Antonio Montanari
Quando nel maggio 1762 il
savignanese Giovanni Cristofano Amaduzzi (1740-1792) giunge a Roma, vi incontra
una nutrita colonia di religiosi conterranei: il cardinale Lorenzo Ganganelli
(1705-1774), monsignor Giuseppe Garampi (1725-1792), labate Costantino Ruggeri
(1714-1766), padre Agostino Giorgi (1711-1797) e labate Stefano Galli
(1721-1788). Amaduzzi vanta una presentazione del proprio maestro riminese, il
medico, scienziato e poligrafo Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775), dalla
cui scuola ([1])
sono passati anche il santarcangiolese Ganganelli ed i riminesi Garampi e
Galli.
Ganganelli conserva un ottimo
ricordo di Planco: voi avevate ragione a sgridarmi, quando io non voleva
studiare; adesso vi ringrazierei di quanto allora faceste per me, gli ha
scritto il 30 settembre 1759 appena nominato a cardinale ([2]).
Garampi si trasferito a Roma
alla fine del 1746. Cinque anni dopo divenuto Prefetto dellArchivio Secreto
Apostolico Vaticano, poi ha iniziato lattivit diplomatica. Nel 1761 stato
inviato da papa Clemente XIII a presiedere la Dieta di Augusta fra i prncipi
tedeschi. Nel 1766 sar chiamato alla carica di Segretario della Cifra. Poi
andr come Nunzio apostolico in Polonia ed a Vienna.
Stefano Galli diventa
minutante alla Segreteria di Stato e Cameriere Segreto di Sua Santit. Garampi
e Galli hanno lavorato entrambi nella pubblica biblioteca Gambalunga della loro
citt, collaborando con il direttore conte Lodovico Bianchelli. Garampi
pretendeva di far tutto lui, Galli si rassegnava a star a vedere senza
impacciarsene ([3]).
Costantino Ruggeri, originario
di Santarcangelo e soprintendente alla Stamperia di Propaganda Fide, un tipo
cupo: soffre di mania di persecuzione, e di l a poco, nel 1766, sar
protagonista di un suicidio definito spietato da Amaduzzi ([4]).
Padre Giorgi, nato a San
Mauro, un agostiniano: teologo, orientalista, prefetto della Biblioteca
Angelica, sar procuratore generale del suo Ordine. Milita contro i Gesuiti
verso i quali si indirizzavano le antipatie di molti religiosi romani che
Amaduzzi frequenter assiduamente.
Amaduzzi nato in una
famiglia di possidenti molto impoveriti di Santa Maria delle Grazie a
Fiumicino. I genitori, Michele e Catterina Gasperoni, sognavano per lui una
carriera ecclesiastica capace di fornire pane e companatico ad un giovane degno
di essere salvato da umili mestieri. Fu tenuto a battesimo nella chiesa di
Santa Lucia di Savignano dal parroco don Giovanni Battista Mancini che funse
pure da padrino, con madrina la moglie di Bartolomeo Borghesi, Silvia Antonia.
CՏ come un significato
simbolico nella scelta delle due figure che accompagnano il neonato. Il nobil
huomo parroco Mancini, originario di
Rimini, una persona colta, dottore e Protonotario Apostolico, dal 1732
Pievano di San Giovanni in Compito e Savignano di Romagna, nonch presidente
dellAccademia degli Incolti, che precorre quella dei Filopatridi. Segretario
degli Incolti fu Pietro Borghesi (1722-1794), figlio di Bartolomeo e della
ricordata Silvia Antonia. Bartolomeo e Pietro Borghesi rappresentano la cultura
antiquaria romagnola che acquista fama oltre gli mbiti locali, e che
caratterizza molta parte degli studi amaduzziani.
Tanta dottrina che circonda
linfante non soltanto convenzionale ostentazione di un privilegio sociale.
La cerimonia sembra una specie di consacrazione culturale. A Giovanni Battista
Mancini nel 1759, Giovanni Cristofano Amaduzzi vorr dedicare i Componimenti
poetici in lode del Santissimo Nome di Maria, la cui festa solennemente si
celebra nella Chiesa della B. Vergine delle Grazie di Fiumicino, situata sulle
sponde del Rubicone. Rettore della
medesima chiesa di Santa Maria delle Grazie a Fiumicino, un altro sacerdote
che svolge un ruolo importante nei primi anni di vita del Nostro: lo zio
paterno Giovanni Francesco Antonio Amaduzzi. Alla sua scomparsa, nel 1771,
Giovanni Cristofano scriver parole commosse al proprio fratello don Francesco
Maria ([5]),
arciprete del Capitolo di Savignano, dichiarando di aver sempre professato
verso lo zio tanta gratitudine. Possiamo collegare questo sentimento alla
scelta famigliare, che immaginiamo suggerita da don Giovanni Francesco, di
inviare il nipote in Seminario a Rimini.
Qui Giovanni Cristofano ebbe
come celebrato maestro di umane lettere il sacerdote Pietro Mussoni, che fu
insegnante pure di Giuseppe Garampi e del santarcangiolese Gaetano Marini
(1742-1815), campione massimo della nuova erudizione. Dal 1755 Amaduzzi attese
per sette anni allo studio della Filosofia e Lingua Greca sotto la disciplina
del Chiarissimo Dott. Giovanni Bianchi ([6]),
in quella pubblica e gratuita scuola che il medico aveva aperto nella propria
casa a partire dal 1720, affiancandovi un museo archeologico utile agli studi
di Antiquaria a cui erano avviati i discepoli.
Quando Amaduzzi entra nella
sua scuola, Bianchi ha gi raggiunto una sicura fama. La sua maturit
scientifica per non gli impedisce di continuare in certi atteggiamenti che gli
saranno (con elegante, rispettosa fermezza) rimproverati dallAmaduzzi adulto,
proprio quando Planco muore, in un articolo pubblicato sullAntologia romana
([7])
: Fu egli uomo dotato di un vasto talento, scrisse il savignanese, di
memoria sorprendente, e di una somma diligenza. Manc dun certo criterio, per
il che fu soggetto talvolta a qualche paralogismo. Fu tenace della sua
opinione, alla quale di rado rinunciava. In mezzo a quella caparbiet peccava
talvolta di volubilit sul punto di favorire ora un partito, ed ora un altro.
Quasi ad assolvere il maestro
dai suoi peccati, Amaduzzi soggiunge: Tutte quelle cose erano qualit inerenti
alla sua natura, ma non gi vizj surrogati dalla malizia. Fu prono alla colera,
ma breve nelladerire ai trasporti della medesima. Fu ardente co suoi nemici,
ma ogni piccolo officio era capace a farlo dimenticare delle ingiurie. Quanto
fu amante della lode, che gli veniva dagli altri, e che non si risparmiava
neppure da se stesso, altrettanto era parco nel compatirla agli altri.
Allinsegnamento filosofico di
Planco, ed ai benfici effetti ricevuti, cՏ un richiamo puntuale nella Rimostranza
umile al trono Pontificio ([8])
che nel 1790 Amaduzzi invier a Pio VI (1775-1799) per difendersi da certe
accuse di fanatismo che giravano contro di lui: Fatti gli studi delle belle
lettere e delle scienze convenienti ad un uomo ingenuo, cominciai tosto ad
abbandonare quei sentimenti, che appresi per veri, e per sicuri, e quindi con giovanile
ardore cozzai cogli ultimi avanzi dellAristotelico rancidume.
