Chi, la ninfa marina?
Di Calipso io ricordo
i suoi capelli azzurri,
così lunghi da avvolgere
e celare l’intera isola
che risponde al nome
misterioso di Ogigia:
più un suono che un nome,
anzi un verso indistinto,
a tal segno i naviganti
timorosi delle tempeste
evitano di pronunciarlo.
Rammento anche il suo dono:
la promessa di farmi immortale,
in cambio della mia permanenza
nell’isola prigioniera dell’incanto.
Io non sarei mai più stato Ulisse,
intendo questo in carne ed ossa,
tutt’al più una specie di fantasma
che le onde chiamassero Nessuno,
un naufrago con l’orecchio intento
all’auricolare di una radio portatile
che mendichi notizie dal mondo.
Aggirarmi per sempre
su quelle spiagge dorate
ad accumulare le perle,
cibando mansueti delfini
accorrenti fra gli scogli
a lambire le mie mani:
non fa per me questa vita
le confidai in un sussurro,
mentre i lunghi capelli
grondanti gocce di luce
tornavano a raccogliersi
in un nodo sulla sua nuca.
Lei non fiatò. Da quel giorno
si spense il suo canto e Ogigia
tornò un’isola come poche altre,
di quelle che i migliori skipper
segnano sulle loro carte nautiche
per gli approdi di turisti di lusso.
Buste di plastica, bottiglie vuote
e profilattici usati cominciarono
ad arenarsi fin sulle sue coste.
Ma, per fortuna, era prossimo
ormai il varo del mio scafo.
Presto avrei ripreso il largo
in cerca di una nuova isola
o piuttosto di una antica,
là dove le dee o le ninfe
fossero solo delle statue
ben salde sui loro altari,
là dove a nessun devoto
toccasse restare avvinto
dal flusso dei loro capelli,
e il cui povero splendore
fosse quello dei ceri accesi
dalle dita stanche di tessitrici.
Pino Blasone