo. Ma qui stiamo parlando di un « eccedente di forza », di una energia ancora gravida di possibilità che resterebbe inesplicata e inspiegabile quando l'esistenza dell'uomo che la portava fosse interrotta. E' allora da ammettersi che questa energia, non esaurita in una vita, debba trovare in una nuova vita la possibilità di continuare la sua azione. Tutte le energie naturali debbono portare le loro conseguenze naturali e se alcune non arrivano a risultati visibili in una vita è perché sono rimandate a più tardi. A conferma della sua verifica fenomenologica, lo Scheler cita (30) i sentimenti che animavano Goethe e che espresse nelle conversazioni che ebbe con John Poter Eckermann : « Non vorrei — egli dice — essere privato della felicita di credere ad una durata futura ed anzi io dirò con Lorenzo dei Medici che coloro che non sperano in un'altra vita sono già morti per questa...

(30) Tod und Fortieben, testo stabilito sulla base di un certo numero di manoscritti, composti da Max Scheler gli uni fra 1911 e 1916, gli altri nel 1922 e 1923.

Il pensiero della morte mi lascia in una calma perfetta, poiché ho la ferma convinzione che il nostro spirito è una essenza di una natura assolutamente indistruttibile; continua ad agire di eternità in eternità. E' come il Sole che non sparisce che per i nostri occhi mortali. In realtà non sparisce mai, nel suo cammino illumina sempre... Non dubito della nostra durata al di là della vita, poiché nella Natura una entelechia non può sparire mai. Ma noi non siamo tutti immortali allo stesso modo . . . L'uomo deve credere all'immortalità: ne ha il diritto; è una credenza conforme alla sua natura e può poggiarla su tradizioni religiose, ma se il filosofo vuoi ricavare da una leggenda la prova dell'immortalità dell'anima nostra usa un mezzo molto debole e veramente sprovvisto di senso. La convinzione della nostra immortalità viene unica mente dall'idea di attività: poiché se fino alla mia fine io agisco indefessamente, la natura è obbligata a darmi un'altra forma di esistenza quando questa che io ho ora non potrà più mantenere il mio spirito ». Goethe non parla qui di stati superiori o inferiori dell'essere, ove l'anima vada a godere la sua immortalità od a purificarsi prima di accedere ai mondi essenziali; egli qui parla di idea di attività, e di un'altra forma di esistenza per continuare ad esplicarla. Lo Scheler intendeva solo — come abbiamo detto verifìcare fenomenologicamente la sopravvivenza e così si è limitato a citare il passo del grande poeta di Weimar convalidante la propria tesi; ma, nella vita e nell'opera di Goethe ve ne sono altri affermanti la reincarnazione come idea di attività, legata dunque al divenire del mondo. Ricordiamo la conversazione che eb- be col Falk, il giorno della morte del suo prediletto Wieland, ove egli espose mirabili ed elevati concetti sulle vite anteriori ed il fenomeno della memoria. Se si obbiettasse che l'idea — diciamo — moderna della reincarnazione è stata come rilanciata, dalla filosofìa post-kantiana, che postula l'evoluzione in senso vasto e totale, evoluzione progressiva dell'assoluto nella filosofìa di Schei ling, risponderemmo che la stessa fi- losofìa, dunque anche il pensiero dialettico e formale, che pure sembra avulso dalla vita e lo è effettivamente solo se non se ne ha coscienza, è sollecitata dalle stesse forze profonde che dirigono tutte le attività del mondo. Altresì, l'idealismo ignora l'idea dell'incarnazione, come l'ignora il neo-spirituaiismo, per il quale la rein- carnazione è un processo riguardante solo la purificazione dell'anima — intesa in senso molto semplicistico — e non la trasfigurazione dei corpi, e il compimento supremo non avviene qui sulla terra, — come iniziati- camente è — ma altrove. Se dunque per il passato la reincarnazione era una idea exoterica, popolare, di contro alle più alte dottrine di conoscenza, nel mondo moderno essa è una verità profonda raccordata al pensiero più avanzato. La reincarnazione è dimostrata proprio dal fatto che la sua realtà non fu messa in dubbio nemmeno in quelle civiltà nelle quali era in disaccordo con le conoscenze più elevate. Noi ne abbiamo considerata l'idea in relazione al continuo tentativo che fa Io spirito umano di sormontare i condizionamenti di una materia, che deve essere resa infine trasparente allo spirito, perché il Cielo sia qui sulla Terra. Concluderemo con alcune osservazioni sui rapporti fra scienza moderna, scienza dello spirito e reincarnazione. Pensiamo che le più forti posizioni della scienza materialistica, cioè l'evoluzione biologica, in senso tra- sformistico, le localizzazioni, il concetto di Dep, lo « schema corporeo », — che hanno avuto il merito di scongiurare il pericolo di un facile spiritualismo —, siano state a poco a poco scosse da indagini scientifiche più profonde, cui una influenza occulta della Scienza spirituale non è estranea. Il « trasformismo», nel suo mec- canismo, con i nuovi reperti della paleontologia, respinge sempre più nell'occulto di epoche primordiali (31) il momento di un preteso stacco dell'umanità dall'animalità sicché c'è da chiedersi se al limite non si rintracci l'umanità ad una profondità cosiddetta geologica ove sia impossibile continuare a volerla collegare all'animalità; ed è così che in Germania un antropologo, psicologo e etnologo di chiara fama, Henri Dacqué, ha potuto po- stulare una concezione dell'evoluzione vicinissima alla veduta esoterica sull'origine della specie; a loro volta, le localizzazioni cerebrali, lo « schema corporeo », proclamanti gli umani condizionamenti, invece di scalzare lo spirito, lo hanno fatto riconoscere nel più intimo del l'uomo in una posizione molto vicina a quella del « te stimone » delle dottrine indù.

