"Lumi di Romagna"
7. Ruggiero Boscovich e la questione del porto canale.
Grattacapi per un porto canale. È una pagina, nella storia della Rimini settecentesca, piena di contrasti tra gli intellettuali ed i tecnici che affrontano la questione. Già sul finire del 1500, c'è stato chi ha proposto di spostare il porto sull'Ausa, perché la corrente "della Marecchia", trasportando al mare ghiaia ed altro, rende di difficile gestione il canale, i cui interramenti "ostacolavano l'accesso delle barche con sensibile danno pel commercio della città". (1) All'inizio del 1700, su consiglio del cardinal Gozzadini, Legato di Romagna, vengono eseguiti lavori di riparazione alle sponde. Alla riva destra, le palizzate sono sostituite completamente da un'opera in muratura. Il Comune spende più di 70 mila scudi. In seguito all'alluvione del 1727, "caddero i nuovi moli (perché malamente costruiti) nel Porto; e questo solo danno fu calcolato in quindici mila scudi. Le acque erano a tale altezza che dall'Ausa alla Marecchia verso il mare giunsero a sorpassare l'altezza degli alberi più elevati", scrive Luigi Tonini, riprendendo la Cronaca del conte Federico Sartoni. (2) Nel 1744, prosegue Tonini, essendo stata trascurata la sponda sinistra per più anni e non essendo stata essa prolungata come la destra, ci fu "lo sconcio che la corrente, espandendosi presso alla bocca, perdesse di forza a portar oltre le ghiaie, le quali per conseguenza otturarono il canale".
L'argomento del porto tiene banco in città. Ne abbiamo testimonianza dall'intervento del filosofo Giovanni A. Battarra, nel 1762. In esso, racconta Carlo Tonini, si dimostra "come il Comune, aggirato da pratici ignorantissimi, gettava il pubblico danaro in provvedimenti inutili e male divisati". "Quante volte il fiume ebbe rovinato il canale, fu chiesto il parere" di Battarra, prosegue C. Tonini: "E quando il danno montò al colmo, egli presentò un piano, il quale fu bensì accolto; ma poi pessimamente eseguito da chi aveva interesse (così dice il Rosa) di screditarlo". (3) Rosa racconta che il piano di Battarra fu anche "alterato a capriccio". Battarra vuole difendersi dalle critiche e dalle malignità cittadine dopo che quel piano (come spiega Rosa), è stato "pessimamente eseguito da chi non si fece coscienza di volere innanzi lo sconcio e il danno" dell'ideatore. E, come abbiamo visto nel cap. 2, quando apre nel dicembre '62 il suo corso pubblico di Filosofia, Battarra tiene due discorsi sul porto, che pubblica l'anno successivo in volumetto: è questo l'intervento a cui si riferisce Tonini. (4)
A sostegno delle sue tesi, Battarra ricorre anche all'autorità di Galileo: per un arco di quarto di circolo, l'acqua si muove più velocemente che per la corda di esso. (5) La velocità del fiume serve a tener più pulito il canale. Precisa il nostro abate: "Mi rido che il condur acque per linea retta sia in tutti i casi la regola più certa, per farle giugner più presto e con più velocità al lor destino". (6) Secondo Battarra, per salvare il porto, occorre quindi "condurre il canale per una curva equabile" e "non mai produrre [prolungare] i moli". (7) L'errore commesso dagli amministratori di Rimini, sta per Battarra nell'aver fatto eseguire lavori "senza la direzione d'un Fisico, ed insieme di uno di quegli Architetti, che per fondamento dell'arte hanno un forte presidio di Filosofia, e di tutte le buone discipline Matematiche". (8) I discorsi di Battarra suscitano grande "commozione in tutti", ricorda C. Tonini. (9) In tutti? Planco, celandosi sotto lo pseudonimo di Marco Chillenio, annoterà: "Questi discorsi non incontrano generalmente l'approvazione comune". (10) Battarra è stato allievo di Bianchi che gli ha fatto incidere le tavole di diverse sue opere, nel 1744. Nel '57, Battarra scrive al conte Roberto Sassatelli di Rimini: "Le nostre rotture col Bianchi si sconvolgono sempre più". (11) Dopo la faccenda del porto, i legami tra i due sono destinati a guastarsi maggiormente.
