La carovana repubblichina in fuga
L'ultimo giorno di agosto, dopo l'attacco alleato. "Non si è mai ricordata l'attività criminale che Tacchi svolse a Modena con la brigata mobile Pappalardo".

I giorni dell’ira, 18. "il Ponte", 24.02.1991
72. Croci e lacrime.
Federigo Bigi definì Tacchi «molto più odioso» del Comandante delle SS. (1)
A San Marino, conoscevano bene l'arroganza di 'Paolino', la sua «aria di spavalderia e di sfida». (2)
La violenza esercitata ed esibita, costituiva il suo credo. Un'anziana signora di Rimini ci dice che il nome di Tacchi, per la gente, significava terrore.
Giuffrida Platania ricostruì al «Giornale di Rimini» nel 1945 la spedizione di Cagli, in cui Tacchi rimase ferito. Era stata organizzata, nel marzo '44, contro la Quinta brigata Garibaldi, con una cinquantina di fascisti provenienti da Santarcangelo, Viserba e Bellaria.
«La spedizione di rastrellamento non era ancora giunta sul posto», scrisse il giornale, «che fu accolta da un fitto fuoco di fucileria da parte dei gruppi di patrioti nascosti nei paraggi». (3)
Tacchi venne ferito in modo «piuttosto grave», come scriverà lui stesso al «Carlino» nel 1964, lamentando di esser stato «lasciato quasi solo» dai 'suoi'. (4)
Il 15 maggio dello stesso '44, un altro attentato contro Tacchi, avvenne nei pressi della sede del fascio alla Colonia Montalti, mentre lui stava ritornando in auto da Santarcangelo: «Gli attentatori fuggirono, lasciando sul terreno le armi, con tracce di sangue». (5)
Ad agire erano stati due gappisti, Alfredo Cicchetti e Gino Amati. Tacchi dice di esser stato fatto segno a colpi di mitra e di moschetto. I partigiani scrissero nella loro relazione che l'attentato non riuscì «causa inceppamento». (6)
Tacchi elenca in tutto sei attentati alla sua persona.
E smentisce quanto scritto nel '62 da Adamo Zanelli, che cioè il 2 gennaio '44 i gappisti lo ferirono gravemente. (7)
Oltre che alla Colonia Montalti e a Cagli, Tacchi sarebbe stato attaccato (a suo dire), a Spadarolo, alla Grotta Rossa, a Villa Ruffi e a Serravalle.
Quest'ultimo episodio è il più misterioso. Tacchi parla di «colpi» contro la sua 'Topolino', dalla quale egli era sceso poco prima. In qualche ricostruzione storica, quei colpi diventano «una raffica di mitra e lancio di bombe a mano», con un volume di fuoco imponente che non avrebbe lasciato scampo al conducente della vettura, Francesco Raffaellini.
Tacchi, racconterà Giordano Bruno Reffi (che allora faceva parte della Milizia confinaria di San Marino, e che intervenne sul posto dell'attentato), «sospettava che i colpi che avevano perforato la macchina fossero partiti all'interno della stessa auto», e fece una «scenata» a Raffaellini, uno dei fedelissimi del federale. (8)
Era il luglio '44. L'episodio di Serravalle sembra siglare la storia di un personaggio «ambiguo e contraddittorio» come Tacchi. (9)
Mentre il cerchio stava per stringersi attorno a fascisti e tedeschi, la loro violenza si fa più sottile e vigliacca. Sono episodi che, in parte, abbiamo raccontato nelle pagine precedenti. Rileggerli oggi può servire forse a comprendere come quei fatti straordinari che ci fanno inorridire, fossero allora eventi quotidiani, in ogni angolo delle nostre contrade.
L'ultimo giorno di agosto, Tacchi scappa da Rimini verso il Nord, con la carovana repubblichina. «Si è parlato sempre e soltanto del suo successivo 'soggiorno' a Como», ci dice un partigiano: «Non si è mai ricordata l'attività criminale che Tacchi svolse a Modena con la brigata nera 'mobile' Pappalardo» che aveva sede a Concordia ed era comandata dal medico bolognese Franz Pagliani, uno degli autori della strage di Ferrara, squadrista fanatico inviso agli stessi tedeschi. (10)


