Alle origini di Rimini moderna (16). Quel passaggio di truppe imperiali nel 1531 che Carlo Tonini non sa spiegare, è un momento della confusione politica italiana che affama le nostre terre
Guerre lontane, miseria in casa
[Versione non definitiva]
Un'incisione a stampa del 1657 mostra un nobile che riceve l'omaggio del contadino il quale gli reca i prodotti della sua fatica. Sullo sfondo, dietro lo sfarzoso copricapo del signore, un'immagine allegorica riassume il senso politico della rappresentazione: una tela di ragno imprigiona la mosca. Il signore è quel ragno, il contadino la mosca.

Le armi straniere
Anche nella Romagna tra 1500 e 1700 il contadino vive nella condizione riassunta dall'incisione del 1657. Qualche decennio prima, nel 1615, il poeta modenese Alessandro Tassoni (1565-1635), celebre autore della "Secchia rapita" e buon conoscitore per esperienza diretta della diplomazia romana, pubblica anonimo ed alla macchia un testo politico antispagnolo. In esso denuncia la fatale infelicità d'Italia per aver perduto dopo l'impero anche "il viver politico", cioè il senso di appartenenza ad una comunità da governare in unità e libertà. Il titolo del testo è "Filippiche", lo stesso delle orazioni di Demostene contro Filippo il Macedone (IV sec. a. C.).
Tassoni accusa la politica italiana: aderiamo alle armi straniere "per seguitar la fortuna del più potente". Quelle armi portano gloria ai sovrani incensati dalle storie dei loro Paesi d'origine, e miseria ai popoli anche lontani dalle battaglie, e talora dimenticati nei libri che raccontano quei tempi. Un esempio tutto nostro. Carlo Tonini (1887) scrive che a Rimini nel giugno del 1531 c'è un passaggio di truppe imperiali, del quale non sa spiegare l'occasione ed il motivo. Se avesse preso in mano qualche volume, si sarebbe accorto della confusione italiana in cui Rimini è di riflesso coinvolta.

Due dame, una pace
Il 12 agosto 1530 Firenze si è arresa alle truppe imperiali che fanno tornare al potere i Medici. Carlo (1500-1558) V è stato incoronato dal papa a Bologna con due cerimonie, il 22 ed 24 febbraio 1530, per distinguere il potere italiano da quello imperiale. Sullo sfondo c'è l'accordo di Cambrai del 5 agosto 1529, la pace detta delle due dame perché negoziata da Luigia di Savoia madre di Francesco I re di Francia e da sua cognata Margherita d'Austria, vedova di Filiberto II di Savoia zia di Carlo allora re di Spagna, Austria e Germania. Essa assicura alla Spagna il dominio sull'Italia.
Quella pace, osserva L. A. Muratori, fece esultare, "come se dopo tante tempeste fosse giunto il sospirato tempo sereno. Ma non fu così". Da quelle tempeste è stata indirettamente colpita anche Rimini. Qui, dal 1512 al 1515 si registrano ripetuti passaggi di francesi e spagnoli. Questi ultimi sono descritti da Muratori (sotto la data del 1529 e riferendosi a Genova e Milano) come gente bruttissima e orridissima a vedersi, senza scarpe e calzoni: avevano nome di soldati, ma si dimostrarono eccellenti ladri pure nelle case dei poveri, per colpa del loro re che non li pagava.

Verso l'Emilia
Per l'operazione militare di Firenze sono impiegati fanti tedeschi, spagnoli e pontifici. Sistemati i Medici al potere, le armate non restano disoccupate. Adesso lo scontro è tra Carlo V ed il papa che rifiuta l'ordine (21 aprile 1531) di dare l'investitura dei ducato di Ferrara ad Alfonso d'Este. E che vorrebbe Modena e Reggio per i suoi parenti. Carlo V muove i suoi soldati verso Bologna e Modena, dove arrivano il 25 giugno. Sono quelli transitati appunto nello stesso mese a Rimini, e ricordati da Tonini. Sono quelli che, secondo l'attento cronista modenese e ricco borghese Tommasino de' Bianchi detto il Lancellotti (1473-1554), nei mesi precedenti hanno rovinato la Romagna e la Toscana, portandovi oltre la paura anche la fame.
All'inizio di giugno un bell'esercito del papa è presente in Romagna, si diceva per andare a Ferrara, mentre s'indirizza a Bologna, scrive Tommasino de' Bianchi che dà la colpa della prima falsa notizia ai fiorentini, che sono ingegnosi: dicono una cosa e ne fanno un'altra, come sottolinea un proverbio per cui essi prevedono le cose prima che succedano, mentre i senesi dopo che sono accadute...
Il 18 giugno è giunto a Bologna il nuovo Commissario del papa, quel fiorentino di Francesco Guicciardini, su cui Tommasino de' Bianchi osserva: si dice che egli farà tanta giustizia che punirà anche i peccati veniali come quelli mortali, seguendo il modello imposto da governatore a Modena, Reggio, Parma a Piacenza.
Da Bologna nel frattempo è arrivata un'altra notizia. La fonte era degna di fede. Una porca aveva fatto un porcellino con il volto umano, per cui era stato mostrato al governatore della città che lo aveva fatto ritrarre per informare Roma.

