Carlo Alberto Balducci
Testimone della fede ed uomo di cultura
"il Ponte", n. 33, 1991

Il prof. Carlo Alberto Balducci, scomparso il 3 settembre a 82 anni, è stato il più autorevole collaboratore del «Ponte». Con la sua profonda preparazione e con quella cura che poneva nel seguire la vita culturale cittadina e della Romagna, sapeva avvicinare il lettore, fornendogli un'informazione attenta e meditata: era consapevole che ogni scritto non è mai divagazione, ma espressione di impegno.
«La sua finezza e sensibilità, la sua profonda competenza gli consentono di spaziare su vari campi, che vanno dalle opere di studiosi locali, alla rievocazione di personaggi contemporanei ed ormai scomparsi; dagli interventi su questioni di attualità al confronto con i "riminesi della diaspora"»: così F. Succi ne ha parlato nel volume sui «Dieci anni» del «Ponte» (1986).
Nello stesso volume, Giorgio Tonelli riportava una pagina del prof. Balducci, il ricordo dedicato ad un giovane morto per droga: «Ho conosciuto Roberto nel febbraio '76 in carcere, non ancora ventenne, e da allora non l'ho più perso di vista: mi si è rivelato un ragazzo fragile, inquieto, contraddittorio, triste, quasi portasse dentro di sé un peso troppo grave da sopportare, ma con la sensazione, già in partenza, di non farcela e di subire delle ingiustizie, non tanto da parte degli altri uomini, quanto dalla vita».
Vita e società. Attorno a queste due parole girava il dibattito sul finire degli anni '60. Il prof. Balducci nel '65, già preside del «Serpieri», passò al Classico, succedendo ad Arduino Olivieri. Poi, preferì tornare all'insegnamento, che forse riteneva più consono al suo spirito di educatore.
Nel '68-69, mi accolse affettuosamente come giovane collega alle Magistrali, rette da un galantuomo come il prof. Giorgio Magnani di Bologna. Erano giorni inquieti. In un Collegio dei docenti, in cui ci furono accese discussioni sulla vita scolastica e su quella che allora di chiamava la contestazione, si sentì sommessa ma ferma la voce del prof. Balducci: «Anche a noi non piace questa società». Era una frase che, lo confesso, allora mi passò via veloce, nel clima incandescente di quei momenti. Ma essa mi è tornata spesso alla mente, negli anni successivi, sempre legata all'immagine del prof. Balducci: e sempre quelle parole mi hanno fatto riflettere, perché dentro portavano il segno non di un ribellismo giovanilistico, allora tanto di moda, ma di una consapevolezza religiosa e storica di quanto chiede l'umanità nella difficile (o impossibile?) ricerca della giustizia terrena.
Egli aveva un atteggiamento di dolcezza e di modestia, non voleva mai metterti a disagio, anche quando la sua autorevolezza culturale avrebbe potuto incutere timore, almeno a noi di una generazione abituata al rispetto dei più anziani e dei più degni.
La fede ne ha fatto un uomo caritatevole, silenziosamente vicino agli ultimi, come testimonia quella frase appena citata: «Ho conosciuto Roberto... in carcere».
Casualmente, in queste ore, ho ritrovato una poesia del prof. Balducci, pubblicata nel '65: «Tremule luci / danzanti sull'acqua / non ridestate dal fondo marino / il cantare sommerso dell'anima / pausato / dalla solitudine amara / che nuvola tesa / di inquieti pensieri / incupisce». È stata forse la consapevolezza di questa solitudine esistenziale, che lo ha portato a cercare di consolare quella solitudine di chi, meno fortunato, soffriva di più.
Il debutto del prof. Balducci in campo letterario era avvenuto negli anni '30, con prestigiose collaborazioni a riviste di storia antica e di filologia. Nel dopoguerra, aveva scritto in pubblicazioni dei Lincei, oltre che in «Studi romagnoli». Nel 1953, con A. Priromalli curò un volume su A. Bertòla a 200 anni dalla nascita. Al '60, risale un saggio sugli «Aspetti religiosi e politici del Concilio di Rimini», apparso poi (nel '64) anche negli «Atti della Deputazione di Storia Patria» di Bologna. Altri suoi scritti sono in «Rimini Storia e Arte», rivista edita da Cosmi nel '69; nella locale «Rivista Diocesana» (1971, «Brevi appunti di attualità»); e nel «Giornale di Metafisica». Ha steso le prefazioni a opere di autori concittadini, come Oreste Cavallari e Romolo Comandini: di quest'ultimo ha curato anche un sentito «Ricordo» (1972). Ha edito pure due minuscole raccolte di poesie, nel '72 e nel '77.

Antonio Montanari

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