Una camera da letto
degli anni Cinquanta,
dalle vaste specchiere.
Esse catturano la luce
festiva del giorno,
che filtra attraverso
le persiane socchiuse.
Il tempo si è arrestato
a un passaggio a livello
e regredisce all'infanzia,
ingannando l'attesa
col motore spento.
Lasciate che i treni fischino
a lungo nella notte piovosa.
Lasciate che i binari d'acciaio
saggiati da mazze metalliche
vibrino come aste di diapason,
mentre una torcia elettrica oscilla
laggiù lungo la strada ferrata.
Il suono della pioggia
insiste sulla lamiera,
mentre un gesto distratto
aziona i tergicristallo
con battito cardiaco
nel vano dell'abitacolo.
Ma tu così estranea
sul sedile a fianco
accendi una sigaretta,
inafferrabile fiammella
che danza nel buio
e illumina per un attimo.
Tutto ciò sa d'arcaico:
lasciate che duri ancora un poco
prima di rifluire nell'inconscio,
riassorbito dall'orologio da parete
nella sala d'aspetto alla stazione.
Un giornale spiegazzato fra le mani,
i titoli di testa a caratteri cubitali.
Il riverbero di luci nella vetrata,
che sciabola senza uno schianto
con stridore brusco di freni.
Quel tanto che basta
perché la tua immagine
si sovrapponga all'altra,
quasi foto istantanea
che ondeggia indistinta
ed emerge dal fondo
della bacinella dell'acido
fino a coincidervi,
moderna Euridice,
ma solo per un attimo.
I passeggeri a tarda notte
somigliano l'uno all'altro,
sanno di caffè e di sigarette
tutti uguali nei baveri alzati
sotto gli anonimi copricapi.
Ma tu no, certo sei diversa
nel grigio transalpino degli occhi
schiarito da un lume d'accendino,
mentre ti allontani sconosciuta
protetta dal vetro al finestrino
irrorato di gocce di pioggia.
Pino Blasone