Soldati e femmine
Il 28 giugno il capitano dell'esercito spagnolo arriva a Modena. La sera prima è passata l'artiglieria con munizioni e molti carri di “robe del campo”, assieme ad un corteo di duemila femmine a cavallo che portavano cani, sparvieri e “cose assai non convenienti a soldati”. Soldati e fanciulle vogliono mangiar e bere bene, scrive il teologo Lodovico Vedriani (1605-1670) nella sua storia della città (1666). I poveri non ricevono il pane che è spedito ai militari, precisa Tommasino de' Bianchi. Dall'anno precedente nella Romagna ferrarese stanziano quattromila militari spagnoli a spese dei Comuni, si legge nella “Storia di Lugo” di G. Bonoli (1732).
Il primo marzo 1557 arrivano a Rimini ventimila uomini dell'esercito francese, il cui comandante corre a Roma per cercar i soldi delle paghe destinate ai suoi uomini che nel frattempo lascia nelle nostre campagne. Essi depredano e rovinano, narra C. Clementini nel "Trattato de' luoghi pii", "con istrage delle viti, et arbori d'ogni sorte, e degli edifici", non rispamiando neppure i luoghi sacri come la chiesa di san Giuliano o la parrocchiale della Villa di santa Giustina.
Le provviste preparate dalla città erano soltanto per sei giorni. I soldati vi rimangono per ventidue. "Non mancava formento, ma perché i Francesi hauevano demoliti, et abbrigiati i molini, era impossibile macinare, e questo cagionò grandissimi, e pericolosissimi tumulti". Per rimediare ai quali, l'autorità pubblica prende a forza a Chierici e Secolari le farine accantonate per uso proprio, ma è un debole ripiego. I ravennati, per tener lontani i francesi dalle loro case, aiutano i riminesi inviando del pane destinato a quella truppa. Alla cui partenza si fanno i conti: la città era in un mare di travagli con una grossa perdita di biade, farine e vini.

Il caso di Forlì
Nella storia di Forlì pubblicata nel 1661 da Paolo Bonoli si ricorda quanto accaduto nel 1527 con i soldati di Borbone che per procurarsi viveri scorrevano confusamente dappertutto. Erano fanti quasi tutti spagnoli “che sbandati cercavano foraggio”. Meldola è saccheggiata. Il fenomeno, quindi, riguarda tutta la nostra regione con gravi conseguenze sul piano economico, delle quali ci si dimentica privilegiando una narrazione tutta legata ai fatti diplomatici o alle biografie di personaggi illustri in sede locale o nei piani alti della politica.
A Forlimpopoli nel 1530, come si legge nella sua storia composta da M. Vecchiazzani (1568-1674) e pubblicata a Rimini nel 1647, contro le ruberie degli spagnoli non può nulla neppure il vescovo di Cesena, che era pure nunzio apostolico e commissario dell'esercito. Dovrebbe trattarsi del cardinale Pompeo Colonna, vescovo commendatario o sussidiario di Cesena. E così si decide di dare un piccolo sussidio a tutti gli abitanti del territorio. Soltanto con l'arrivo del giovanissimo (19 anni) cardinal Ippolito de' Medici, cessano le molestie degli spagnoli.
Nel 1559 dopo la pace di Cateau-Cambrésis, l'ambasciatore veneziano Michele Suriano, di ritorno da Madrid, scrive che nel mondo comandano in tre, Spagna, Francia ed il “Signor Turco”. La Spagna in Italia domina sino al 1748, pace di Aquisgrana.
(16. Continua)

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Antonio Montanari

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