Riministoria-il Rimino
Umanesimo malatestiano.
Prima di L. B. Alberti: Marsilio da Padova e il Defensor pacis.

Rilettura della cappella delle Arti liberali. 2.

Attorno al 1324, Marsilio da Padova compone il Defensor pacis contro Giovanni XXII ed a favore delle posizioni assunte da Ludovico il Bavaro.
Difensore della pace, come osserva Gianmarco Altieri (in un saggio in «Storia delle dottrine politiche», 2010, sul web), è l'imperatore: «Lo scopo dell'opera dell'imperatore, dunque il suo fine, è proteggere l'ordine e difendere la pace nei territori europei». Altieri definisce Marsilio «uomo molto colto e curioso».
Marsilio vuole confutare le posizioni teocratiche e teorizzare un governo "democratico" in cui tocca al popolo di fare la legge «a beneficio della comunità», seguendo il dettato aristotelico contenuto nella «Politica» (III, IV), come lo stesso Marsilio dichiara (I, 3, 6): ogni cittadino dev'essere libero e non accettare l'altrui "dispotismo".
Per questi motivi, spiega Cesare Vasoli, «il nome di Marsilio resta legato ad una grande battaglia per la libertà civile dello Stato, ad una strenua difesa di quel piano di civile convivenza umana ove le differenze delle fedi, i contrasti delle ideologie e delle credenze debbono cedere dinnanzi alla sovranità della legge "umana" ed all'uguale diritto di tutti i cittadini». [1]
La «grande battaglia per la libertà civile dello Stato» di cui parla Vasoli per Marsilio da Padova, è stata giustamente definita un «contributo veramente rivoluzionario della teoria dello Stato di Marsilio soprattutto perché pone a tutti i cittadini - indipendentemente dalle ideologie e dalle fedi - uguali doveri (cedere di fronte alla sovranità della legge) e uguale diritto» [2].
Marsilio, come spiega Vasoli [3], si distacca dalla tematica tradizionale del pensiero politico medievale, «segnando il punto d'inizio di una considerazione dello Stato e delle società umane destinata a restare per secoli a fondamento della nuova scienza politica».
Con Marsilio, «non è più la giustizia a fondare la legge, ma questa quella» [4]. Con Marsilio da Padova, dunque, si entra nell'ambito culturale il quale prelude all'Umanesimo civile che vediamo raffigurato a Rimini nelle immagini della Cappella delle Arti liberali al Tempio di Sigismondo, tutte giocate a dimostrare che il loro scopo principale è educare alla "polis", creando Concordia tra i cittadini, ai quali tocca di costruire la "città giusta" con leggi per formare persone moralmente integre.
Quelle immagini rispecchiano e realizzano i progetti albertiani di un "umanesimo civile" ben espresso da un passo del suo trattato «Della famiglia»: Iddio volle negli animi umani «un fermo vincolo a contenere la umana compagnia, giustizia, equità, liberalità, e amore» per meritare grazie e lode presso «li altri mortali», e pietà e clemenza presso il Procreatore.

