Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città [10]
1946. Un abbraccio formato francobollo
"il Ponte", Rimini, 14.05.1989
I prigionieri ucraini, filatelisti anche per bisogno, nel campo di Miramare. Gli incontri con i collezionisti del nostro Circolo raccontati da Severino Massari.

Il 29 giugno 1946 i filatelisti di Rimini organizzano con il loro Circolo (fondato il 19 marzo 1940), una gita a San Marino, nella terra dove molti di loro avevano trovato rifugio. Anzi, nel passaggio del fronte, dopo i bombardamenti susseguitisi dal primo novembre 1943, molti loro incontri erano avvenuti proprio nella terra del Titano, in qualche ristorante. «La filatelia faceva scordare per qualche istante, gli stenti e i disagi ai quali tutti eravamo sottoposti (si dormiva nelle chiese e si mangiava, come si poteva, all'aperto)», ricorda Severino Massari nella sua storia del sodalizio riminese, edita nel 1970.

Per effettuare quella gita, scrive ancora Massari, «non essendovi pullman, si noleggiarono alcuni autobus militari, sui quali furono sistemate alcune panche di legno per le donne e i bambini, mentre gli uomini, tutti in piedi, erano costretti a fare gli equilibristi a causa degli sbandamenti dovuti alla strada sconnessa e alle numerose curve».

Meglio di niente potrebbe pensare oggi chi non ricordasse che la gente era stata costretta durante la guerra ai pellegrinaggi forzati degli sfollamenti e alle lunghe trasferte in bicicletta. Un viaggio così disagiato poteva apparire già un'occasione di eccezionale mondanità.

Nell'agosto, il Circolo organizza poi la terza giornata estiva del francobollo, una manifestazione che vede la stretta collaborazione delle Poste sammarinesi che, in occasione della prima e della seconda edizione (1942 3 1943), avevano emesso due francobolli sovrastampati come accadrà anche nel 1947.

Dal 1948 la Giornata passerà a Riccione, dopo che l'Azienda di Soggiorno di Rimini aveva fatto sapere al Circolo che «dei francobolli non sappiamo che farcene». Nasceva così quella Fiera internazionale del Francobollo che in quarant'anni di successi è diventata un appuntamento fondamentale del collezionismo e del commercio filatelico italiano.

Dopo la Liberazione, il Circolo riminese si era mosso per diffondere l'hobby dei suoi soci: all'angolo di piazza Cavour, nel negozio di Delucca & Vincenzi, tra macchine da cucire e cucine economiche, è allestita una mostra di propaganda.

È l'estate del 1945. In quel periodo, racconta ancora Massari, «funzionava presso l'aeroporto di Miramare, un campo prigionieri di guerra ucraini che avevano organizzato un loro Circolo filatelico e che, in "libera uscita", partecipavano alle riunioni del nostro sodalizio per scambi filatelici e per avere la possibilità di imparare la nostra lingua».

È una pagina interessante della cronaca di quegli anni, che Severino Massari ha ricostruito in un atro documento, «Ukrainskyj Filatelist».

All'aeroporto di Miramare, gli Alleati, utilizzando i ruderi delle caserme rimasti in piedi dopo i bombardamenti e costruendo enormi baraccamenti di lamiera, crearono uno dei più grandi campi di concentramento di guerra esistenti allora in Italia, diviso in sezioni secondo la nazionalità di provienza dei militari.

Nel primo settore si trovavano gli ucraini, «quasi tutti diplomati o laureati, ingegneri, medici, sacerdoti, professori, ecc. che, durante l'occupazione tedesca dell'Ucraina, avevano chiesto di poter combattere per l'indipendenza del loro territorio».

Gli alleati li trattavano perciò con un occhio di riguardo. E loro s'impegnavano in molteplici attività, costruirono una chiesetta, crearono un gruppo corale, una banda, un'orchestrina, e stamparono anche dei «francobolli da campo», con il cui ricavato avrebbero finanziato una festa ed aiutato gli amici più bisognosi. La prima emissione avvenne il primo agosto 1946, e raffigura il campo di Miramare, con la chiesetta di stile ucraino.