Fra il 1776 (quando compone
per lAntologia romana il ricordo del maestro defunto), ed il 1790 (quando
scrive la Rimostranza), intercorre
tutta la fase della maturit di Amaduzzi, caratterizzata soprattutto dai tre
celebri discorsi filosofici
recitati in Arcadia ([9]),
molto importanti nella storia culturale del nostro Settecento ma allorigine di
tutti i suoi guai. Non so se Amaduzzi nel 1790 avrebbe sottoscritto nuovamente
il giudizio espresso sul maestro nellAntologia romana relativamente a
qualche singolarit, o stravaganza che sia, la quale suole per lo pi andare
congiunta ai grandi ingegni, acci forse non si trovino troppo al di sopra del
resto della specie umana.
Per chiarire le sue
intenzioni, Amaduzzi aveva aggiunto: Se non che potrebbe leducazione, e la
ragione agevolmente correggerla, e tor loro un tale ostacolo a cos speciosa
maggioranza. Appunto la Filosofia dovrebbe essere la medicina delle malate
dellanima, e quindi chi non ne profitta sempre un Filosofo imperfetto, e
solo il compenso dellaltre sue virt, maggiori de suoi vizj, pu non ostante
conservargli il diritto alla pubblica estimazione.
Il tono vagamente apodittico
di questo passo uneredit dellinsegnamento planchiano, con lenunciazione,
o per meglio dire lauspicio, che la cultura (anzi, pi solennemente la
Filosofia) possa servire per correggere quei difetti naturali che con eleganza
retorica Amaduzzi chiama malate dellanima.
Nel ricordo del 1776 Amaduzzi osserva che le massime della morale
teoretica di Bianchi erano le pi consone a quelle de Padri della Chiesa,
aggiungendo: e chi ha lonore di scrivere queste poche righe dietro ai soli
dettami della pi sincera verit, lha udito insegnare letica filosofica con
quella precisione, ed impegno, che si suole osservare in quelli, che parlano
collinterna persuasione.
Questo accenno allinterna
persuasione dimostrata da Planco suggella simbolicamente il senso di una
biografia, e ci suggerisce di non dimenticare come, nel descrivere la vita
altrui, si proiettino sempre le proprie idee ed esperienze. Nel comportamento
del maestro, Amaduzzi trova conferma alla regola prima delleducazione ricevuta
in famiglia: serbare in ogni azione la verit e la schiettezza ([10]).
Alla scuola di Bianchi, oltre
ad apprendere molte preziose nozioni, Amaduzzi si era confermato nel proprio
convincimento di poter evitare le secche degli inganni nella navigazione della
vita, seguendo la stella polare degli insegnamenti morali impartitigli in casa.
Gli sviluppi successivi della sua vicenda personale, lo avrebbero amaramente
disilluso, pur confermandolo nella fermezza ai suoi interni sentimenti.
Come stato sottolineato, se non fosse stato alieno dalladulazione e dalla
cortigianeria, Amaduzzi avrebbe potuto aspirare ai pi luminosi uffici della
Curia romana ([11]).
Amaduzzi nel suo scritto si
presenta come il discepolo, e lamico che ricorda i meriti di Bianchi che
furono molti, e grandi, non dimenticando per che lonorato defunto non
and esente dai suoi difetti: Io veneratore della sola virt non sar mai
idolatra di quella viziosa penombra che talvolta leclissa in un medesimo
soggetto. Ladulazione, o la lode inconsiderata, ed indistinta il retaggio
dellanime vili, o poco illuminate.
Dopo averlo avuto per
Precettore di Filosofia, Storia Naturale, e Lingua Greca nel periodo riminese,
Amaduzzi per quattordici anni ha tenuto con Bianchi un continuato carteggio
quando si trasferito a Roma ([12]).
La duplice esperienza pu dargli un dritto di parlare di lui con precisione, e
di esigere laltrui credenza. Circa la scuola planchiana, Amaduzzi osserva che
i suoi frequentatori furono sempre molti, e di questi non pochi quelli, che
nella stessa patria, e fuori per cariche, e per letteratura si distinguono ([13]).
A proposito del temperamento
di Bianchi, nellelogio in memoriam
inviato da Amaduzzi ad Aurelio De Giorgi Bertla ([14]),
leggiamo: Il raziocinio non fu in lui sempre il pi retto, giacch sovente
egli era inconseguente co suoi principi, e la prevenzione qualche volta
prevaleva in lui alla ragione. Talora bizzarro e singolare, allegro, e vivace
nella brigata e portato ad uno tono che spizzicava talvolta di sarcasmo, e
dinsulto, non risparmi mai la sua critica anche sopra quelle cose, che non
la meritavano, e cercava anche il nodo nel giunco per compiacere questa sua non
plausibile inclinazione.
Quando era preso dalla
collera, non tardava molto a rasserenarsi. Fu violento ed intrepido contro
gli avversari, ma dimenticava ogni ingiuria, se avea un picciolo compenso di
officiosit. Castigava col disprezzo pur anche alcuni di que critici pi
abbietti, che insorgevano sovente contro di lui, e soleva porre tutte le satire
contro di lui stampate in un sol mazzo, s cui era segnato improborum
hominum inanes conatus. Stimato ed amato
dai pi celebri letterati del suo tempo, tanto Italiani, quanto esteri,
Planco era molto solleticato nel suo amor proprio da questi onori, a cui
sovente aggiungeva la lode che si compartiva tanto volentieri anche da s
stesso. Apparve sempre scarso lodatore degli altri, e di quelli in ispecie,
che non fossero stati di qualche suo partito, per quanto poi fosse stato grande
il loro merito.
Difficilmente si ricredeva su
dalcune sue opinioni, ed era anche sovente inconstante nel sostenere, o riprovare
un qualchaltro assunto impegno, o sentimento. Bianchi fu un uomo vario e
stravagante, onde e nel bene e nel male troppo si distingueva fra gli altri. Ma
in mezzo a tante stranezze egli aveva le sode massime di religione, i buoni
teoremi della morale, le cortesie della societ, la schiettezza del suo
presentaneo sentimento, lonoratezza del procedere, linclinazione al
beneficare, e lo spirito di carit verso i poveri.
Nella sua pittura veridica
di Bianchi, infine Amaduzzi osserva che in mezzo ai naturali difetti di un
fervido temperamento il suo maestro aveva avuto il dono del pi sublime
ingegno, per cui ha potuto far epoca nella Storia naturale, e nella Notomia, e
fare lornamento di Rimino, dellItalia, e di tutta la letteraria Repubblica.
E concludeva: Io ho perduto il Precettore, e lAmico ([15]).
Questo elogio inviato a
Bertla del 3 gennaio 1776. Il 9 dicembre 1775 (Planco era scomparso il
giorno 3 dello stesso mese), Amaduzzi scrivendo al nipote di Bianchi, dottor
Girolamo ([16]),
dichiarava del di lui zio: Io non mi creder mai dispensato dallobbligo di
rimostrargli anche dopo morte in tutte le occasioni la mia riconoscenza, e la
mia venerazione.
