Nostalgia di Arianna

 

 

La trovarono fuori di sé.

Quasi non la riconobbero

nelle sue vesti a brandelli,

vagante per l’isola di Nasso

come un animale selvatico.

Predicava di un nuovo dio

dispensatore di ebbrezze

e di visioni di vita eterna,

che l’aveva fatta sua sposa

ed esaltata fino alle stelle.

Di Teseo non parlò. Per lei,

io ero ormai solo un nome.

Aveva perfino dimenticato

di avere anche una sorella.

 

I marinai ne ebbero pietà 

e la ricondussero a Creta

per renderla al re Minosse,

sperando in una ricompensa.

Di fronte alla figlia ribelle,

la sua indulgenza fu insolita.

Ordinò di trattarla quale dea,

purché rinchiusa in un tempio

stesse sulla cima di un monte

a venerare solitaria il suo dio.

Trascorsero poi lenti gli anni

ed Arianna tornò a ricordare.

 

Rivisse l’abbandono di Teseo

e l’inganno da parte di Fedra,

rivide la vela dei due amanti

allontanarsi al largo sulle onde,

sparire oltre il vuoto orizzonte

mentre lei piangeva impotente

sulla riva dell’isola selvaggia.

Come mai io abbia potuto farlo

ancor oggi non so spiegarmelo:

a tal punto ero sedotto da Fedra,

la più giovane delle due sorelle,

da violare ogni altra promessa,

da agire senza alcuna scusante.

 

Arianna si appellò al suo dio,

invocando qualche vendetta

o perché fosse fatta giustizia .

E Dioniso dovette ascoltarla

insinuando nella mia sposa

la più insana delle passioni,

per quanto non corrisposta,

rivolta a mio figlio Ippolito.

Il finale di questa tragedia

forse non vi è sconosciuto:

ne ha cantato più di un poeta

sempre in cerca di ispirazioni.

 

Ciò che io credo non sappiate

è il mio incontro con Arianna

a guida di un coro di baccanti,

pellegrine a una festa in città 

quando ero ormai re di Atene.

Nell’espressione del suo viso

ho rivisto le grazie di Fedra.

Però i gesti erano misurati,

come il moto di un orologio.

Pure la sua voce era mutata;

sembrava l’eco che venisse

dal cavo di una conchiglia

se la si accosta all’orecchio.

 

“Infine non ti manca il potere.”

ha detto, “Certo l’hai meritato,

al costo di sacrifici e sventure.

Penetrati in uno scuro Labirinto

contorto quanto il nostro animo,

credemmo di vincere il mostro

partorito dal ventre di mia madre.

La moglie da te persa anzitempo

è la pena del mio segreto rimorso.

Mentre l’astro di Creta tramonta

a me resta solo il conforto del dio.

Fai in nome suo ciò che mi devi,

accordaci una sacra accoglienza

se non ti spiace il comune ricordo”.

 

 

Pino Blasone

 

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