Sulla scena appare un altro personaggio. Dalla fine del 1762, si trova a Rimini, per redigere il nuovo catasto del territorio, Serafino Calindri di Perugia. Lui si firma ingegnere. Bianchi lo chiama agrimensore. È uno che "discorre con precisione, e fatica da bue". (12) Calindri morirà a 88 anni, dopo aver avuto 35 figli da due mogli, ed esser diventato parroco di Badia San Cristoforo, a Città della Pieve. Il 14 giugno 1764, nel pubblico Palazzo, Calindri legge una sua Memoria, spiegando che il nostro non sarà mai un buon porto perché "fabbricato sopra di un fiume". Rimedi? Non prolungare i moli e non lasciare interrare il canale. "Vi è il modo di rimediare al tutto", e lui è "prontissimo a sottoporlo, in caso sia promosso, a qualunque esame". (13) La Memoria di Calindri ci è stata tramandata da Bianchi che, come curatore delle note al testo, si nasconde sempre sotto lo pseudonimo di Chillenio. (14) Bianchi contesta le idee di Calindri, in modo non troppo velato: le proposte di Calindri vengono definite "misteri… che quì non espone, e forse se l'esponesse non sarebbe che qualche Castello in aria". (15)
Nello stesso 1764, i Deputati del Porto, per avere un altro parere tecnico, invitano a Rimini padre Ruggiero Boscovich (1711-87), gesuita: egli è matematico, fisico, geodeta, astronomo. A Rimini, è conosciuto perché vi ha soggiornato tra 1752 e '53: per correggere le mappe geografiche, pose un osservatorio astronomico in casa Garampi, nell'attuale piazza Tre Martiri. Ha misurato la lunghezza dell'arco di meridiano tra Roma e Rimini, stabilendo così l'esatta forma della terra e l'entità dello schiacciamento polare. A base dell'operazione, sono state prese la cupola di San Pietro a Roma, e la foce dell'Ausa a Rimini.
Bianchi porta Boscovich in carrozza sul porto, e gli mostra i "principali disordini nati in esso da vent'anni in quà". (16) Boscovich ritiene che abbia ragione Calindri, già suo discepolo: non bisogna prolungare i moli, come invece suggerisce Bianchi. Anche Boscovich compila una Memoria (che il Comune gli paga 100 zecchini), dove espone cinque modi per far un porto, senza però sceglierne uno per Rimini. I Deputati del Porto non sanno che pesci prendere, e passano la patata bollente al dotto Bianchi, a cui forse fanno gola anche gli zecchini della consulenza. Nel febbraio del '65, Bianchi esprime il suo Parere. (17) In esso, prima accusa Calindri di aver "provocato timor panico in città", e poi propone di "tener risarcite le ripe" e di prolungare la "Linea" del porto. (18)
Ma, a quanto sembra, Bianchi non trova ascolto in città. In molti lo criticano, invitandolo a fare soltanto il medico e a non immischiarsi in problemi che non lo riguardano. Bianchi risponde il 19 marzo 1765: ci sono illustri precedenti in materia, i medici hanno un sapere molto vasto. A Boscovich manda a dire che il suo lavoro è scritto "in istile…, come ora si dice problematico", cioè non dogmatico. Diverso da quello "stile magistrale" che Bianchi dice di aver usato nel De Aestu (Sul flutto marino, 1739), un'opera che gli dà pieno titolo per intervenire sulla questione del porto. (19) Il 5 maggio 1765, in una lettera a mons. Garampi, Bianchi definisce Calindri "un impostore". (20) Successivamente, Calindri ricambierà la cortesia, scrivendo a mons. Garampi che il De Aestu di Bianchi "diventerà…presso tutti i buoni filosofi un libbro da sardelle". (21)