I due termini riconoscenza e
venerazione sono pi espressioni intellettuali e morali che semplice
atteggiamento sentimentale: essi ci portano a valutare come basilare
nellesperienza di Amaduzzi sia liniziale frequentazione della scuola
planchiana, sia il successivo, ininterrotto magistero che continu da parte di
Bianchi per mezzo epistolare o negli incontri personali ([17]).
Gi nel 1768 in una lettera diretta allo stesso Planco, e pubblicata nella Miscellanea
di varia Letteratura di Lucca ([18]),
Amaduzzi ha ricordato humanitas, comitas, e benevolentia dimostrategli
dal maestro. Nel 1770 ha confidato a Bianchi di restare affezionatissimo a lui,
che dimostrava animo cortese, ed amorevole verso la sua persona ([19]).
Gli anni trascorsi nella
scuola riminese proiettano una loro nitida luce in quelli successivi della vita
dAmaduzzi; contribuiscono cio a rafforzare la sua capacit intellettuale,
fornendole (fortunatamente) anche quegli anticorpi con cui reagire agli aspetti
meno convincenti di un insegnamento che, se in taluni momenti pieg verso il
dogmatismo dellerudizione oratoria o allantica ([20]),
in molti altri invece ebbe come prima caratteristica linvito alla curiosit,
allaggiornamento, al commercio epistolare ed intellettuale, secondo i canoni
di quella parte della societ settecentesca che tendeva pi al rinnovamento che
alla conservazione.
Amaduzzi in et matura compie
un ripensamento delleducazione ricevuta, sviluppando gli strumenti che aveva
appreso alla scuola planchiana. Egli non vuole stilare un onesto ed imparziale
bilancio di lati positivi e negativi duna personalit vivace, contradditoria
ed anche inquieta come fu quella di Planco. Cerca piuttosto di rintracciare il
sottile filo dialettico esistente nella trama di ogni proficua pedagogia, sul
quale misurare se stesso. In Amaduzzi, come in altri suoi contemporanei, opera
il convincimento che lesperienza individuale e la storia collettiva siano un
processo attraverso cui le novit maturano con la riflessione sulle idee
ricevute, e con il loro superamento. Cos, ci si obbliga a rimeditare daccapo
ogni aspetto della vita, della conoscenza scientifica, della politica, del
pensiero. Cos, si mira ad un mutamento rispetto allo status quo, con quel desiderio che gli intellettuali nati attorno
alla met del Settecento assorbono dallo spirito del tempo e dagli umori della
nuova cultura ([21]).
Allesperienza vissuta nel
liceo di Bianchi, si pu collegare un passo del terzo discorso, intitolato Dellindole
della Verit, e delle Opinioni (1786),
dove Amaduzzi polemizza con lantico maestro, quasi a volere insinuare che
Planco nulla avesse compreso delle teorie di Newton ([22]).
Amaduzzi colpisce nel segno, segnalando un metodo filosofico non troppo
rigoroso, gi sottolineato nellarticolo commemorativo dellAntologia romana.
Ventanni prima, nel 1766, un
altro solenne rimprovero era giunto a Planco da Pietro Verri, a proposito di
uno scritto del medico riminese contro linoculazione del vaiolo ([23]).
Bianchi aveva commesso un errore epistemologico che rispecchia lesperienza
culturale del primo Settecento, e che ci confermato in una sua lettera
indirizzata a Giovanni Lami ([24]),
dove la quistione dellinnoculazione inserita tra le cose letterarie da
discutere, magari nel miglior latino, con il quale mandare al diavolo tutti
i pretesi calcoli [...] e tutte le altre ragioni sofistiche de fautori
dellinnoculazione, giacch tutti costoro non sono filosofi e meno medici, ma
sono sfaccendati [...]. Planco tuttavia, e lo apprendiamo proprio da Amaduzzi,
cede in appresso allevidenza del buon esito dellinnesto del vaiolo, con
quel candore, e coraggio, che suole ispirare lamore della verit nei cuori
degli uomini grandi ([25]).
Anche questintervento a
difesa di Bianchi, se da un canto dimostra altrettanto amore per la verit nel
comportamento del savignanese ([26]), dallaltro testimonia un affetto (onesto e non di
convenienza) verso quel chiarissimo, e benemerito Precettore, per la cui
istituzione, ed addottrinamento io son divenuto non affatto indegno della
nomina a sopraintendente della Stamperia di Propaganda Fide ([27]):
cos Amaduzzi scrive a Bianchi il 10 febbraio 1770, quando la sua carriera
pubblica, grazie allantico maestro ed a papa Ganganelli, ha una nuova
promozione dopo che era stato fatto lanno precedente Lettore di Greco alla
Sapienza.
Appena giunto a Roma, Amaduzzi
informa Bianchi sullo stato delle cose politiche, dimostrandosi osservatore
informato e mai superficiale nelle notizie che compila. Il 30 ottobre 1762, ad
esempio, circa alle cose di Napoli gli riferisce di un breve inviato dal
papa a Sua Maest Cattolica, acci come Padre si volesse interporre appresso
il Figlio, acci non inquietasse la Santa Sede con indebite pretensioni. Il re
di Napoli Ferdinando IV (futuro marito di Maria Carolina, figlia di Maria
Teresa), sollecitato dal padre Carlo VII imperatore di Spagna, ha cos
pubblicato un Editto, in cui dichiara, che intorno alla terza parte de Beni
Ecclesiastici, che sono in quel Regno, da dispensarsi ai Poveri, Egli ha
solamente inteso di esortare, ma non di sforzare alcuno ([28]).
Negli anni iniziali del
soggiorno romano di Amaduzzi, la vita dello Stato della Chiesa caratterizzata
da forti difficolt economiche e da una grave carestia che si sviluppa tra 1764
e 1766. Dopo che in incognito si
diminuito il peso della pagnotta senza abbassarne il prezzo (racconta labate
Gabriel Franois Coyer), la reazione popolare costringe lAnnona a ritornare
alla vecchia misura: mentre il papa versant des larmes paternelles sur
laffliction de ses enfants dice ces paroles difiantes: pregheremo il Dio,
faremo processioni ([29]).
Drammatiche sono le
conseguenze della carestia pure in Romagna. Da Ravenna cՏ questa testimonianza
di Marco Fantuzzi: Gli operai rimasero senza lavoro, le campagne non furono
seminate per mancanza de bestiami venduti e de generi o esecutati o non
raccolti, le case rurali non risarcite andarono in rovina, i necessari lavori
ai fiumi, e scoli per impotenza trascurati, produssero nuove inondazioni e
nuovi danni, i coloni avvanzati alla fame ed alla morte, oppressi dai debiti,
impotenti al lavoro, spogliati di tutto, parte ritiraronsi in citt per viver
mendicando e di rapine, parte fuggirono altrove ed il poco restante rimase a
carico dei miserabili possidenti... ([30]).
Il cronista riminese Ernesto
Capobelli scrive che nel 1764 a Roma concorrono milliaia di poveri, ospitati
a spese dellErario in due serragli: alle Terme, gli uomini, ed alla
Bocca della Verit in Campo Vaccino, le donne. Tra queste ultime serpeggia
unepidemia di vaiolo. Tre anni dopo, in sede di bilancio degli eventi,
Capobelli conclude che il Pontefice non pens a solevar in conto alcuno li
suoi sudditi, dispens soltanto tesori spirituali ([31]).