Note
(1) Cfr. La Repubblica di San Marino, Storia e cultura, Il passaggio della guerra, 1943-1944, cit., p. 84.
(2) Ibidem, p. 70: testimonianza di Maria Teresa Babboni De Angelis.
(3) Cfr. Giuffrida Platania parla di Tacchi, «Giornale di Rimini», 15. 7. 1945.
(4) Cfr. A. Montemaggi, I rapporti fra nazisti e fascisti ed i primi scontri con i partigiani, «Carlino», 25. 4. 1964.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. Relazioni sulle azioni svolte dai gruppi d'azione partigiana nella zona riminese del Comitato militare di liberazione nazionale, in «Copie di documenti originali sull'attività partigiana a Rimini e nel Riminese (1944-1945)», presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini (C 961).
(7) Cfr. A. Zanelli, La Resistenza nel Forlivese, Cappelli, Rocca San Casciano, 1962, pp. 37-38.
(8) Cfr. La Repubblica di San Marino, Storia e cultura, Il passaggio della guerra 1943-1944, cit., p. 195. (Vedi anche cap. 8, puntata n. 2 de I giorni dell'ira). Reffi parla dell'episodio di Serravalle come di un «presunto attentato». C'è qualche partigiano, da noi ascoltato, che non è d'accordo su ciò. L'attentato sarebbe stato compiuto da due gappisti e da Adelmo Ciavatti (Sap), come si legge nelle cit. Relazioni di Giuliani. In quei giorni, però, Giuliani non è in zona, ma in montagna, da dove rientra nell'agosto '44. Ciavatti fu fucilato dai tedeschi che cercavano un suo fratello, accusato di aver ucciso un soldato nazista. Dei due gappisti, che sarebbero viventi, ma di cui nessuno ha voluto farci i nomi, non parlano gli atti storici dei Gap («Relazione Gabellini»), dove non è neppure citato l'episodio di Serravalle.
(9) La definizione è di Bruno Ghigi nel suo La guerra a Rimini…, cit., p. 212.
(10) «E nella prima metà di Ottobre a dare man forte ai camerati… si trasferiscono a Modena molti elementi della Brigata Nera "Capanni" di Forlì…», si legge in Pietro Alberghi, Giacomo Ulivi e la Resistenza a Modena e Parma, Teic Modena, 1976, p.151, dove si rimanda alla Gazzetta dell'Emilia del 15 ottobre 1944. La brigata nera di Rimini, che era il terzo battaglione di quella forlivese, si intitolava anch'essa ad Arturo Capanni, segretario federale del capoluogo, ucciso dagli antifascisti il 10. 2. 1944. Su Pagliani, vedi S. Bertoldi, Salò, cit., p. 173.



73. Modena.
La brigata nera «Pappalardo» operò tra Modena e Reggio Emilia. Su questo episodio, rimasto finora sconosciuto, è necessario aggiungere qualche altro elemento.
Franz Pagliani era noto per il suo oltranzismo. Professore universitario, dirigeva l'Istituto di patologia chirurgica all'ateneo di Bologna. Pagliani fu anche federale di Modena, e poi divenne ispettore regionale per l'Emilia-Romagna di tutte le brigate nere.
A Pagliani fece capo la «corrente più violenta del fascio modenese». Di lui, si ricorda una frase pronunciata dopo l'adunata del 28 ottobre 1943: «Da oggi cominceranno a funzionare sul serio i picchetti di esecuzione». (1)
Nel gennaio '44, egli fu giudice al processo di Verona.
Il generale tedesco Frido von Senger und Etterlin, comandante del 14º Corpo d'armata corazzato, definisce Pagliani l'«anima nera» del brigatismo fascista, un intrigante che von Senger stesso fece di tutto per estromettere dall'incarico di ispettore regionale. E ciò avvenne il 28 gennaio 1945, per decisione di Mussolini (2), dopo l'uccisione di quattro noti professionisti di Bologna.
Von Senger, in un libro di memorie, scrisse parole di fuoco contro le brigate nere emiliane, da lui definite «nostro comune avversario»: «Autentico flagello della popolazione, queste erano oltrettanto odiate dai cittadini come dalle autorità... e da me. Le brigate nere erano composte dai seguaci più fanatici del partito», i quali «erano capaci di compiere qualsiasi nefandezza quando si trattava di eliminare un avversario politico». Quei fascisti, prosegue il generale tedesco, si dimostravano solo «fedeli e devoti al Duce», ed erano «incapaci di esprimere un giudizio personale». (3)
Von Senger ricorda anche che, a seguito di una serie di azioni terroristiche, violenze, torture ed omicidi compiuti dalle brigate nere emiliane nel tardo autunno 1944, lui stesso, come capo della zona di operazioni, il 21 dicembre convocò a rapporto i maggiori responsabili politici e militari del fascismo. In quell'occasione, Von Senger accusò le brigate nere di compiere azioni «che hanno tutte le caratteristiche di assassinii da strada». (4)
Dopo la guerra, Pagliani fu condannato, e scontò un lungo periodo di detenzione prima di tornare a fare il chirurgo, non più a Bologna, ma a Perugia. (5)


Note
(1) Cfr. Luciano Bergonzini, La lotta armata, vol. I de «L'Emilia Romagna nella guerra di liberazione», a cura della Deputazione Emilia Romagna per la Storia della Resistenza e della guerra di Liberazione, De Donato, Bari, 1975, p. 82 e p. 122.
(2) Ibidem, p. 125, nota 120.
(3) Il libro, intitolato Combattere senza paura e senza speranza, apparso a Milano nel 1966, è citato da L. Bergonzini, ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Cfr. Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, 1943-45, vol. I, Val Padana, Milano, 1974, p. 425. Nel III vol. dell'opera, si legge l'autodifesa di Pagliani: «Lo strano ostracismo» nei suoi confronti «fu revocato da Kesserling personalmente» (p. 1817).



Al capitolo precedente.

Antonio Montanari



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