Monotonia dell'ora
scandita dall'orologio
a picco sulla piazza
dell'abitato di mare,
proiettata a ritroso
nella scatola cranica.
Effetto deformante
dell'occhio grandangolo,
in una vertiginosa
fuoriuscita del senso
da una falla nello scafo
già a tenuta stagna.
Erinni scapigliate
lungo i marciapiedi
adescano i passanti.
Ecco il buon Terent'ev,
evaso da una copertina
di rivista letteraria,
brandire la spada
ricurva della poesia
e lanciarsi al galoppo
contro antichi draghi
appena usciti dal letargo,
che sbadigliano affacciati
oltre geometrie di case.
Cavalieri improvvisati
di un’altra apocalisse,
la generazione di poeti
che tutto aveva visto
e tutto aveva sofferto
della sua epoca e oltre
qui si aggira ancora
tra specchi deformanti.
Il pavimento è cosparso
di fiammiferi spenti
e tutte le lampadine
pendono fulminate
dal soffitto della sala.
Oggi il mio centro
del linguaggio è stanco;
stanco di sintetizzare
le informazioni ricevute,
si rifiuta di formulare
ulteriori risposte.
Voglia di procedere
col cervello in folle,
orrore delle citazioni
fin quasi alla nausea,
benché io non possa
ormai farne a meno
con tutta la letteratura
digerita a gran fatica
dal centro della memoria
Viva Breton, viva Terent'ev
compresso nella rotativa
della dialettica storica,
però non parlatemi
di scrittura automatica
o di poesia transmentale,
che il vecchio Breton
non abbia a scompisciarsi
dalle risa nella tomba
gravato dal suo karma.
Nel tramonto invernale
il mare madreperlaceo
dilaga per le scale,
facendo galleggiare
tutto quanto galleggia.
Fino a che il riflusso
lasci sull'impiantito,
fra giocattoli rotti
e membra di bambola,
diapositive sfocate
da proiettare sullo schermo
opaco della coscienza.
Tessere di un mosaico
arduo a ricomporsi
per l'umana pazienza,
schegge di memoria
di tutte le generazioni
che ci hanno preceduto.
Povere generazioni
così a lungo recluse,
legate e imbavagliate
in qualche cunicolo
del mio emisfero destro!
Pino Blasone