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Un dittatore

Ho vent'anni e sono insegnante elementare. Da un anno e mezzo sono fidanzata ad un ragazzo di ventiquattro anni, che mi vuole molto bene, e anch'io lo ricambio; con tutto questo litighiamo continuamente e non siamo affatto felici. Lui è un professionista, bravo nelle sue cose, intelligente e con una proficua carriera davanti. Ma il suo modo di volermi bene mi spaventa e mi fa soffrire. Io sono molto sincera, spontanea e impulsiva, lui pure è impulsivo e anche nervoso, perciò non c'è da meravigliarsi che si bisticci ogni tanto. Ma quello che mi addolora è che se lui vede che qualcosa mi piace o mi commuove, immediatamente la deride o la disprezza, non solo, ma diventa di pessimo umore. Già diverse volte, per esempio, ha offeso la mia famiglia, solo perché vede che io voglio molto bene ai miei genitori e ai miei fratelli. Se vede che mi interesso a uno spettacolo cinematografico a cui assistiamo insieme, mi distrae nei momenti più emozionanti per farmi discorsi che non c'entrano per niente, o per baciarmi quasi con rabbia, e a volte arriva a portarmi fuori dal cinema. Se uno scrittore mi piace, lui dice che è un fesso o un arrivista. Arriva a contraddire se stesso, pur di contraddire me. Due volte per questi motivi ho tentato di lasciarlo, ma poi lui si mostra così pentito, così innamorato, che io cedo, pensando che forse fa così perché mi vuole troppo bene. Io sono felice per lui quando vedo che si diverte, che il lavoro gli va bene, che è contento, perché lui deve invece soffrire della mia felicità, se non è stato lui e solo lui a causare questa felicità? Questo, più che amore, mi sembra uno spaventoso egoismo. Come posso fare per cambiarlo? Non mi dica di avere pazienza, perché non ne ho.

(Trieste nel dubbio, 1954 )

E allora, secondo me è meglio che lo lasci perdere. Per sperare di essere felici con un uomo come quello che lei mi descrive, bisogna: primo, amarlo moltissimo, più di se stessi, più della propria famiglia, più di ogni cosa; secondo, avere una grandissima pazienza. Li conosco, questi dittatori dell'amore, e conosco la loro inesauribile capacità di rendere infelice la loro donna e se stessi. Molti anni fa, una mia amica, che chiamerò Marinella, era fidanzata con uno di questi dittatori. Marinella era gaia, impulsiva, entusiasta, sensibile alle cose belle, e anche il dittatore lo era: io che lo conoscevo da prima che si innamorasse di Marinella, lo sapevo. Sapevo, per esempio, che era un appassionato del teatro di prosa; ma da quando si accorse che Marinella aveva la stessa passione, rinnegò il teatro per frequentare con lei solo i cinematografi, dove tutti e due si annoiavano a morte. Io sapevo anche che al dittatore piaceva molto Leopardi: ma da quando scoprì che era il poeta preferito di Marinella, cominciò a demolirlo come uomo e come poeta, a chiamarlo « Giacomino» o anche «gobbetto ». A Marinella piaceva molto dipingere: i suoi erano quadretti da dilettante, ma molto graziosi, vivi e personali; il dittatore li chiamava croste, e lasciava capire che le donne che dipingono dovrebbero essere punite con l'ergastolo. Marinella amava molto il proprio padre, che era un medico; il dittatore non perdeva occasione di sputare spiritose ma tutt'altro che simpatiche sentenze sui medici e sulle famiglie dei medici.
Qualsiasi simpatia, qualsiasi affetto, qualsiasi aspirazione di Marinella lo irritava, lo feriva, suscitava il suo rancore o il suo spirito polemico (che erano, in fondo, un'emanazione della sua terribile fame di possesso esclusivo). E poiché Marinella non aveva pazienza, pur volendogli bene finì per lasciarlo e sposare un altro che le vuole forse meno appassionatamente e ferocemente bene, ma che la tratta come una donna intelligente, non come un oggetto di sua esclusiva proprietà, preziosissimo, ma del tutto privo di volontà e di cervello. Il dolore del dittatore fu violento e senza riserve, com'era stato violento e senza riserve il suo amore. Ma pochi anni dopo, quando s'innamorò di nuovo, gli vidi commettere gli stessi errori. La seconda fidanzata pianse e soffrì abbondantemente anche lei, in principio. Ma poiché era meno giovane, meno impulsiva, e forse più innamorata, di Marinella, imparò, a poco a poco, l'arte della pazienza. Imparò (almeno apparentemente) ad anteporre il dittatore a qualsiasi cosa, sempre, senza bronci e senza ribellioni; imparò a dominare i propri entusiasmi, imparò a rinunciare, imparò a dare al dittatore la sensazione (per lui vitale) di essere il padrone assoluto d'ogni atomo del suo cervello, del suo corpo e del suo cuore. Sono sposati da molti anni, e in casa loro regna una discreta armonia. Il dittatore, intendiamoci, è sempre un dittatore (questa forma di gelosia spirituale, ancor più penosa secondo me di quella fisica, non si guarisce mai del tutto), però è un dittatore molto annacquato, e pieno di gratitudine per i suoi sudditi (moglie e figli). Infatti con gli anni anche un dittatore finisce di solito per capire l'enorme valore della libertà spirituale, la fertile saggezza del «vivi e lascia vivere». Ma come le dico, «Trieste nel dubbio», ci vuole molto tempo, ci vuole molto amore, ci vuole soprattutto un'infinita pazienza. Lei dichiara di non averne: per questo io le consiglio di rinunciare, per il suo bene, e anche per quello del suo fidanzato. Ma la prego, non gli serbi rancore: questi dittatori morali sono in genere dei poveri infelici.

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