L’enigma dell’alata Sfinge,
la guida del filo di Arianna,
la tela disfatta da Penelope,
il canto infido delle Sirene,
la beffa del cavallo di Troia
e l’abbaglio del vello d’oro
o la testa recisa di Medusa:
volentieri il senso dei miti
ruota intorno a un oggetto.
Quasi una luna tra le nubi,
esso fa lume a chi si cala
nel passato, pur di estrarne
quel poco che c’è di futuro.
Poter leggere nell’avvenire
e disperare di esser creduta:
tale, l’oggetto di questa pena,
il dono e lo scherno degli dei
gelosi dei decreti della sorte,
che ha reso irrisorio il nome
di Cassandra figlia di Priamo
il re della mia città distrutta.
Prigioniera io solco le onde
sulla nave di un duce nemico
e so il destino che ci aspetta
giunti infine alla sua patria,
ma nulla posso per evitarlo.
Quante volte mi chiedevo
se io mi ricordavo di ieri
o mi figuravo un domani
confusa tra l’uno e l’altro,
finché una voce chiamava
“Cassandra!” e due braccia
venivano a scuotermi piano
perché tornassi al presente.
Come vorrei che anche ora
mi chiamasse quella voce,
con le sue braccia amiche!
Ma non c’è ormai nessuno
che sia più capace di farlo,
né c’è un presente ospitale.
Già la regina Clitennestra
(che non perdona la figlia
da te immolata in cambio
della fortuna nella guerra)
e il pretendente usurpatore,
Egisto, affilano le loro lame
nella scura rocca di Micene
per sopprimere a tradimento
il reduce re e la sua schiava.
E tu, Agamennone, non hai
orecchi per gli avvertimenti
che ti offro. Oppure ti illudi
che si tratti di una calunnia
dettata dal mio risentimento.
E ancora Oreste ed Elettra,
i figli restanti, non vedono
sulle proprie mani il sangue
della madre e dell’amante,
versato per matura vendetta.
Ma tu ti bei della tua vittoria
e già ti prefiguri un trionfo
accogliente dei tuoi sudditi.
Non contento dei tanti lutti,
ogni conflitto che si rispetti
si trascina dietro una lunga
scia rossa per nuovi delitti.
Ecco perché i delfini gentili
schivano il mare tutt’intorno
e al passaggio della tua nave
i gabbiani stridono fuggendo.
Seduta qui a fianco del pilota,
col mento poggiato sul legno
io scruto un vuoto orizzonte,
mentre pende immota la vela
issata sul suo albero spoglio
in attesa di un vento propizio.
Possa mai levarsi quel vento
o possa scatenarsi a tal punto
che lo scafo faccia naufragio!
Io rivedo le mura e i palazzi,
le strade e i giardini della città
che allora mi vedeva crescere,
e i volti di quanti mi sono cari.
Neppure loro prestarono fede
a certe importune predizioni,
così da persuadermi a tacere
sospettosa delle mie visioni,
ragazza affetta da malinconia
e insicura del proprio aspetto
tanto da evitare la compagnia.
Malgrado l’apparenza inganni
nessuno ama sapere il futuro,
al costo di ripetere gli errori;
questa è una lezione del mito:
egli rifugge qualsiasi presagio
che possa turbare i suoi sogni.