 (31) I nuovi fossili reperiti dal Prof. Leakey, in Africa, hanno permesso di stabilire la presenza di un uomo, vicino all'uomo moderno, ad un'epoca risalente ad oltre 1.500.000 anni fa. 

 Lo spirito nella sua più profonda interiorità è l'Io nel suo stato proprio, cioè nie « vuoto » e nel « sonno profondo ». Se non fosse così non si potrebbe in alcun modo parlare ne dell'uno ne dell'altro; in questi stati l'io è in una situazione extra-mnemonica e premnemonica; è «testimone» al più alto livello. La maggior parte degli scienziati non possono avvertire quanto occorra andare nel profondo per rintracciare lo spirito, per afferrarlo nella sua essenza, laddove non è ancora assorbito nel pensiero riflesso e nei fenomeni della coscienza dipendenti dalle sensazioni. Quando perciò questi scienziati presentano questo pensiero e questi fenomeni come dipendenti strettamente dalle strutture neurocerebrali, credono di aver risolto il problema e di averlo risolto senza bisogno di far intervenire lo spirito, che è negato. Vi sono casi-limite, per loro, « ideali » per una tale dimostrazione, per la dimostrazione di un parallelismo psico-fisiologico, come, ad esempio, il celebre caso di Elena Keller, ripetutamente citato da certi scienziati per negare lo spirito. Ne vogliamo parlare, perché molto istruttivo. Elena Keller, sorda e cieca fin quasi dalla nascita, riuscì, con una educazione appropriata, a conversare, a leggere, a scrivere, a parlare diverse lingue europee, ad apprendere il latino, il greco ed infine a laurearsi alla Università di Radcliffe. Ella ci parla della sua vita interiore, prima di essere educata per via del solo senso del tatto; e ce ne parla come di un « vuoto » senza passato, ne presente, ne futuro. Gli psichiatri accolgono queste affermazioni come un trionfo delle loro tesi; di- cono che solo dopo avere appreso a compitare sulle dita potè passare a quel parlare inferiore che permette di articolare la parola e di avere poi le idee generali, il pen- siero: procedimento meccanicistico per eccellenza. Noi vorremmo chiedere, in primo luogo, come la Keller avrebbe potuto parlarci del suo stato, come « vuoto », a posteriori, se, al momento, non fosse stato presente «qualcuno» a testimoniarlo. E chi se non l'io! Altrimenti, la Keller non avrebbe potuto riportare a coscienza questo «vuoto» come una esperienza. Non avrebbe potuto dire se ciò che abbiamo chiamato la «sua esperienza » di allora fosse stato il « vuoto », o un mondo popolato di sogni astrali o di semplici sollecitazioni cenestesiche. Invece ella afferma che la sua vita intcriore era « senza speranza, ne aspettativa, senza meraviglia, ne gioia, ne l'idea di Dio, ne dell'immortalità, ne la paura della morte ... e quando imparai il significato di io e di me e mi accorsi di essere qualche cosa, allora cominciai a pensare: allora per la prima volta esistette per me la coscienza » (32). Solo persone fornite di facoltà grossolane possono prendere il dire della Keller alla lettera, senza approfondire ulteriormente. Più oltre la Keller dice: « lo pensavo e desideravo nelle mie dita » — facciamo notare l'estrema sottigliezza del ricordo — «... quando la mia istitutrice inco- minciò ad educarmi provavo soltanto un immenso diletto di potere con quei movimenti delle dita ottenere più facilmente quello che desideravo».