Il popolo romano (osserva ancora labate Coyer), bien dvot, bien soumis non
si riuniva che pour faire des processions et pour gagner des indulgences sous
le doigt de Sa Saintet ([32]).
Giuseppe Garampi, che agisce a
Roma per mandato della sua citt, nel 1767 comunica ai Consoli di Rimini quanto
gli stato spiegato dalla Congregazione del Buon Governo: che per i 40 giorni
incirca che mancano al raccolto, non pu essere la Citt tanto sprovvista,
quanto si rappresenta, e che intanto la Campagna fornisce ora Erbaggi e Frutti,
coi quali supplire a qualche deficienza di Pane. Commenta Garampi:
In somma nulla da sperarsi. [...] Compiango vivamente la presente
nostra calamit, la quale resta anche pi sensibile, perch non compatita ([33]).
I provvedimenti puramente
finanziari presi da Roma, ha osservato Franco Venturi, minarono profondamente
la situazione dello stato e delle amministrazioni locali: economisti, giuristi
e filosofi sembravano incapaci di superare il punto morto in cui si trovava la
cultura e la politica romana negli anni 60. Le tendenze al rinnovamento, alle
riforme che si erano espresse, sia pur debolmente, da mezzo secolo ormai,
parevano arenarsi tra lindifferenza e le censure ([34]).
In quel periodo, ha scritto
Mario Rosa, tramontano i tentativi di correggere il messaggio
etico-filosofico elaborato e presentato dallEncyclopdie: successivamente si formula la nozione del ruolo
attivo che la religione avrebbe dovuto assumere nella esperienza umana, cio in
un cristianesimo evangelico, umanitario e solidaristico, e si va cos
configurando il tema della societ, visto soprattutto nella integrazione tra
lindividuo e la collettivit e nel rapporto tra diritti naturali e provvidenza
divina, cio in ultima analisi nellintreccio sempre pi stretto tra societ e
religione ([35]).
Questa filosofia cristiana,
aggiunge Rosa, tende sempre pi a formulare ottimisticamente un discorso
sociale e religioso a lungo termine, distinguendo tra religione e prassi
politica, e volgendo lattenzione non gi sullo Stato e le forme e i modi del
potere politico, ma sulla societ in generale. Tuttavia, nello scorcio degli
anni Settanta, anche il discorso di questa filosofia cristiana diventa pi
consapevolmente politico, calando le generalizzazioni teoriche nel clima del
coevo riformismo e dando corpo ad un tentativo di egemonia culturale nel nuovo,
singolare ruolo dinamico attribuito a Roma, attraverso listituzione arcadica.
Lo dimostra, conclude Rosa, proprio Amaduzzi, erudito illuminato, rigorista ed
antigesuita, con il suo discorso filosofico-politico La Filosofia alleata
della Religione, che Ǐ il punto di
arrivo di una linea ideologica che gi si era espressa, sempre attraverso
lAmaduzzi, nel Discorso filosofico
sul fine ed utilit dellAccademie,
del 1776.
Dopo la generosa apertura
culturale di Benedetto XIV (1740-1758), il clima politico cambia completamente
con Clemente XIII (1758-1769). Non cՏ pi alcuna tolleranza per le idee del
clero riformatore e dei filogiansenisti. Bianchi ha raccomandato ad Amaduzzi di
prender contatto con mons. Giovanni Gaetano Bottari (1698-1775), considerato il
capo degli antigesuiti. Lallievo ascolta il maestro. I rapporti fra Amaduzzi e
Bottari sono frequenti e cordiali ([36]).
Bottari il 2 maggio 1761 ha
confidato ad un suo corrispondente ([37]):
Al presente si incontrano tante difficolt e si moltiplicano le leggi e le
proibizioni dello stampare, e del far venire libri, che gli stampatori e i
Libraj o bisogna che mutino mestiero o che si sottopongano a cadere in pene
pecuniarie, e corporali, ed anche infami. Molte vessazioni sono state fatte, e
si fanno a chi compone libri, i quali potrebbe esser che non si stampassero.
[...] Certi Frati che amano il Mondo ignorante, e cos lo desiderano, e che
dominano ora molto in Roma, sono motori di questa persecuzione, simile a quelle
di Giuliano lApostata.
Clero riformatore e
filogiansenisti ora simpegnano non pi sullimpraticabile terreno dottrinario
ma su quello politico, collaborando con i sovrani ed aderendo alle teorie
giurisdizionalistiche ([38])
che riconoscono ai sovrani il diritto dintervenire nella organizzazione
interna e nelle questioni disciplinari della Chiesa. Al proposito merita una
citazione la frase indirizzata da Amaduzzi allo scienziato pavese Gregorio
Fontana: Dio si serva del risentimento de principi laici per promuovere e
maturare la necessaria riforma della Chiesa, che non sperabile davere dalla
spontanea deliberazione dellodierno regnante sacerdozio ([39]).
In queste parole si proietta
lo spirito del Circolo dellArchetto fondato nel 1749 a palazzo Corsini da
Bottari il quale fu animatore di quel partito antigesuita, filogiansenista,
filoilluminista, che colse qualche successo e non pochi consensi, pure nelle
alte gerarchie curiali, contribuendo fra laltro alla creazione di quel clima
che port poi, insieme a determinanti fattori internazionali, alla soppressione
dellOrdine dei Gesuiti: la cultura religiosa del Circolo dellArchetto
anche in seguito costitu di fatto unalleanza oggettiva degli altrettanto
variegati schieramenti riformisti ([40])
che si agitavano allora e non solamente nella citt di Pietro.
I frequentatori dellArchetto, tra cui troviamo Amaduzzi, secondo Nicol Rodolico
non erano Giansenisti, erano sinceramente cattolici, disapprovavano la
condotta ostinata dei Giansenisti, come qualsiasi atto che significasse
opposizione al Papato, e che minacciasse lunit della Chiesa cattolica, ma
essi disapprovavano le condanne e le persecuzioni: erano soltanto cattolici
dotti e tolleranti che si adoperavano per la conciliazione dei Giansenisti col
Papato ([41]).
Nella Roma di Clemente XIII, Amaduzzi non ha vita facile, a causa delle
idee che va elaborando ed esprimendo. Nel ricordato elogio planchiano diretto a
Bertla, racconta anche qualcosa della propria esperienza intellettuale romana,
come quando scrive di essersi trovato spesso nel caso di dover vendicare il
sistema Agostiniano per conto delle dottrine teologiche dai ben noti contrari
attacchi. Amaduzzi aggiunge che, giacch era incerto della futura sua sorte,
ed era premuroso di non mancare di un presidio, che una volta gli potesse essere necessario, riput conveniente
accingersi anche agli studi teologici dei quali successivamente non si sarebbe
mai pentito nonostante il suo stato tuttora profano ([42]).
In casa Bottari spesso
ospite mons. Scipione De Ricci che nel 1780 nominato vescovo di Prato e
Pistoia. Con lui, Amaduzzi entra in una fitta corrispondenza ([43]).
