Pino Blasone

 

L'Arcano senza nome *

 

 

Il Mago

 

Una tradizione sull'antico gioco di carte dei Tarocchi lo vuole inventato o, meglio, perfezionato alla corte del re di Francia Carlo VI detto il Folle. Per l'esattezza, il primo a illustrarle così come noi le conosciamo sarebbe stato un tale Jacquemin Gringonneur. Ancor oggi, alcuni esemplari dipinti a mano dell'opera si possono ammirare nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Scopo contingente sarebbe stato distrarre il sovrano dalle sue ossessioni e contribuire a curarne la pazzia. In effetti, le prime ventidue carte fra le settantotto che compongono il mazzo sono definite Trionfi o Arcani Maggiori. Le loro figure continuano a esercitare un potere di suggestione quasi ipnotica sulla mente di chi le osserva con attenzione e senza eccessive prevenzioni.

Molto più di recente rispetto all'artista-taumaturgo medievale il medico svizzero Carl Gustav Jung, tra i fondatori della psicanalisi, con la sua teoria degli archetipi e dell'inconscio collettivo ha fornito una spiegazione plausibile per i fenomeni del genere. Con gli opportuni adattamenti, le immagini raffigurate sui Tarocchi si presterebbero a rappresentare alcuni di tali archetipi radicati nella nostra psiche, diffusi in un largo raggio nel tempo e nello spazio. Forse anche per questo da secoli certi pretendono, interpretando le combinazioni degli Arcani, di indovinare il nostro passato e perfino il futuro.

Tutte queste notizie sui Tarocchi e altre simili ho appreso da Karen, che è un'esperta nel campo. Lei stessa mi ha fatto notare come gli Arcani Maggiori sono distinti da un nome e un numero. Tutti, meno la carta del Folle, la quale per il suo carattere e ruolo nel gioco non ha numero. Grossomodo, il suo compito è di scombinare le certezze acquisite e rimetterci in discussione. C'è poi la carta numero tredici, su cui non è specificato alcun nome. Con ogni probabilità, per scaramanzia.

"Nonostante le apparenze," prosegue Karen, "le carte più importanti sono quelle del Mago o Giocoliere e della Sacerdotessa, anche detta Guardiana del Tempio. La prima rappresenta l'interprete stesso e la conoscenza pratica della realtà della vita. La seconda, l'intuizione trascendente e ultima della cose del mondo."

"Tutte belle frasi", penso, "Non starei nemmeno ad ascoltare, se non fosse lei a pronunciarle e se non l'avessi incontrata quando la bellezza della sua persona era superiore al fascino delle sue parole. Deve essere stato, anzi senz'altro è stato, molto tempo fa. E, poi, qui e ora Karen sembra costituire l'unica autorità riconosciuta. Tutti la rispettano e le danno retta. Deve pur esserci un motivo, oltre al fatto che è la proprietaria della casa di riposo per anziani Holger Danske in cui sono ospite. Se volessi malignare guardandomi intorno, potrei insinuare che è la sola in grado di ragionare normalmente o, piuttosto, di continuare a dare l'impressione di farlo."

Ah, dimenticavo: nella versione italiana del gioco, probabilmente quella originaria, le carte qui sopra citate assumono rispettivamente i nomi del Matto, del Bagatto e della Papessa. Altre denominazioni possono variare, quali le Stelle o la Stella e gli Amanti o l'Amore. Ma fa una grande differenza?

 

Il Sole

 

"Murano, Burano, Torcello...", ripeteva la guida all'interno del battello, prima di procedere a una frettolosa introduzione in più lingue al giro delle isole intorno a Venezia. Non so più se per noia o per  sincero interesse avevo deciso di partecipare anch'io in un momento libero, trovandomi di passaggio per tutt'altri motivi nella città sulla laguna. Questo, invece, ancora adesso lo rammento come se fosse ieri: io e Karen eravamo seduti per caso l'uno a fianco dell'altra, sullo stesso sedile. Per caso, fino a un certo punto. Prendendo posto tra la piccola folla di turisti di varie nazionalità, non avevo potuto fare a meno di notare la sua presenza dall'inconfondibile aspetto nordico. Quasi assente dal gruppo circostante, lei guardava attraverso il vetro fuori dal finestrino.

Quando la nostra guida improvvisata ha esordito con la sua buffa cantilena, Karen si è però girata lentamente verso di me. Ci siamo guardati in faccia per un attimo e siamo scoppiati a ridere insieme, di un riso spontaneo e puerile. La guida ha smesso di parlare al microfono, finché non ci ha azzittiti con il suo sguardo irritato e severo. Così, io sono rimasto in silenzio ad osservare gli occhi di lei. Azzurri e profondi come il mare. Ora, il mare è una dimensione senza confini. Pur essendo matrice di un'infinita varietà di forme, ha una sola voce e ospita per lo più le stesse creature. Un po' come l'inconscio collettivo di Jung, negli animi dei popoli e degli individui che risiedono sulle sue sponde deposita immagini comuni. Esse si rivestono sì di parole e di miti diversi. Tuttavia la loro sostanza resta tendenzialmente immutata, assai a lungo e per largo.

Tre soste, di appena mezz'ora ciascuna. La prima tappa è stata l'isola di Torcello, già amata dal grande scrittore americano Ernest Hemingway. Ormai spopolata da secoli e invasa per la maggior parte dalla vegetazione, essa è stata abitata prima di Venezia e di quell'epoca lontana conserva solo pochi edifici pubblici e sacri. Eppure, dai suoi preziosi silenzi e riflessi hanno tratto origine i cangianti splendori della celebre città arrischiata sull'acqua. Seconda sosta a Burano, antica isola di pescatori famosa per i merletti lavorati a mano e le tinte vivaci degli esterni delle sue case, una differente dall'altra. Io seguivo Karen in coda al gruppo, affascinata da luoghi per lei esotici anche se non del tutto estranei, grazie agli intimi rapporti che i loro abitanti hanno da sempre intrattenuto con il mare. Da ultimo, Murano. E' lì che abbiamo stretto un'amicizia, la quale sarebbe presto maturata in un legame sentimentale per la verità più intenso che duraturo.