(32) Cfr — ad esempio — Prof. Vito Maria Buscaino, Pensiero e Linguaggio (10°- nota di uno studio dal titolo Udito e Linguaggio'» dal punto di vista neurobiologico), Acta Neurologica, n. 4, anno 1963. 

 .E noi ci domandiamo ancora : « chi » era presente nella coscienza «vuota » della Keller — se non l'io — da permettere a posteriori discriminazioni che ci sembrano sottili e precise? Nella misura in cui la « testimonianza » di un non evento, di uno stato « non-manifestato », dell'inesistenza di un qualsiasi fenomeno nel campo della coscienza è un « ricordo » — e qui la distinzione fra « ricordare » e « rammentare » è più di una sottigliezza etimologica —, si può ben dire che la Keller «ricordasse» quando escludeva di aver mai avuto un qualunque pensiero e provato un qualsiasi sentimento e impressione nella sua infanzia, prima di essere stata educata a per- cepire il mondo esteriore. Ciò non avviene negli smemorati veri, in coloro che in seguito a traumi fisici o psichici, ad un certo momento della vita, perdono comple- tamente la memoria, — classici sono i casi registrati durante gli ultimi conflitti mondiali e di cui si è impossessata anche una certa letteratura e la cinematografìa. Essi non sono in grado di dire assolutamente nulla — al contrario di Elena Keller — circa non solo gli eventi, ma anche — e ciò è importante — i « non eventi », il vuoto, il sonno profondo, della loro vita prima che la disgrazia li colpisse, e, se eventi, passati in blocco nel subcosciente, non perduti ; per quanto riguarda i « non- eventi », se questi smemorati non li ricordano — e dovrebbe poterlo essere sempre da tutti, in quanto il «vuoto», ad esempio, coesiste, come vedremo, nella vita corrente affianco ad ogni fenomeno, ad ogni pensiero —, ciò non è perché in tali casi non vi sia stato un «io» a testimoniarli — come si potrebbe credere od obbiettare —, ma perché quest'« io » non era e non è, in generale, esclusivamente e solo nel suo stato proprio, che è il vuoto, (sunhia) ed il sonno profondo (sushuptasthàna). Testimoniando anche tutti i fenomeni del mondo esterno e della coscienza, è su questi fenomeni che si polarizza l'attenzione e l'esperienza dell'uomo comune, che non ha alcuna conoscenza e coscienza di stati più sottili ed informali del mondo spirituale, ed è incapace di averne. E' solo nel caso di una Elena Keller — raro, benché non unico —, nel caso cioè di una persona che nulla ha da rammentare, perché nulla ha potuto ancora vivere e sperimentare del mondo sensibile, che l'Io può « testimoniare », in una diretta esperienza extra e premnemonica, quello stato assoluto che è il « vuoto » e che afferma e conferma la presenza dell'Io — contrariamente a quanto credono gli scienziati positivisti che potremmo benissimo chiamare materialisti — più di qualsiasi altro fenomeno esterno o moto interno della anima. Dicevamo che, anche nella vita corrente, purché si abbiano le qualificazioni e si acquisti l'intuizione per le realtà metafìsiche, è possibile afferrare e sperimentare il « vuoto »,coesistente affianco ai fenomeni della coscienza. Infatti, è noto che l'uomo non può pensare più di un pensiero per volta; fra un pensiero ed un altro — c'insegna la saggezza orientale — vi è un « vuoto », un vuoto che noi chiameremo «interstiziale»; prenderne coscienza è realizzare il nostro stato proprio, quella realizzazione spirituale che in India è sahaja-samadhi. La « coscienza testimoniante » non è una conoscen- za esclusiva delle dottrine estremiste indù affermanti l'illusione cosmica, l'Adwaita-Vèdànta, ma, ad esempio, nella stessa conoscenza integrale proposta da Shri Aurobindo essa rappresenta una parte di prim'ordine. Gli scienziati materialisti non ci spiegano, poi, come la Keller passasse dal compitare sulle dita ad articolare la parola, a quei parlare interiore che — secondo loro — farebbe spuntare le idee generali, ne ci spie- gano come dalla parola appresa e dalla sua articolazione fonetica si passi, o meglio si salti, al pensiero. Danno per certo e per scontato ciò che è da dimostrare e che è indimostrabile come tutto ciò che è inerente al pensiero riflesso, che può essere anche legato al parlare interiore, cioè alle facoltà neuro-muscolari. E giacché questi scienziati saltano tutti gli