NOTE
[1] Per il testo di Marsilio, rimandiamo all'ed. della sua opera, con traduzione di Cesare Vasoli, Torino 1960. Qui, nell'«Introduzione», curata dallo stesso Vasoli alle pp. 9-78, troviamo la parte da noi citata (cfr. p. 77). Circa il testo di Marsilio, leggiamo in Battaglia, La vita di Marsilio da Padova e la filosofia politica del Medio Evo, Firenze 1928, p. 45 che si ipotizza con argomenti esigui una collaborazione ad esso di Giovanni di Jandun, il quale «almeno indirettamente» dovette collaborare con Marsilio (p. 43). Giovanni di Jandun fu «magister artium» e docente nel collegio di Navarra (p. 38). Giovanni era «uomo di svelta ed acuta intelligenza» che ben presto «salì in gran fama, sia per l'insegnamento ai quale si dedicò, sia per le dotte sue opere di filosofia» (p. 38). Ricorda poi Battaglia (p. 50): «Compiuto cosi il Defensor pacis, Marsilio si sottrasse al pettegdlo scandalistico ambiente parigino, e con il suo amico Giovanni di Jandun fuggì in Germania presso l'imperatore Ludovico», a Norimberga (cfr. p. 182). Su ciò, si veda pure alla p. 180 dove si ricostruisce la cronologia dei fatti: il 19 giugno 1324 Marsilio affitta una casa a Parigi, che non abierà mai, non pensando alla minaccia papale, mentre il 24 dello stesso mese termina il Defensor. Quando «forse ancora si svolgeva il processo del vescovo di Parigi, Giovanni XXII in una sua bolla del 3 aprile 1327 accennava ai due eretici Marsilio e Jandun, e rimproverava a Ludovico, per la seconda volta scornunicato, di trattenerli presso di sé» (p. 183).
Per le notizie biografiche, cfr. G. C. Garfagnini, Alcune osservazioni intorno al Defensor pacis di Marsilio da Padova, «Annali del Dipartimento di Filosofia. Università di Firenze», 9-10, 2003-2004 [ma 2005], pp. 33-41,33-34, dove leggiamo: «Il 24 giugno 1324, a Parigi, Marsilio pone la parola fine al Defensor pacis; il 23 ottobre 1327, ad Avignone, il pontefice Giovanni XXII condanna al rogo l'opera (dopo che l'autore era già stato scomunicato il 9 aprile); il 10 aprile 1343, in concistoro, Clemente VI, dà notizia della morte del maestro e proclama ufficialmente che è finalmente venuto meno il peggiore nemico della Chiesa che si fosse mai visto. Sono tre date che tratteggiano, in controluce, la figura di un grande filosofo e pensatore politico che, nel corso della seconda parte della sua vita, ha cercato, sia nell'agire politico che negli scritti, di porre in pratica gli elementi fondamentali dell'intuizione da cui era nato il Defensor pacis e con cui aveva cercato di risolvere una serie di problemi che avevano ossessionato i maestri delle arti sin dalla prima apparizione dell'Etica aristotelica e, successivamente, della Politica: che cos'è lo stato, quale sia l'organizzazione migliore per una effettiva «congregatio civium», su che cosa riposi la legittimità di qualsivoglia comunità politica e quale sia il vero fine di essa».
Qui leggiamo pure: «Il Defensor pacis è un'opera complessa (e non solo dal punto di vista quantitativo), che fonde insieme le caratteristiche dell'originalità di pensiero del suo autore con quelle della struttura formale articolata in "dictiones", in cui elementi di concettualizzazione politica, argomenti di polemica esegetica e conclusioni autoritative trovano la loro giusta collocazione secondo le norme della trattatistica scolastica e con tutto il massiccio apporto delle necessarie "auctoritates". Ma vi è anche un altro elemento che merita di essere sottolineato, soprattutto tenendo d'occhio il contesto temporale e la vicenda personale di Marsilio, e cioè l'altissima levatura spirituale che accompagna l'indubbia padronanza filosofica dell'autore. Lo scomunicato ed "eretico" Marsilio, infatti, si mostra in queste pagine, in massima parte concepite come una deliberata e netta contestazione dell'operato della Chiesa, come un uomo partecipe di sentimenti di elevata spiritualità; e ciò non sembri un paradosso. Il Padovano, certamente, non è uno "spirituale" né è la sua militanza antiavignonese, in comune con Guglielmo d'Ockham e Michele da Cesena, nelle file dei sostenitori di Ludovico il Bavaro a dare un senso a questa spiritualità, né la sua partecipazione all'aspra discussione originata dall'interpretazione della "povertà" di Cristo e degli Apostoli all'interno ed all'esterno dell'ordine francescano; anzi, le sue prese di posizione sul problema della povertà nella Chiesa vanno in direzione diversa da quella presa dai due frati minori. Esse provengono da una precisa presa di coscienza sia di ciò che l'uomo è, nel suo essere composto di un elemento spirituale e di uno materiale, nella sua fattuale singolarità sia di ciò che significa per quell'uomo, così come di fatto è, il messaggio cristiano» (pp. 35-36).
Cfr. pure, sulla biografia, l'opera ed il contesto storico, E. Emerton, The Defensor pacis of Marsiglio of Padua, Cambridge 1920.
[2] Cfr. S. Guglielmino-H. Grosser, Il sistema letterario, I. Duecento e Trecento, Milano 1987, p. 329.
[3] Cfr. nell'«Introduzione» cit., p. 75.
[4] Cfr. R. Esposito, «Il pensiero politico», pp. 81-93 in Manuale di letteratura italiana, I, a cura di F. Brioschi e C. Di Girolamo, Torino 1993, p. 87.

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Antonio Montanari

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