Ecco come Massari ricorda i contatti tra il Circolo filatelico e quei collezionisti ucraini: «All'inizio ci si comprendeva con gesti e qualche parola in latino maccheronico: successivamente, con l'aiuto di Ucraini che conoscevano la lingua francese, fu più facile intendersi e stringersi in un'amicizia sincera».

Un segno di quest'amicizia è in un commovente episodio che leggiamo nel volumetto: «Nell'inverno del 1945, mia figlia Paola di tre anni circa, fu colpita dal tifo, tanto che il medico curante non ci nascose la gravità del caso. Solo un miracolo avrebbe potuto salvare la mia piccola.Ebbene, due medici ucraini, filatelisti, che molto spesso usufruivano della mia casa per le riunioni, stabilirono un turno di guardia. Uno dalle 7 alle 13, l'altro dalle 13 alle 20. Quando mia figlia guarì, organizzammo una festa alla quale parteciparono numerosi soldati non solo ucraini, ma anche inglesi, polacchi, sudafricani. La filatelia, infatti, aveva accomunato in un unico ideale fraterno, amici e nemici, e fatto dimenticare la rivalità creata dalla guerra».

Un altro curioso episodio, Massari racconta nella sua storia del Circolo filatelico. Il 21 settembre 1944, giorno dell'arrivo degli Alleati, lui ed altri collezionisti si trovavano all'interno di una casa abbandonata, a fare scambi con soldati tedeschi.

All'improvviso un sergente entrò, usando poche parole nella sua lingua: «I tre soldati si alzarono di scatto e scomparvero velocemente. Mentre noi eravamo ancora sorpresi..., entrarono dalla parte opposta tre soldati negri ed un allampanato e segaligno canadese il quale, dopo aver ispezionato la casa, si fermò con noi a parlare alla meno peggio di "stamps"», cioè di francobolli.

«Ci regalò sigarette e cioccolato, si prese qualcge francobollo con l'effigie di Mussolini ed Hitler e ci salutò con un "good-bye" e un largo sorriso. Nello spazio di cinque minuti, e senza neppure accorgercene, eravamo passati da una parte all'altra del fronte».

La casa di Severino Massari era diventata meta di filatelisti di ogni nazionalità. Figlio del musicista Augusto ed appassionato delle sette note lui stesso, Massari suonava il piano: «Un sergente mauriziano, certo Michel, alla filatelia univa la passione per il canto, e tutti i santi giorni voleva che lo accompagnassi mentre cantava l'"Ave Maria" di Schubert».

La musica ritorna anche nei ricordi sui prigionieri ucraini: nel pranzo di Natale, prima di sedersi a tavola, recitarono una preghiera ed intonarono un canto nella loro lingua: «Fu un momento commovente che davvero non dimenticherò».

Nel giugno 1947, i prigionieri prima di partire stamparono un «Saluto all'Italia». Erano poche pagine, dense di significato: «L'Italia ci ha avuto con sé, noi che venimmo soldati e partimmo prigionieri. Dio ci ha dato la grazia di essere in questo Paese quando la vecchia Europa periva ed affondava nel sangue e nella polvere. Noi vediamo l'Italia come il sacro terreno in cui molte migliaia di nostri compagni dormono il sonno eterno e già per questo il suo ricordo deve esserci caro».

Ormai la guerra è diventata un doloroso bagaglio di ricordi da sopportare assieme ai problemi del presente. La voglia di vivere si mescola al dolre per chi non c'è più.

Nascono le feste in famiglia: «In via Duilio la signora Pia Pellegrini ha voluto festeggiare il suo compleanno fra gli amici e li ha invitati ad un "Albana Party"», scrive l'«Adriatico» dell'estate 1947 che fa anche la cronaca di una grande festa goliardica: «Sergio Zavoli aveva lasciato a casa la maschera dell'espressione di annoiata distinzione, e si rallegrava, compiaciuto, per l'originalità e la vivacità dominanti. Zavoli era di buon umore e di grande acutezza e concorse alla gara di barzallette. Come banco di prova per i concorrenti, la serietà del fuoricorso Amedeo Montemaggi. Chi sarebbe stato capace di farlo ridere avrebbe meritato vistosi premi. Zavoli ci riuscì con gran finezza».

Rimini ieri. Cronache dalla città
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Antonio Montanari

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1560, 22.12.2011. Modificata, 22.12.2011, 15:01