copertina dell'edizione Rizzoli 1960

Sposarsi è facile, ma...

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IL PRIMO ANNO DI MATRIMONIO

I guai della vigilia

«Bisogna fare le cose con calma», dice la madre della sposa, memore dei propri tutt’altro che calmi preparativi di nozze. «Cominciare presto, per non trovarsi poi con l’acqua alla gola», sentenzia, memore delle proprie corse all’ultima ora nei negozi e delle crisi di nervi generali. «Tenere nota di tutto, per non arrivare alla vigilia con un sacco di cose non finite e un altro sacco di cose dimenticate», conclude, memore dei sacchi suoi, degli spilli infilati nell’angelico abito bianco al posto di cuciture essenziali, e del suo Carletto che dimenticò di ritirare le fedi, quel bamba, e poco mancò che dovessero sposarsi con gli anellini da tenda.

Sicuro: bisogna fare le cose con calma, cominciare per tempo, tener nota di tutto, non farsi prendere dall’acqua alla gola. Lo dicono le madri, lo dicono i manuali, lo dicono tutti. Io non ve lo dico, perché tanto so benissimo che, per quanto presto cominciate, per quanta calma vi proponiate, per quante note teniate, non riuscirete a evitare il tour de force degli ultimi giorni, i contrattempi, le discussioni, le amnesie, le corse, le arrabbiature.

Ci sarà sempre, come minimo, un certificato che non arriva e bisogna richiederlo telegraficamente al paesello («ma chissà che idea Gianni di nascere là, non poteva nascere qua come tutti gli altri e non complicare le cose?»); ci sarà sempre un documento che si è perso e che bisogna rifare, rifacendo anche la coda allo sportello («vacci tu, ma se sei tu che l’hai perso, ma se non l’ho neanche visto, ma sì che te l’ho dato in mano, ma che testa hai, già tu dai sempre la colpa a me, va bene, va bene, andiamo insieme a fare la coda»); e dopo che avete finito di recriminare, di fare la coda, di cambiare sportelli, di trepidare («se non ve lo danno subito non potete sposarvi il giorno fissato»), finalmente, quando siete sull’orlo di un collasso nervoso, il maledetto secondo certificato è pronto, ve lo consegnano, tornate a casa e la mamma vi dice, festosa, che ha ritrovato il primo: l’aveva messo lei in un certo cassetto per essere ben sicura di non perderlo.

Ci sarà la sarta che non consegna mai il vestito («lo sapevo, quella lì è una tiratardi, l’avevo detto, non è mai di parola, mi farà andare in chiesa in sottoveste, bisognava andare in una sartoria come si deve, se il papà non fosse così tirchio, e poi vedrai che non andrà bene»), e quando il vestito arriva fa un difetto da una parte e non si capisce perché e non si riesce a eliminarlo («bella figura, sposarsi con un abito sbilenco, prova a mettere un punto qua, prova a tirare su di là, ma no, è peggio, che nervi, ecco cosa succede a fare le cose in questo modo»). Ci saranno visite da fare all’ultimo momento. Compere idem. Acquisti controversi («vuoi sempre fare di testa tua, e io vorrei sapere cosa c’entra tua madre, non sei gentile, non hai gusto, è tutta colpa di tua madre, sei tu che sei prepotente, se fai così adesso figuriamoci dopo»). Ci saranno inviti strategici che si è trascurato di fare, e bisogna architettare scuse barocche per giustificare il ritardo. Ci saranno indisposizioni a catena, generalmente prosaiche, tipo orticaria o disfunzioni intestinali. I mobili che non arrivano. Le bomboniere che sono troppo poche. La lista dei regali incompleta o mal compilata («o Dio chi ci regalerà il portariviste?»). I doppioni («o Dio, chi ci ha regalato quattro portariviste?»). I maledetti ringraziamenti. La parente che viene dal paesello e si offende a morte se se non le si dedicano tutte le premure a tutte le ore del giorno. Il tipografo che non consegna le partecipazioni, e quando finalmente le consegna si scopre che ci si è dimenticati di far mettere il Dott. Ing. Cav. Davanti al nome dell’augusto suocero, e si passano ore di angoscia: « Se ne avrà a male? Crederà che l’abbiamo fatto apposta perché il papà è solo Rag.? Come facciamo? Ci scusiamo? Facciamo finta di niente?». (consiglio, en passant: fare finta di niente). Oppure le partecipazioni avranno tutti i titoli e i controtitoli a posto, ma si scoprirà un catastrofico refuso, per esempio “diletto tiglio” invece che “diletto figlio”, lui dice di lasciarlo che è umoristico, lei non è in condizioni di apprezzare l’umorismo, e così nottetempo si devono correggere una per una a penna (con effetto ancora più umoristico) le millecinquecento maledette copie delle maledette partecipazioni.

È curioso osservare come, proprio nell’aura benedetta della vigilia, le cose abbiano la tendenza a diventare maledette.

Per modo di dire, naturalmente. Non c’è niente di veramente maledetto, niente di drammatico; sono tutte sciocchezze di contorno, di nessuna importanza, che però, dato il clima particolare, assumono proporzioni esagerate e, sommate insieme, possono trasformare quella che dovrebbe essere una lieta, commossa attesa in una disordinata ridda di cose, parole, persone stanche e nevrotiche.


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