Nel 1766, nel frattempo, dopo tante dispute, a Calindri viene affidata "l'escavazione di certo banco, che impediva l'ingresso della barche". Il "lodevole effetto" ottenuto in trenta giorni di lavoro, non bastò a far tacere "la parte contraria" che "non cessò dal persuadere che altro sistema di lavoro era voluto". Per calmare le acque, il governo cittadino "ricorse ai migliori matematici di quei dì, perché vi studiassero sopra e giudicassero". (22) Alla fine dell' ottobre '76, arrivano a Rimini i padri minimi Francesco Jacquier e Tommaso Laseur. Di loro, parla Boscovich in una lettera a Francesco Garampi, fratello di mons. Giuseppe e, in epoca successiva, componente della Congregazione del Porto: i due padri "in queste materie non hanno alcuna cognizione pratica". Inoltre, uno di loro, benché faccia l'amico con Boscovich, "ha della rivalità" verso di lui. Boscovich è amareggiato per i "disgusti" che Garampi ha dovuto sopportare a causa sua. (23) A mons. Garampi, Boscovich confiderà nel '68: "Ero stato avvisato che vi sarebbero stati de' gran torbidi…". (24)
I due padri minimi definiscono "inutile e pericolosa" la prolungazione dei moli: meglio spurgare il canale, in mancanza del "solo rimedio radicale", trasferire il fiume. (25) Trionfava Calindri? Altri esperti gli danno ragione: sono gli idrostatici Pio Fantoni, padre Antonio Lecchi e padre Francesco Gaudio, interpellati per volontà di Clemente XIII. Quando Calindri intuisce che anche i tre lo appoggeranno, scrive a mons. Garampi nel gennaio 1768: "Chi si darà alla bertucce, quando usciranno fuori alla luce, sarà il Dottor Bianchi". Lui, Calindri, attende di sapere "dietro al macchione", pensando alla propria situazione personale: "male a quadrini, bene a salute, ricco di affari, scarso di tempo". (26)
I tre esperti approvano il progetto di Calindri (l'espurgazione), e criticano il prolungamento (proposto da Bianchi). Il civico governo ordina l'escavazione, aggiungendo "malauguratamente la simultanea distruzione del molo destro, sì che la corrente di levante avesse passo a distruggere il banco formatosi alla sinistra". (27) A marzo, "stante il poco danaro, e la stagione non atta a' lavori d'acqua, si è risoluto di sospendere" ogni intervento, anche per "acquietare il tumulto, che è cercato di suscitare da' contrarj". (28) Il Governatore riminese, conte Vincenzo Buonamici di Lucca, scrive al vicelegato papale Michelangelo Cambiaso che i battelli non potevano entrare nel porto. Da Calindri sappiamo che non è vero: tra gennaio e il 16 marzo '68, ne sono giunti 79. Intanto, il 26 aprile sorge "un terribile tumulto di Pescatori e Marinaj" contro Calindri che ce ne parla in una sua Lettera a stampa. (29)
Davanti al tumulto, la Congregazione del Porto decide "di fare la prolungazione conosciuta per l'unico rimedio", e proposta da Bianchi: "si vuole con poco felicitare la città". Così scrive Calindri a mons. Garampi. (30) Qualcosa di peggio del tumulto minaccia Calindri. Ne abbiamo notizia da "un memoriale di mano del Garampi", dove si legge che la persona di Calindri "è troppo malsicura presentemente in Rimini, per essergli stata insidiata la vita per motivo dell'opera ch'egli ha impiegata nei lavori di quel Porto". (31) Calindri ha appena invocato aiuto da mons. Garampi: il "noto Brugiaferro" di professione bandito, "si vanta di volersi lavare le mani nel mio sangue". (32)