Agli occhi di molti, lo rendono sospetto i rapporti che intrattiene con questi
ecclesiastici accusati di essere Giansenisti. Lingresso nella Stamperia di
Propaganda Fide, ad esempio, avviene contro il parere del suo Prefetto,
cardinal Giuseppe Maria Castelli, futuro Camerlengo del Sacro Collegio, che
riteneva Amaduzzi antigesuita. In base a tale opinione, Castelli aveva gi
respinto un precedente intervento a favore del savignanese fatto da papa
Ganganelli.
La propensione dimostrata da Amaduzzi verso i cambiamenti politici che
in Francia erano sostenuti dagli scrittori illuministi, ne fanno un personaggio
pericoloso. Lo accusano di essere indifferente ed eretico in materia di
Religione. Planco, che era stato ex allievo irrequieto (e fuggiasco) della
Compagnia di Ges al Collegio di Rimini, nel suo insegnamento privato si era
dimostrato fermamente avverso ai Loyolisti: nimico sempre del Probabilismo,
lo definisce infatti lex allievo Giovanni Paolo Giovenardi ([44]).
Anche se Bianchi non approfond mai i temi della nuova corrente teologica
ispirata al teologo olandese Cornelio Janses (1585-1638), il suo atteggiamento
contrario ai seguaci di santIgnazio sembra aver lasciato un segno sul giovane
Amaduzzi e sulle sue scelte dellet matura.
Quando papa Ganganelli sopprime lordine dei Gesuiti il 21 luglio 1773,
Amaduzzi considerato lispiratore della bolla Dominus, ac Redemptor con cui il provvedimento sancito ([45]).
Ne scrive entusiasta a Bianchi: Finalmente si comincia a veder chiaro.
Laffinit di pensiero tra Amaduzzi e Clemente XIV confermata da uno scritto
del futuro pontefice (1757): La filosofia la base della vera Religione,
essendo la Fede appoggiata sulla ragione. Ed il secondo discorso
amaduzziano, come si visto, proprio intitolato La Filosofia alleata
della Religione (1778).
In esso si sviluppa una problematica comune ad altri autori cattolici,
per i quali sia sul piano filosofico generale sia su quello strettamente
politico non vi era contraddizione tra laccettazione di certe proposte dei
lumi e ladesione al cattolicesimo: Amaduzzi dichiara compatibile con un cristianesimo
ripulito dal giogo indegno della superstizione e dellignoranza, tutta la
serie o quanto meno una gran parte dei diritti naturali ([46]).
Sullo sfondo delle rivoluzioni di Corsica e dAmerica, osserva Rosa, questo
discorso amaduzziano segna uno dei punti di arrivo di uno sforzo collettivo
da parte di un riformismo religioso ottimistico e animoso, in bilico ormai,
nello scorcio degli anni settanta, tra la conclusione di una svolta e lavvio
di qualcosa che si andava avvertendo sempre pi come nuovo e sovvertitore nella
politica del dispotismo illuminato ([47]).
In una lettera di Amaduzzi a Gregorio Fontana, si legge come si stessero
approntando allora (1777) i materiali di una rivoluzione di sentimenti anche
fra noi; sei anni dopo sempre con Fontana, Amaduzzi registrava la rivoluzione
felice [...] operata nella politica e nelle scienze a Napoli e in Lombardia ([48]).
Nello stesso 1783 la Chiesa mette allIndice la Storia della decadenza e
caduta dellimpero romano di E. Gibbon,
pubblicata a partire dal 1776, di cui il Nostro lettore ([49]).
La parola rivoluzione in Amaduzzi saccompagna al termine crisi che
indica, secondo Rosa ([50]),
non gi un processo in corso ma il culmine, il momento risolutivo di quei
processi reali segnati dal susseguirsi spesso tumultuoso delle riforme. Nel
1783, ancora a Fontana, il savignanese confida: Questo secolo di rivoluzioni
Dio sa da quali avvenimenti dovr essere coronato ([51]).
Amaduzzi, stato osservato da Paola Berselli Ambri, fu un cittadino
delle Legazioni ammiratore di Montesquieu, che vide la Rivoluzione dilagare,
che vide superato e travolto il mondo nel quale egli stesso non aveva creduto,
che osserv, con locchio disincantato del critico e dello studioso, la bufera
che travolgeva tutto il vecchio sistema e che sper in una palingenesi. [...]
Ed allo scoppio della Rivoluzione tra coloro che la seguono con occhio
favorevole, sperando in un radicale rinnovamento, [...] plaudendo alla
costituzione civile del clero ed allesito infausto della fuga di Varennes ([52]).
Amaduzzi muore il 21 gennaio 1792. Proprio un anno dopo, il 21 gennaio 1793, la
condanna a morte di Luigi XVI votata dalla Convenzione, dimostra che non
esistono rivoluzioni felici. Gli entusiasmi illuministici di unintera
generazione finiscono prima nel sangue poi nellavventura bonapartista.
Va sottolineato anche il ruolo che il Nostro svolge in Arcadia. Qui ebbe
come collega quel Luigi Gonzaga a cui egli dedica il discorso sulle
Accademie, dichiarando di condividere le tesi da lui espresse in una
dissertazione tenuta nella stessa Arcadia sulla funzione civile del letterato
([53]).
Amaduzzi considera lArcadia come la palestra duna gara studiosa e pacifica,
cio duna sola cospirazione virtuosa, e sia questa diretta al solo bene delle
lettere, ed al piacere della societ ([54]).
Da queste premesse, La Filosofia alleata della Religione si muove nel quadro di una evidente volont
illuministica di trasformazione culturale, sociale e statuale, attribuendo
alluomo di lettere ed alluomo di fede una nuova responsabilit che trovava
le sue radici in una religione pura e rafforzata dalla filosofia, pronta ad
incontrarsi pi strettamente con la stessa filosofia e a riconoscervi la stessa
divina matrice ([55]).
Ma nel 1779, mutati i rapporti di forza in Arcadia, con la sconfitta del
partito antigesuitico, e profilatisi i limiti e le contraddizioni del blando
riformismo di Pio VI ([56]),
il coraggioso progetto amaduzziano deve scontrarsi apertamente con
atteggiamenti opposti ([57]).
Intanto nel 1778 Amaduzzi stato denunciato allInquisizione: lo ha salvato la
protezione di padre Giorgi, allora consultore del Santo Uffizio.
Lultimo discorso del savignanese, Dellindole della Verit, e
delle Opinioni recitato in Arcadia
il 12 gennaio 1786, con significativa dedica al conte Giovanni Giuseppe
Wilzeck, ministro plenipotenziario dAustria nel governo della Lombardia, e
Gran Maestro della Gran Loggia Provinciale di Milano, come a dire un nemico sia
della Chiesa sia del Papato ([58]).
Lo spirito dellambiente arcadico (ove regnando la semplicit della
natura, e della campagna, deve naturalmente regnare la verit); e laggancio
autobiografico (Amaduzzi si dichiara modellato per il pi vivo trasporto, e
per il pi forte genio verso la verit, e quindi per il pi deciso abbominio della
doppiezza, e della menzogna), gli servono come premesse per trattare il tema
davanti ad incoronati pastori, ed a filosofi illuminati ([59]).