anelli del pensiero, le loro affermazioni sono già scontate al livello delle loro limitazioni mentali. Purtroppo, la Keller non ebbe — come del resto la maggioranza degli uomini — una particolare prepara- zione spirituale e quindi la capacità di spiegarci lo stato della sua vita intcriore quando era bambina con più aggettività e discriminazione. Senza voler stabilire un qualsiasi paragone fra ciò che avvertiva la Keller e la realizzazione degli stati essenziali degli Yoghi indù, diremo che l'Oriente tradizionale conosce la « vacuità », il « vuoto » come aspetto del non- manifestato (avyakta), assimilato al sonno profondo, orincipio in sé racchiuso, senza desideri, ne attività mentale; la sua esperienza è lo stato in cui la mente è immersa nella coscienza e vi è pace profonda : è Nirvì- calpa-Samadhi. Da questo stato, però, il pensiero, la coscienza pos- sono riemergere al sopravvivere di certe sollecitazioni. Ma, solo venendo al mondo — ed è il significato profondo dell'incarnazione —, lo spirito, cogliendosi come « io », può vagliare i « suoi » stessi stati essenziali, « luoghi » della sua presenza in quanto spirito, stati che la vera meditazione mostrerà in fine come « momenti » dell'ente sopra individuale. Come Elena Keller dovette esercitarsi — ed ogni uomo che viene a questo mondo deve farlo dalla nascita, pur senza sforzo se fornito dei suoi sensi — per poter percepire, inserirsi, esprimersi nel mondo terrestre, così l'uomo deve esercitarsi, con la pratica della percezione pura, della meditazione sulle energie, del pensiero libero dai sensi, degli atti liberi, dell'assimilazione di giusti pensieri spirituali, per penetrare cosciente- mente nei mondi invisibili, di fronte ai quali egli è come dormiente, in una situazione analoga mutatis mutandis a quella della Keller nei confronti del mondo terrestre. Ciò che veramente dovrebbe meravigliare — e non meraviglia affatto gli scienziati che hanno proposto il caso Keller e lo ripropongono ad ogni occasione — non è tanto che, prima del contatto con il mondo, la sua vita inferiore apparisse come una tabula rasa — fatto del resto diffìcilmente dimostrabile, come ogni altro del genere, malgrado le apparecchiature più perfezionate, e comunque, sempre dimostrabile in fondo a posteriori, quando cioè già sono intervenuti altri fattori imponde- rabili che possono — come certamente fanno — deformare ciò che è originario, fattori incoscienti ma anche coscienti —, quanto il fatto che la- Keller manifestò fa- coltà sorprendenti, capacità insospettate, appena educa- ta da un'amorevole istitutrice, educazione che, per quanto encomiabile, sotto altri rapporti, non poteva essere abbastanza adeguata ad un caso che si presentava disperato, trattandosi di un tentativo di cui non si era in grado di prevedere i risultati e le cui vie per raggiungere la coscienza erano sconosciute e interamente da tracciare. Ma una qualsiasi educazione, anche la più perfetta, e non ci riferiamo al soio caso della Keller, non può rappresentare che una parte sollecitatrice, essendo sempre simbolica nei confronti dello spirito che è indialettico. Non è l'articolarsi della parola che crea il pensiero; la prova è nella costante evoluzione dei vocabolari e nella continua creazione dei neologismi. Vi sono in ogni vita gruppi tensoriali di forze pronte ad entrare in gioco, anche se temporaneamente impedite da certi condizionamenti. Si dice in Oriente che una samadhi realizzata non a momento opportuno, anticipatamente e in disarmonia col complesso delle vite, possa comportare il « ri- torno alla terra » di un individuo, privo di quei sensi che arbitrariamente e asceticamente aveva escluso in una vita precedente, per raggiungere lo stato essenziale di «vuoto». Ma Suryananda Lakshmi (33) — discepola di Shri Aurobindo, e anche di altri grandi maestri indù — descrivendoci lo stato vedico di Brahman ( Kai- vaiya-mukti), rileva tutti i pericoli di una samadhi inautentica. Non si potrebbe allora spiegare il caso di Elena Keller — e i casi analoghi —, come il « ritorno alla terra » di un'anima individuale che abbia dovuto penosamente conquistare quel rapporto col mondo, normale negli altri uomini, per la karmica mancanza di quei sensi, volutamente esclusi in una vita precedente?