Nel maggio 1768, Calindri fugge da Rimini per salvarsi da "insulti prudenzialmente temuti", e ripara a Roma. Da un messo inviatogli dal proprio fratello, apprende "che avrò guai se vengo". "In quanto al Porto, non è più al caso per me": gli preme soltanto salvare la famiglia e "la mia pelle". Sul canale, dice: "Le cose meritavano altre provvidenze a principio". Ogni altro lavoro che si farà, sarà "buonissimo pel Porto, ma fatale a me". Lui verrà a Rimini, ma solo per pochi giorni, e con una guardia del corpo "per prevenire le bricconate de' miei contrari". Quindi, gli serve una camera a due letti. Per il mangiare, "farò come potrò". (33)
Pochi giorni dopo, il 9 luglio 1768, Boscovich per iscritto si sfoga con mons. Garampi: "Fin da quando io fui ricercato di portarmi a visitare quel misero porto, ero stato avvisato che vi sarebbero stati dei gran torbidi, ma non mi sarei pensato, che si dovesse andare tanto innanzi, né avrei creduto, che la tracotanza di alcuni ignorantissimi in quelle materie, e non so quanto meritatamente accreditati in altre [la frecciatina è per il medico Bianchi, n.d.r.], dovesse far tanta impressione in alcune persone di rango impiegate ne' governi… Godo infinitamente di esser lontano…". (34)
Bianchi, con la sicumera del vincitore, in una lettera del 1769 ricorda la venuta del "frate Boscoviz" per "dar cattivi consigli pel nostro porto". (35) Iano Planco ha sbaragliato gli avversari: "Come spesso accade nelle vicende di una città di provincia, vince la soluzione locale. Per un lungo periodo di tempo sarà applicata la teoria del Bianchi sulla validità del prolungamento dei moli". (36) Ma nel 1938, con la deviazione del Marecchia, Rimini darà ragione a Calindri e a Boscovich. Un porto fabbricato su di un fiume "non sarà mai un buon Porto". Calindri lo aveva sostenuto nel 1764.

Note al cap. 7
(1) Cfr. A. Mercati in Lettere di scienziati, cit., pp. 186-187.
(2) Cfr. L.Tonini, Il Porto di Rimini, brevi memorie storiche, Bologna 1864, pp. 12-16.
(3) Cfr. C. Tonini, La Coltura, II, cit., p. 589. Tonini riporta le opinioni di Battarra soltanto attraverso le pagine di M. Rosa, Biografia di G. A. Battarra, cit.: cfr. ivi p. 106.
(4) Cfr. Due discorsi dell'Ab. Giovanni Antonio Battarra Professor Pubblico di Filosofia, e del Seminario nella città di Rimino sua Patria, fatti co' suoi Scolari, sopra la fabbrica del Porto di quella Città, tomo X degli "Opuscoli" del p. D. Angelo Calogerà, Venezia 1763.
(5) Ibidem, p. 467.
(6) Ibidem, p. 466.
(7) Cfr. C. Tonini, La Coltura, cit., p. 590. Le due ‘formule’ di Battarra sono ricavate dal cit. Rosa, p. 106.
(8) Cfr. Due discorsi, cit., p. 460.
(9) Cfr. C. Tonini, La Coltura, cit., p. 589.
(10) Da Lettera del signor Marco Chillenio ad un suo amico la quale serve d'Appendice al parere dato dal Signor Dottor Bianchi sopra del Porto di Rimino, Pesaro 1765: Chillenio è l'anagramma del cerusico Carlo Michelini, che aveva pagato la stampa di un altro lavoro di Planco. (Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., p. 187). Il Parere è quello stampato nello stesso anno da Bianchi: cfr. qui la successiva nota 14.
(11) Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., p. 157.
(12) Ibidem, p. 186. Il giudizio è dell'Ansaloni.
(13) Cfr. Memoria sopra il Porto di Rimino compilata dal signor Serafino Calindri con note del sig. Marco Chillenio, Rimino 1764, Ricci, Pesaro 1765, p. 24.