Amaduzzi ribadisce fermamente quelladesione alla cultura scientifica e
sperimentale e alle scoperte del secolo gi manifestata nel secondo discorso
([60]),
di cui ora sviluppa lelogio della Filosofia che, fatta arbitra de costumi,
delle leggi, e della politica, pose in trono lumanit, e la civil tolleranza,
diramazioni legittime della Cristiana carit, rinforz il patto sociale, abol
i diritti feudali, estinse la disonorante servit, minor le atrocit delle
pene, e de supplici, e poco manc, che non facesse rientrare luomo ne suoi
primi diritti naturali ([61]).
Onde evitare che la Storia possa nuovamente precipitare in quelle
condizioni da cui la Filosofia lha liberata, Amaduzzi enuncia questo
principio: le verit morali risultano dallaccordo, o dalla discordanza, che
esse serbano collinterna nostra coscienza, per cui una sana ragionata
morale ci far distinguere il bene, o il male de nostri sentimenti, e delle
nostre operazioni.
Ci, che serve a stabilire le verit morali, aggiunge, Ǐ
corrispondente a ci, che forma le verit politiche: non essendo la politica,
che la morale de principati, e delle nazioni. Garantita dallesperienza
raccolta dallistoria delle grandi monarchie, e delle ben regolate
repubbliche, ed emanante dalletica, una ragionata verit politica entrar
dovr nella massima di un buon governo dettando alcune regole fondamentali,
come: prevenire per mezzo duna pubblica educazione, far guerra allozio,
togliere di mezzo la mendicit ([62]).
Questo il momento conclusivo e pi intenso dello studio amaduzziano
per proporre, sulle orme di Locke ([63]),
un sistema di idee che fa derivare ogni atto del processo politico (per il
quale si mostra in linea con il riformismo illuminato), dal rispetto di precise
regole filosofiche. Tutta lattivit umana, secondo Amaduzzi, devessere
rivolta al conseguimento di una perfezione che non qualcosa di astratto,
bens ha valore soltanto se si esprime negli atti concreti della realt
quotidiana. In questo progetto gioca la fiducia che la razionalit possa
dominare gli eventi ed i comportamenti, e che lunica legge morale della
politica sia il saper ragionare correttamente.
Il terzo discorso permette ad Amaduzzi di compilare un bilancio della
cultura della quale si sente espressione, ed in cui avvertiamo un influsso
indubbiamente vichiano quando egli scrive che grandi spazi [p. 54] separano
la vecchia dalla nuova filosofia, i tempi eroici ([64]) della favola [p. 33] dal secolo clamoroso, ed
incoerente in cui egli vive [p. 56].
Di derivazione galileiana invece il principio secondo il quale alla
cultura, per uscire dai propri errori e stabilire un grado di vera scienza,
occorre un corredo di esperienze sufficienti [p. 48]. Tocca alla storia poi
ricostruire le vicende accadute in quei grandi spazi tra lieri e loggi,
grazie al lavoro della critica ([65]) che permette di rintracciare la verit negli scritti
degli antichi storici [p. 32].
Le enunciazioni amaduzziane provocano uno scandalo che si riassume nella
Lettera dun viaggiatore istruito
(1789) del direttore del Giornale ecclesiastico di Roma, abate Luigi
Cuccagni, che il Nostro considerava prete ignorante, vano, ed ambizioso ([66]).
Il savignanese risponde con la ricordata Rimostranza umile diretta a Pio VI, il quale assolve il suo conterraneo,
sostenendo che conveniva lasciare una certa libert ai letterati su alcune
questioni. Gi in precedenza papa Braschi aveva salvato Amaduzzi quando questi
aveva dedicato nel 1781 al vescovo De Ricci ledizione a stampa delle Omelie di san Cesario. Pio VI ricorse ad un cavillo: la
prefazione di Amaduzzi era anteriore al breve pontificio con cui De Ricci
era stato severamente biasimato, per cui non poteva essere accusato di nulla.
Nella Rimostranza Amaduzzi
rivendica la sua fedelt alla Chiesa in materia teologica ed il diritto ad
avere opinioni politiche diverse da quelle del papa, convinto che il Santo
Padre non sarebbe stato giammai per fargliene un delitto, perch luomo non
pu essere privato del diritto a ragionare.
Nel momento stesso in cui Amaduzzi completa il suo itinerario invocando
ancora il nome di Locke, la filosofia europea ha gi collocato queste enunciazioni
nel guardaroba delle idee superate. Immanuel Kant nel 1781 ha manifestato con
la Critica della ragion pura il suo
invito alla ragione di [...] erigere un tribunale, che la garantisca nelle sue
pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento ([67]); e tre anni dopo si chiesto Was ist Aufklrung?, rispondendo che illuminismo luscita delluomo
dallo stato di minorit che egli deve imputare a se stesso ([68]).
Sullo sfondo cՏ un mondo che Amaduzzi nel 1790, lanno della Rimostranza, definisce ormai in combustione ed in cui vՏ solo
da sospirare per tutti ([69]).
Intanto il Medio evo finiva: cominciava levo moderno ([70]).
[1] In C. Casanova, Note sulla cultura a Ravenna nel Settecento, estratto degli Atti della Accademia delle Scienze dellIstituto di Bologna. Classe di Scienze Morali. Anno 73. Rendiconti. Vol. LXVII, 1978-1979, Bologna 1979, al cap. 2, Giovanni Cristofano Amaduzzi. Un allievo della scuola riminese di Giovanni Bianchi a Roma, si legge (p. 12) che il rilievo che molti degli scolari di Giovanni Bianchi assunsero nella seconda met del 700 [...] conferma la necessit di uno studio approfondito sullambiente riminese, in gran parte ancora da fare, che consentirebbe di motivare meglio una valutazione della cultura locale altrimenti generica e approssimativa.
[2] Cito dalled. Garbo, Venezia 1778, delle Lettere interessanti, pp. 115-116.
[3] Cfr. A. Montanari, Il contino Garampi ed il chierico Galli alla Libreria Gambalunga. Documenti inediti, Romagna arte e storia, 49, 1997, pp. 61-62.
[4] Cfr. la lettera ad Aurelio De Giorgi Bertla del 24 gennaio 1776, Manoscritti n. 4, Biblioteca Amaduzziana, Accademia dei Filopatridi [BFSA], Savignano sul Rubicone.
[5] Su queste lettere cfr. A. Montanari, Lumi di Romagna, Rimini 19932, Monsieur lAbb, carissimo Fratello, pp. 103-106.
[6] Cfr. G. C. Amaduzzi, Manoscritti n. 33, c. 35, BFSA: questo documento stato gi presentato in A. Montanari, I compiti del giovane Amaduzzi alla scuola riminese di Iano Planco, Notiziario dellAccademia dei Filopatridi, 3-4, 1993; e Riminilibri, 5, marzo 1994.
[7] Cfr. G. C. Amaduzzi, Elogio di Monsig. Giovanni Bianchi di Rimino, apparso anonimo sullAntologia romana, tomo II, 1776, pp. 227-229, 235-239.
[8] Il testo in G. Gasperoni, Settecento italiano (Contributo alla storia della cultura), I. Lab. Giovanni Cristoforo Amaduzzi, Padova 1941, pp. 319-343. Il brano cit. alle pp. 325-326.
[9] Si tratta di questi testi, sui quali ritorneremo: Sul fine ed utilit dellAccademie (Torchi dellEnciclopedia, Livorno 1777), La Filosofia alleata della Religione (ibid., 1778), e Dellindole della Verit, e delle Opinioni (Pazzini Carli, Siena 1786).
