Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città [9]
1946. A rimorchio della santità
"il Ponte", Rimini, 07.05.1989
L'esperienza politica e religiosa di Alberto Marvelli, «l'operaio di Cristo», ucciso da un camion alleato il 5 ottobre sera.

Dai ruderi di palazzo Gioia, all'angolo di piazza Cavour, le notizie del giorno scendevano sul centro attraverso gli altoparlanti di «Voci della città». Le commentavano Glauco Cosmi e Sergio Zavoli.

Cosmi erediterà il mestiere del tipografo, ma farà anche il politico e l'operatore culturale specializzato in musica. Zavoli era a quel debutto radiofonico a cui seguiranno glorie giornalistiche come inviato sportivo, cronista delle coscienze e della storia.

L'esperienza di di «Voci della città» comincia dopo la Liberazione. Informazioni e pubblicità si mescolano, qualche volta si fa sentire anche Gino Pagliarani, che aveva contribuito alla decisione di «fondare l'unico giornale che potesse entrare nelle case e starci un tempo ragionevole per lasciarci qualcosa», nel difficile momento di quei giorni in cui «la città era priva di notizie anche e soprattutto di se stessa», come Sergio Zavoli ricorda in «Romanza».

Nel ricostruire quell'esperienza, Zavoli non riesce a celare una punto d'orgoglio per la sua invenzione giornalistica: «Credo non sia mai esistito un quotidiano che abbia raggiunto la gente attraverso le finestre». Trasmetteva due volte al giorno, alle 13 ed alle 19, la sigla era un valzer che Glauco Cosmi, l'esperto musicale del trio, aveva scelto con cura.

Dal novembre 1945, cambio della testava, che divenne «Publiphono». «A volte, quando una notizia veniva presa da una corrente d'aria, poteva arrivare anche all'altro capo della città. Un giornale che aveva le parole come uccelli era una novità anche allegra. Difficilmente smentibili, dal momento che tutto volava via, ci entusiasmava la nostra stessa faziosità, innocente e impunita...», scrive ancora Zavoli.

Era un modo di partecipare alla vita culturale e politica della città, anzi (spiega Zavoli) un tentativo, «il più alto, oltre che più ameno, di rifondare, da dentro, la città».

Ma tra quei tre giovani riminesi che nel 1945-1946 s'aggiravano tra le macerie, ce n'erano altri che cercavano una rifondazione meno evanescente e velleitaria di quella, per quanto significativa, affidata al vento delle parole: o delle parole al vento.

Uno di quei giovani d'allora, è molto conosciuto in città. È nato nel 1918, ha frequentato con Federico Fellini il Classico, è iscritto all'Azione Cattolica. Ha lavorato a Milano ed a Torino, dove ha conosciuto Carlo Carretto. Nel 1942 è ritornato a Rimini, dopo aver lasciato la Fiat. Insegna all'Iti, è chiamato alle armi, per la seconda volta: nel 1941, dopo la laurea, era stato mandato a Trieste, e poi congedato quale terzo fratello che aveva ricevuto la cartolina precetto.

Adesso parte per Treviso. Uno degli altri due fratelli, Lello, muore sul fronte russo. Dopo l'Otto settembre 1943 torna a casa, ed a Rimini è precettato dalla Todt, l'organizzazione tedesca del lavoro.

Questo giovane si chiamava Alberto Marvelli, sua madre era Maria Mayr, il papà Luigi era morto il 7 marzo 1933.

Alberto, «sfruttando il cognome tedesco della madre e la conoscenza della lingua, riesce a salvare dalla deportazione diversi giovani. Arrestato, viene imprigionato a Santarcangelo. Poi una notte fugge insieme ad altri amici. Nel novembre del 1943 iniziano i bombardamenti su Rimini. La famiglia Marvelli si trasferisce a Vergiano, a sette chilometri dalla città. Con la bici Alberto fa la spola fra Vergiano e Rimini», si legge nell'opuscolo «Il cammino di un uomo» edito a cura di Francesco Succi e Giorgio Tonelli, dalla nostra Diocesi nel 1984, in occasione di una mostra alla Sala Ottagonale del Tempio, dedicata a Marvelli.