(14) Prima apparve la Memoria Calindri, poi il Parere sopra il Porto di Rimino del dottor Giovanni Bianchi, Ricci, Pesaro 1765(febbraio), ed infine la Lettera Chillenio (marzo '65).
(15) Cfr. Memoria Calindri, cit., p. 24.
(16) Cfr. Lettera Chillenio, cit., p. 5.
(17) Cfr. Parere, cit.
(18) Ibidem, p. 22.
(19) Cfr. Lettera Chillenio, cit., passim. Il titolo completo del De Aestu è Jani Planci de conchis minus notis liber cui accessit specimen aestus reciproci maris superi ad littus portumque Arimini, Venezia 1739. La seconda ed. apparve a Roma nel 1760. Con il De Aestu, Planco si fa conoscere dal mondo scientifico italiano: il volume è "di fondamentale importanza nella storia dei microforaminiferi" e "venne ripetutamente citato nei trattati di Linneo" e di altri studiosi. Ma "anche per gli altri suoi studi sugli animali marini… il Planco raggiunse un livello scientifico di tutto rispetto". Cfr. A. Turchini, Tra provincia ed Europa. Scienza e cultura a Rimini nel XVIII secolo, in E. Guidoboni - G. Ferrari, Il terremoto di Rimini, cit., p. 148.
(20) Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., p. 189, n. 1.
(21) Ibidem, p. 193. La lettera è del 21. 1. 1768.
(22) Cfr. L. Tonini, Il Porto, cit., p. 14.
(23) Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., pp. 143-144.
(24) Ibidem, p. 146.
(25) Cfr. L. Tonini, Il Porto, cit., p. 15.
(26) Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., pp. 192-193.
(27) Cfr. L. Tonini, Il Porto, cit., p. 15.
(28) Lettera di Calindri a mons. Garampi (8. 3. 1768), Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., pp. 194-195.
(29) Cfr. Del Porto di Rimino. Lettera di un Riminese ad un Amico di Roma coll'Appendice di documenti (dell'8. 7. 1768), Roma. Cfr. in A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., p. 187, n. 6.
(30) Cfr. lettera cit. di Calindri a mons. Garampi dell'8. 3. 1768, di cui alla precedente nota 28.
(31) Cfr. A. Mercati, Lettere di scienziati, cit., p. 196.
(32) Ibidem, p. 195.
(33) Ibidem, pp. 197-198. La lettera è dell'8. 6. 1768: "Realmente sono partito da 21. giorni…".
(34) Ibidem, pp. 145-147.
(35) Cfr. G. L. Masetti Z., Diporti marini, cit., p. 56.
(36) Cfr. S. Bugli e A. Turchini, I porti, in "Storia di Rimini illustrata", Nuova Aiep, Bologna, dispensa n. 36, pp. 565-566. C. Tonini appare chiaramente partigiano di Planco. Nel suo Rimini dal 1500 al 1800, cit., I, p. 677, infatti scrive che alla fine riportò "pieno trionfo il parere del Bianchi". Tonini segue il cronista settecentesco Ernesto Capobelli che "si mostra avversissimo al Boscovich e al Calindri, e di questo dice il peggior male che può, facendolo figurare come un ciarlatano" (ibidem). Un breve accenno alla vicenda del porto, è nell'articolo La vera storia della Torre Fortino sul molo (2) - Il progetto dell'architetto Luigi Vanvitelli ("Il Ponte", 31. 3. 1991), di Guido Simonetti e Primo Bulli, dove, sposando le tesi di Capobelli, si parla dell'"insipiente Serafino Calindri". Calindri fu estensore del Catasto del Riminese tra 1762 e 1774. Per una ricostruzione storica globale del problema del Marecchia, cfr. Il porto e la marineria di Rimini, fascicolo di fotocopie della Sezione d'Archivio di Stato di Rimini, per la mostra omonima (1988), a cura di Luigi Vendramin.

Testo ripreso dal volume "Lumi di Romagna" di Antonio Montanari

Sul tema:
Porto e politica, affari e malaffare

Antonio Montanari

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