il Rimino - Riministoria

Guido Nozzoli storico

Dal quotidiano «Il Giornale di Brescia» del 23 agosto 2002 riprendiamo questa pagina in cui è citato Guido Nozzoli a proposito del suo volume sui «Ras del regime».

I legionari di Gabriele D’Annunzio nella piazza di Fiume
di Giovanni Lugaresi

Le molte imprese e la fine misteriosa del gerarca Ettore Muti raccontate in una biografia scritta a quattro mani da due giornalisti marito e moglie. Ardimento e declino d’un combattente scomodo


Il primo a paragonarlo a un capitano di ventura, di quelli che al tempo delle signorie rinascimentali era dato incontrare nelle terre di Romagna, era stato Guido Nozzoli in un vecchio libro pubblicato da Bompiani negli anni Settanta: «I ras del regime». E da lui altri avrebbe poi mutuato quell’immagine di capitano di ventura, ancorché... fuori tempo. Non che gli difettassero coraggio, spregiudicatezza e carisma, ma i tempi non erano più quelli, e in più il nostro personaggio non si batteva per danaro, ma per il piacere della pugna - dannunzianamente, e non a caso, si direbbe. Il personaggio: Ettore Muti detto «Gim», con un’aggiunta: «... dagli occhi verdi», datagli da Gabriele D’Annunzio nei giorni dell’avventura fiumana. Ecco, allora, «Gim dagli occhi verdi», il petto più decorato d’Italia, lo squadrista violento, il fedelissimo combattente del fascismo, il soldato che non si fermava davanti ad alcun ostacolo, l’uomo alieno da qualsiasi idea o teoria politica, istintivo, solare, negato agli intrighi di palazzo; insomma, solo uomo d’azione. Dotato di un coraggio non comune, di un’energia fisica notevole, Ettore Muti era insofferente del quieto vivere, amava l’avventura, e in più possedeva quel tal «sangue romagnolo» in forza del quale se c’era da menare le mani in piazza, o da battersi in guerra, lo si trovava in prima fila. Nella Prima guerra mondiale tentò di arruolarsi appena quattordicenne (era del 1902), ma fu scoperto e rimandato a casa. Accettare la situazione? Nemmeno per sogno. Ed eccolo allora, falsificando sui documenti la data di nascita, riuscire nel tentativo, andare al fronte e finire la guerra fra gli Arditi. Un personaggio siffatto non poteva restare estraneo, a conflitto concluso, a quel che si andava delineando nel panorama italiano: l’incontro con D’Annunzio e l’avventura fiumana. Ora, se fra le tante biografie di personaggi, direttamente o indirettamente legati al fascismo, la sua mancava, a porre rimedio alla lacuna hanno provveduto due giornalisti uniti dalla passione per la storia, ma uniti anche nella vita: Domizia Carafòli e Gustavo Bocchini Padiglione sono, infatti, moglie e marito. Si deve alla loro penna «Ettore Muti il gerarca scomodo» (Mursia, 14,50 euro). Il libro è ricco di fatti, di particolari riguardanti il personaggio, opportunamente inserito in quella Romagna turbolenta dei primi decenni del secolo, e quindi nel ventennio fascista. In quella sua terra ribollente di passione politica e poi in un’Italia che nel giro di non molti anni (1935-1945) fu impegnata in una guerra continua. E di quella «guerra continua» Muti fu uno dei protagonisti: in Etiopia, in Spagna, in Albania e sui fronti del secondo conflitto mondiale come ufficiale dell’aeronautica, sulle orme dell’amico Italo Balbo, col quale aveva condiviso le spedizioni squadriste dei primi anni Venti. Ufficiale pilota: con Ciano e Pavolini in Abissinia, quindi con altri assi (e asso lui stesso) sui cieli della penisola iberica, eccetera eccetera. Gli autori raccontano il personaggio con le sue caratteristiche, i suoi limiti, soprattutto dal punto di vista politico, sottolineandone il fallimento quando fu chiamato a succedere a Starace alla segreteria del Pnf. Certo, la vicenda di Muti, conosciutissima e osannata durante il ventennio, doveva avere un tragico e misterioso epilogo. Dopo il 25 luglio 1943, benché si fosse lealmente schierato con la monarchia e il legittimo governo di Badoglio, venne arrestato (era la notte del 24 agosto 1943) e ucciso in circostanze mai chiarite. Una messa in scena con carabinieri in uniforme, con un ufficiale che lo dichiarò in arresto prelevandolo dalla sua villa nella pineta di Fregene, con un misterioso uomo in tuta mimetica, coi fischi «segnaletici» e una fitta sparatoria nell’oscurità. Un’operazione che si disse voluta da Badoglio, e che certamente fu ideata da vigliacchi. Su quella morte molto si è scritto nel dopoguerra e fino a oggi; di quando in quando, inchieste, servizi giornalistici e capitoli vari di storia patria hanno cercato di ricostruire con precisione quell’evento e il movente di quell’uccisione. Ettore Muti era temuto, soprattutto da quelli che paventavano una reazione fascista all’arresto di Mussolini, anche se - come detto - il personaggio si era schierato col legittimo governo. Ecco, comunque, un possibile movente. Ma il mandante - o i mandanti - diretto o indiretto? Si fece il nome di Badoglio, e lo si è continuato a fare. La biografia della Carafòli e di Bocchini Padiglione è ricca di dati, episodi, azioni belliche e... di alcova; già, perché Ettore Muti, benché marito di una bella signora romagnola, e padre di una bellissima figlia (Diana), che viveva sempre con la madre a Ravenna, infrangeva cuori dovunque (e da una relazione con una spagnola, cugina dello scrittore Giovanni Ansaldo, doveva nascere un bimbo). Ma su tutto emerge il coraggio di questo soldato, il cui petto rassomigliava a quello di certi generaloni e marescialli sovietici, tanto era ricoperto di decorazioni al valor militare. Ne citiamo qualcuna: una medaglia d’oro, dieci d’argento, quattro di bronzo, cinque croci al merito di guerra, decorazioni spagnole e tedesche, e un Ordine militare di Savoia. Non erano riconoscimenti «fasulli»; dietro c’erano azioni di guerra eccezionali. Del resto, già lo si è detto: Ettore Muti non aveva paura di nulla e di nessuno, con una sola eccezione. Temeva il dentista! Quando si sedeva sulla poltrona dell’odontotecnico ravennate Gege Fabbri, lo minacciava con la pistola: che non lo facesse soffrire, eh! Ma questo non lo dice la biografia; lo raccontava a Ravenna il vecchio Giordano Mazzavillani che di Gege Fabbri era stato allievo e che a quelle scene era stato presente. Come dire: anche gli eroi - al pari di Achille - hanno il loro «tallone»!


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832/08.09.2003