Rimini è bombardata. Marvelli soccorre i feriti, assiste i moribondi. Aiuta i ricercati a trovare un rifugio, agli sfollati rimedia un po' di cibo. È sempre in movimento, dopo ogni scarica di bombe, il suo zaino porta i segni delle schegge che lo sfiorano.

«Fratello degli sfollati, Alberto regala tutto ciò che ha di suo. Materassi, abiti, scarpe, medicine. Aiuta i feriti e salva chi rimane sotto le macerie», è scritto nell'opuscolo citato, da dove riprendiamo anche queste altre notizie: «Abbandonata anche Vergiano, la famiglia Marvelli, insieme ad altre migliaia, si reca a San Marino. Dalle cime del Titano oltre centomila persone vedono quotidianamente gli aerei bombardare la riviera. Marvelli ogni giorno percorre chilometri di strada in bicicletta per procurare cibo e indumenti ai più bisognosi». Quando gli alleati occupano Rimini, si torna a casa.

Il Cln affida a Marvelli la direzione dell'ufficio «Alloggi e ricostruzione», uno dei «più delicati, dove maggiormente si richiede giustizia, onestà e solidarietà». Se non ha nulla da dare per soddisfare le richieste che gli vengono rivolte, offre ciò che è suo, come si è già visto. La gente impara a conoscerlo, cominciano a chiamarlo l'«operaio di Cristo».

Scrive in un'altra pubblicazione Luigi Gedda: «Era fratello di ogni sfollato. Era lui che andava a Savignano con i camion a prelevare viveri per i 120.000 sfollati a San Marino, ed era lui che ogni mattina scendeva da San Marino con la gerla del pane per portarlo ai bambini nella galleria, lui che distribuiva materassi di casa. A casa, poi c'era questo ordine: "i poveri fateli passare subito; gli altri possono anche attendere"».

Nel 1945 Alberto Marvelli si iscrive alla dc, e diventa presidente dei Laureati cattolici. Sono per la storia nazionale i momenti più inquieti. Per Marvelli sono giorni di sofferenza, perché «l'attività intensa di questi ultimi anni è andata a discapito della vita interiore», scrive nel suo «Diario» nell'estate del 1946.

«A forza di consentire, di cedere su qualche punto dei programmi di vita passata, di non approfondire per mancanza di tempo, di voler abbracciare troppo, di voler dare lo spolvero a troppe cose, di volermi interessare di tutto, sto diventando un superficiale, uno che si lascia entusiasmare od abbattere da un discorso o da un articolo, una mezza cartuccia, uno che non ha idee radicate, profonde, decise. Manco di costanza e di fermezza nei propositi, la volontà non risponde più come una volta, o forse non ha mai risposto a tono. Abituarsi a esercitare la volontà anche nelle piccole cose è sommamente utile: trascurare questo porta a conseguenze gravi».

Continua quella pagina limpida e tormentata del «Diario» di Alberto Marvelli: «Pur dedicandomi a varie attività apostoliche, caritative, assistenziali, politiche, non ho lo slancio che ci vorrebbe. Sono un trascinato, lo sento, non un trascinatore, sono un rimorchiato che vive di rendita per la bontà degli altri e della fama immeritata di altri tempi».

Conclude quella pagina, Marvelli, con questo proposito: «Più volontà ci vuole, più serietà, più studio, più raccoglimento, più meditazione. È inutile pretendere di voler farsi santi... se si corre dietro ad ogni pensiero...».

Era il 23 agosto 1946. La sera del 5 ottobre, verso le 21, mentre usciva di casa per recarsi ad un comizio elettorale, un camion alleato che procedeva a forte andatura investe Alberto che era in bicicletta.

Morì alla Clinica Contarini (in via Roma, nei pressi della stazione ferroviaria) senza riprendere i sensi.

«Era la vigilia delle prime elezioni amministrative nel Comune di Rimini», ricorda Maria Massani. La notizia della morte di Alberto Marvelli «si diffuse, ma non tutti la conobbero subito. E nella mattinata delle elezioni ebbe 111 voti di preferenza».

Quarant'anni dopo, la Chiesa lo dichiara venerabile, nel marzo 1986.

Rimini ieri. Cronache dalla città
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Antonio Montanari

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1559, 22.12.2011. Modificata, 22.12.2011, 15:01