[10] Le insinuazioni domestiche a serbare in ogni azione la verit e la schiettezza, qual patrimonio di casa, e qual marca donore, trovarono la pi volontaria accettazione nel mio cuore quasi come loro sede: cfr. Rimostranza, nel cit. Gasperoni, Settecento italiano, p. 325.
[11] Cfr. G. Natali, Il Settecento. Ristampa della sesta edizione riveduta e aggiornata con supplemento bibliografico (1964-1971) a cura di A. Vallone, Milano 1973, p. 269. (Nelled. Milano 1929, cfr. pp. 302-303.) Qui Amaduzzi detto intrepido campione nella lotta antigesuitica ed uomo di vivido ingegno e di varia dottrina.
[12] In Fondo Gambetti, Miscellanea Manoscritta Riminese, Amaduzzi G. C. [FGMR, AGC], Biblioteca Gambalunga di Rimini [BGR], sono conservate dodici lettere (1775-1778) di Amaduzzi al nipote di Planco, dottor Girolamo Bianchi: alcune contengono, come leggiamo nella prima (9 dicembre 1775), la richiesta di ricercare tutte le sue missive inviate allo zio quasi ogni settimana, dal maggio 1762 sino al tempo presente. Nel Fondo Gambetti, Lettere autografe al dottor G. Bianchi [FGLB], ad vocem, BGR, di questo immenso carteggio, sono conservati soltanto diciotto esemplari, contro le 984 epistole di Bianchi ad Amaduzzi custodite in BFSA: cfr. G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche dItalia, I, Forl 1890, p. 104.
[13] Sugli scolari di Bianchi, oltre ad A. Montanari, Nei ripostigli della buona Filosofia. Nuovo pensiero scientifico e censure ecclesiastiche nella Rimini del sec. XVIII, Romagna arte e storia, 64, 2001, p. 48, nota 41; cfr. Id., LAccademia dei Lincei riminesi (1745). Breve storia con in appendice una biografia del suo Restitutore Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775), Rimini 2002, pp. 32-40 (Biblioteca Malatestiana Cesena, segn. OPROM Mon Ant 16).
[14] Copia autografa si conserva in FGMR, AGC.
[15] Nella lettera a Bertla, Amaduzzi scrive anche: Perfine furono coronati gli ultimi anni della sua gloriosa vita dalla bella considerazione, che a mia petizione a lui del tutto incognita, si compiacque a fare della sua virt, e della sua celebrit limmortale Clemente XIV, la di cui memoria dester sempre nel mio cuore la pi tenera sensibilit, e la pi alta ammirazione nella mente. Egli il dichiar uno de custodi della sua salute, onde per Archiatro segreto onorario Pontificio fu indi riconosciuto, ed in tale occasione interpose pure quel gran Pontefice lautorevole, e generosa sua mediazione perch la Patria il consueto onorario gli perpetuasse, ed insieme glielo duplicasse, come infatti segu.
[16] Si tratta della lettera del 9 dicembre 1775.
[17] Nel 1766 Bianchi, compiendo un tour a Loreto, Assisi, Perugia, Todi, Napoli, Siena, Firenze e Bologna, si ferm a Roma dove conobbe labate Johann Joachim Winckelman, come Amaduzzi ricorda lanno successivo nelle Novelle letterarie (cfr. tomo XXVIII, n. 34, 21 agosto 1767, coll. 531-534: Amaduzzi dal 1766 assiduo collaboratore del foglio fiorentino, seguendo lesempio del maestro). Su questo soggiorno romano di Planco, cfr i suoi citt. Viaggi 1740-1774, ad annum; ed uno scritto amaduzziano di archeologia, apparso in Miscellanea di varia Letteratura di Lucca, tomo VII, 1768 (p. 175).
[18] Cfr. il cit. tomo VII, p. 129.
[19] Cfr. lettera del 21 febbraio 1770, FGLB.
[20] Cfr. E. Raimondi, I lumi dellerudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano 1989, cap. Ragione ed erudizione nellopera di Muratori, pp. 79-97 (ripubblicato in Id., I sentieri del lettore. II, Dal Seicento allOttocento, Bologna 1994, pp. 133-150). Raimondi, sulla scia di L. A. Muratori, contrappone ad unerudizione oratoria o allantica, quella di gusto moderno, sul tipo scientifico, [...] legata allo spirito critico e nutrita di ragione moderna.
[21] Della differenza culturale che passa fra la generazione di Amaduzzi e quella di Bianchi, ci rendiamo conto esaminando i sette compiti svolti dal savignanese alla scuola planchiana: cfr. il cit. Nei ripostigli della buona Filosofia, p. 49.
[22] La cit. tolta da p. 51. Cfr. la mia Appendice alled. an. del discorso amaduzziano La Filosofia alleata della Religione, Rimini 1993, pp. 58-59. (Su tale ed., cfr. la mia Dissertazione nel Quaderno XVII dellAccademia dei Filopatridi, Savignano 1995, pp. 119-126.) Nel saggio di M. Ceresa, Una biblioteca nella Rivoluzione, Due Papi per Cesena. Pio VI e Pio VII nei documenti della Piancastelli e della Malatestiana (a cura di P. Errani), Bologna 1999, p. 216, si legge che Pio VI possedeva una sola opera, un opuscolo, di Giovanni Cristofano Amaduzzi, secondo quanto emerge da un Catalogo conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Grazie alla cortesia dello stesso dottor Massimo Ceresa, dellApostolica Vaticana medesima, ho potuto apprendere che lopuscolo cit. il Discorso dellindole della Verit, e delle Opinioni. (Circa le opere di Newton presenti della biblioteca planchiana, cfr. il cit. Nei ripostigli della buona Filosofia, p. 41.)
[23] Cfr. Il Caff, 1764-1766, Torino 1998, p. 770.
[24] Cfr. B. Fadda, Linnesto del vaiolo, Milano 1983, p. 192-193.
[25] Cfr. A. Montanari, Le Notti di Bertla, Storia inedita dei Canti in memoria di Papa Ganganelli, Rimini 1998, p. 75, nota 85. Sul pensiero di Bertla (oltre il cit. Nei ripostigli della buona Filosofia, passim), si veda lapprofondita ed attenta Introduzione del prof. Fabrizio Lomonaco alla sua Filosofia della storia (1787), Napoli 2002, I-LXXVI.
[26] Nel suo terzo discorso Dellindole della Verit, e delle Opinioni, Amaduzzi definisce la bugia sempre un segno di vilt, e di miseria (p. 29).
[27] La lettera nel cit. FGMR, AGC.
[28] Cfr. in FGLB, ad vocem.
[29] Cfr. F. Venturi, Elementi e tentativi di riforme nello Stato pontificio del Settecento, Rivista Storica Italiana, LXXV (1968), p. 789.
[30] Ibid., p. 790.
[31] Cfr. G. Capobelli, Commentari delle cose accadute nella Citt di Rimino e in altri luoghi, BGR, SC-MS. 306, pp. 36, 233.
[32] Cfr. Venturi, Elementi..., cit., pp. 790-791.