 (33) Cfr. Ma Suryananda Lakshmi, Queiques aspects d'una Sadhana, capitolo su L'Etàt de Brahman, Paris, 1964, Albin Michel.

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Vogliamo qui rispondere ad una obbiezione contro la reincarnazione avanzata dai tradizionalisti, secondo la quale la «reincarnazione» è metafìsicamente una impossibilità, in quanto limiterebbe la «possibilità universale» escludente la ripetizione di uno stesso stato. A noi pare che siffatta affermazione vada contro la tesi che si vorrebbe difendere, in quanto anche la «ripetizione» - in buona logica - è una possibilità e in questo caso è uuna possibilità ciclica e temporanea; infatti, la reincarnazione si inserisce in un ciclo evolutivo, che ha un principio ed una fìne e Steiner ci mostra l'uno e l'altra e ci fa seguire quest'idea dalle sue modalità originarie, quando era uno scambio di forze e di energie fra un mondo non ancora terrestrizzato e quello sottile e causale, all'esaurimento della sua necessità. Secondo le dottrine indù, anche i cicli si ripetono e se si obbiettasse - con una comoda formula che i tradizionalisti usano per appianare molte difficoltà - che i cicli sono analoghi, ma non identici, risponderemmo che ciò si può dire di tutto ciò che si manifesta in questo mondo. Non ci soffermiamo su altre obbiezioni contro la reincarnazione ché furono tutte più o meno confutate da un Tummolo, da un Bruers e da altri. Vogliamo solo aggiungere che la reincarnazione deve sempre essere inglobata in un contesto altamente spirituale per evitare la tendenza occidentale di dare più importanza ai fatti che alle idee. Si correrebbe il rischio di vedere molti sostenitori di questa idea alla ricerca di «prove» materiali suffraganti la reincarnazione - regressione della memoria, bambini prodigi, identifìcazione spiritica, fenomeni di paramnesia ecc., - prove di nessun valore od impossibili ad ottenersi, fonti di curiosità, di superstizioni, di delusioni. Questa idea unitamente a quella del karma - se l'uomo manterrà la sua posizione assiale - dovrà invece svilupparsi in una direzione che intensifìchi l'impegno spirituale, anche se questo si limitasse alla meditazione dei pensieri suscitati dalla Scienza dello Spirito. Ciò ci darà - per terminare con le parole di Massimo Scaligero - «luci sulla vicenda soprasensibile dell'uomo che sola può spiegare, illuminare e dare un senso alla vita sensibile sulla Terra» (34). 

 

(34) Massimo Scaligero. La Via della Volontà Solare, capitolo II.

 

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