[33] Cfr. A. Montanari, Una fame da morire, Carestia a Rimini 1765-1768, Pagine di Storia & Storie, V, 11, supplemento a Il Ponte, Settimanale cattolico riminese, XXIV (1999), 11, pp. 1-8; e cfr. Id., Il pane del povero. LAnnona frumentaria riminese nel sec. XVIII, Romagna, arte e storia, 56, 1999, pp. 5-26.
[34] Cfr. Venturi, Elementi..., cit., pp. 790-791.
[35] Cfr. M. Rosa, Settecento religioso. Politica della ragione e religione del cuore, Venezia 1999, pp. 160-164 e 176-178. Qui riprende le considerazioni gi presentate nella sua Introduzione allAufklrung cattolica in Italia, Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, a cura dello stesso Rosa, Roma 1981, pp. 1-47.
[36] Alla scuola del Bottari, allombra delle mura vaticane, lavora anche uno dei pi cospicui rappresentanti della seconda generazione dei riformatori cattolici, il romagnolo Amaduzzi che dalla propria terra aveva portato a Roma spirito critico, arguzia ed una certa faziosit, ma non ne aveva portato la faciloneria ed il gusto dellimprovvisazione: cfr. P. Berselli Ambri, Lopera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, pp. 54, 60. (Coltissimo e di gran gusto, Amaduzzi, passionale come pochi, non sopportava la malafede: ibid., pp. 58-59.)
[37] La lettera diretta a Gianmaria Mazzucchelli: cfr. Berselli Ambri, op. cit., p. 56.
[38] Cfr. S. J. Woolf, La storia politica e sociale, Storia dItalia, III, Dal primo Settecento allUnit, Torino 1973, pp. 105-106.
[39] Cfr. ibid., p. 112.
[40] Cfr. R. Merolla, Lo Stato della Chiesa, Letteratura italiana. Storia e geografia. Volume secondo. Let moderna. II, Torino 1988, p. 1076.
[41] Cfr. N. Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci. Saggio sul Giansenismo italiano, Firenze 1920, pp. 4-5.
[42] Il brano qui cit. di seguito alla parte precedentemente riportata relativa allAristotelico rancidume.
[43] Cfr. A. Montanari, Amaduzzi, Scipione De Ricci ed il giansenismo italiano, Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica, 1775-1792, a cura di L. Morelli, Firenze 2000, pp. XXVIII-XL.; e M. Trincia Caffiero, Cultura e religione nel Settecento italiano: Giovanni Cristofano Amaduzzi e Scipione De Ricci, Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XXVIII, 1, Roma 1974, pp. 94-126; e XXX, 2, Roma 1976, pp. 405-437. In questultimo testo, di Amaduzzi si dice che fu costretto a rifluire su posizioni minoritarie, spesso di completo isolamento in Roma (pp. 105-106). In conclusione del suo lavoro, Trincia Caffiero ribadisce che alla fine Amaduzzi fu un personaggio isolato (p. 426).
[44] Cfr. la sua Orazion funerale in lode di Monsig. Giovanni Bianchi, Venezia 1777, p. XXVIII.
[45] Si tratta di unepistola senza nome del destinatario: cfr. p. 165 della cit. ed. veneziana delle Lettere interessanti di Ganganelli.
[46] Cfr. D. Menozzi, Letture politiche della figura di Ges nella cultura italiana del Settecento, Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, cit., p. 145.
[47] Cfr. Rosa, op. cit., p. 142.
[48] Ibid., p. 143.
[49] Ibid., p. 148. (Su Gibbon e la cultura storico-politica del secondo Settecento italiano, cfr. la cit. Introduzione di Lomonaco alla Filosofia della storia di Bertla, passim.)
[50] Ibid., p. 147.
[51] Ibid., p. 148.
[52] Cfr. Berselli Ambri, op. cit., pp. 58-59, 61.
[53] Cfr. Menozzi, op. cit., p. 146.
[54] Cfr. Rosa, op. cit., p. 179.
[55] Ibid.
[56] Con il passaggio del potere da Clemente XIV a Pio VI, secondo Trincia Caffiero, op. cit., p. 122, cՏ unevoluzione nelle posizioni di Amaduzzi, in un primo tempo favorevoli al Papato nelle sue lotte con i prncipi, verso atteggiamenti schiettamente regalisti e anticuriali.
[57] Cfr. Rosa, op. cit., pp. 179-180.
[58] Anche questa terza orazione mostra chiaramente come la posizione di Amaduzzi venga sempre maggiormente scoprendosi nel momento di forza del movimento episcopale-regalista e delloffensiva leopoldina e giuseppina nei confronti di Roma, per rimanere per priva di difesa di fronte allira papale e agli attacchi sempre pi virulenti dei curialisti, quando comincer a delinearsi il fallimento del tentativo ricciano e [...] il riflusso regalista dei sovrani, anche in concomitanza con gli avvenimenti francesi: cfr. Trincia Caffiero, op. cit., pp. 409-410.
[59] Cfr. Discorso filosofico dellindole della Verit, e delle Opinioni, cit., pp. 4-5, 7.
[60] Cfr. Trincia Caffiero, op. cit., p. 410.
[61] Cfr. La Filosofia alleata della Religione, cit., pp. 10-11.
[62] Cfr. Discorso filosofico dellindole della Verit, e delle Opinioni, cit., pp. 26-28.
[63] Locke dal 1734 era un autore proibito. La sua riproposta significa per Amaduzzi conciliare i diritti della ricerca con i doveri del credente: cfr. il cit. Nei ripostigli della buona Filosofia, pp. 42-43. Sulla fortuna di Locke nel 1700 e la diffusione del suo pensiero da parte di Amaduzzi, cfr. Montanari, Amaduzzi, Scipione De Ricci ed il giansenismo italiano, cit., passim.
[64] A pag. 44 di questo stesso discorso, Amaduzzi parla delloriginale ignoranza delluomo.
[65] Qui Amaduzzi sembra riflettere quel passo della Scienza Nuova di Vico dove si parla dellimportanza del lavoro filologico per avere la coscienza del certo, differenziandosi cos dal Bertla della Filosofia della storia, il quale non si cura di accertare le ragioni degli scrittori del passato con lautorit della filologia, convinto comՏ a priori di un primato dei modelli classici.
[66] Cfr. Montanari, Amaduzzi, Scipione De Ricci ed il giansenismo italiano, cit., p. XXVIII, nota 7. Pronunciato il terzo discorso, Amaduzzi scrive a Girolamo Pompei, il 4 febbraio 1786 (Manoscritti n. 28, BFSA), che ha intenzione di stampare la sua dissertazione, senza assoggettarla alle mutilazioni di Frati superstiziosi, e fanatici.
[67] Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, Bari 1966, p. 7. Nella Prefazione alla I ed. [1781], Kant ricorda la fisiologia dellintelletto umano (per opera del celebre Locke) (p. 6). Per altri passi in cui cit. Locke, cfr. ad indicem, pp. 764-765.
[68] Cfr. I. Kant - B. Constant, La verit e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica, Milano 1996, p. 13.
[69] Cfr. Montanari, Amaduzzi, Scipione De Ricci ed il giansenismo italiano, cit., p. XXXVIII. Si tratta di una lettera del 12 giugno 1790.
[70] Cfr. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, II, Milano 1956, p. 377.