Scesi dall'imbarcazione, siamo stati condotti nei locali di un laboratorio dove ci hanno fatto assistere a una dimostrazione di fabbricazione del vetro secondo le tradizioni locali. Sicuramente, mi sarei abbastanza annoiato se non mi fossi lasciato contagiare dall'ingenuo entusiasmo di Karen. Davanti a noi, per mezzo di lunghe pinze un artigiano manipolava una piccola massa vetrosa, estratta incandescente da un apposito forno. Ciò che egli modellava, con abilità e rapidità effettivamente impressionanti, non erano che fragili pesciolini di vetro. Una volta rifiniti e raffreddati, i soprammobili destinati a finire acquistati a caro prezzo come souvenir dagli sprovveduti turisti assumevano delicate sfumature di colore, pur mantenendo la trasparenza di fondo tipica della loro materia. Il tutto, non c'è dubbio, a imitazione delle onde della laguna iridate dai raggi del sole al tramonto.

 

La Torre

 

La veranda porticata dove stiamo seduti è accogliente. La ricordo quando la casa non era ancora adibita alla funzione attuale, ma era semplicemente l'abitazione di Karen. Ci abbiamo trascorso giorni e notti deliziosi, prima che io decidessi di ripartire per i miei luoghi di origine. Nonostante fossimo giovani e stessimo bene insieme, la relazione fra noi non poteva durare. Temperamenti, mentalità e abitudini, troppo diversi. Almeno, io mi convinsi di ciò. La verità è che mi pesava essere già allora suo ospite e dipendere moralmente da lei. Tardi mi sarei accorto di aver commesso un errore, quando ormai l'orgoglio e le circostanze non mi consentivano di ripercorrere i miei passi.

Mai avrei immaginato che Karen si sarebbe ricordata di me e tornasse a invitarmi, a tanti anni di distanza. Patetico, ho pensato lì per lì. In seguito la solitudine della vecchiaia, la curiosità e la nostalgia, hanno prevalso su ogni altra considerazione. Da circa un anno mi sono stabilito qui e non ho rimpianti. La realtà di questi luoghi non mi appare più remota ed estranea come una volta. Se non certo il calore del mio sud, l'atmosfera possiede la qualità di una luminosa trasparenza. Il che può essere un vantaggio, quando i sensi sono intorpiditi e i riflessi sono divenuti lenti.

Proprio di fronte a noi, c'è uno stretto braccio di mare. I miti raccontavano fosse stato scavato dalla dea Gefion, la Venere dei vichinghi, con un grande aratro trainato dai suoi figli trasformati in tori per l'occasione. Cadendo in acqua, le gocce di sudore grondanti dalla sua fronte si sarebbero mutate nei grani di ambra che le onde depositano sulle spiagge del Baltico. Al di là, nei giorni sereni si scorge la terra che i greci attendibilmente chiamavano Ultima Thule, all'estremo nord rispetto al mondo allora ritenuto civile. Poco più su lungo questa costa, sorge il castello che si tramanda sia stato residenza dell'infelice principe Amleto, odierna meta di frettolosi visitatori di ogni regione del globo. In quel punto la distanza dalla Svezia dirimpetto è più breve. Corse di traghetti collegano le due sponde giornalmente, in pratica senza sosta.

Ripensando al mio primo soggiorno da queste parti, non molto è cambiato. Frotte di svedesi sbarcano a rifornirsi di birra e altri alcolici, la cui vendita al pubblico qui non è soggetta a limitazioni. Dal canto loro, sono frequenti le famigliole danesi che si recano in gita a Helsingborg, ridente approdo ed emporio sullo stretto. Poco abituate alle alture a casa loro, salgono con entusiasmo verso la collina alle spalle dell'abitato, sulla quale si trova un ampio parco alberato. Prima di accorgersi della stupidità della guerra e prender gusto alla pace, c'è stato un periodo in cui le due genti confinanti e affini si sono combattute con accanimento. Di quell'epoca di lutti e distruzioni è rimasta un'alta torre in mezzo al parco, tetro avanzo di un fortilizio che la circondava. Dalla cima la vista spazia sulla cittadina sottostante e sul mare solcato da navi, fino all'amletico maniero celebrato da Shakespeare.

Vecchie leggende locali di sospetta fonte danese narrano che, oltre la torre di guardia e le mura di cinta ormai abbattute o crollate, si estendesse un territorio selvaggio, popolato da barbari e belve feroci. Fra queste, primeggiava ovviamente un drago. Anzi, pare fosse l'ultimo sopravvissuto di questa arcaica e piuttosto rara specie. Fortunatamente per i più, esso di solito dormiva acciambellato in una vasta grotta, non senza tener prigioniera nelle immani volute una prevedibile quanto bellissima fanciulla. Particolare non secondario, la testa del rettile serrava tra le fauci la propria coda, quasi a sigillare con un nodo inestricabile il prezioso contenuto racchiuso dalle sue spire.

Non rammento quale ardito guerriero riuscisse a sconfiggere il bestione e a liberare la principessa, si suppone grata dell'evento. Probabilmente Holger Danske, eroe danese per eccellenza. Fatto sta che, per effetto del veleno del drago, egli cadde in un sonno profondo da cui attenderebbe ancora di destarsi. La stessa scena, ritratta prima dell'intervento del guastafeste, sarebbe riportata in maniera allusiva in una carta dei Tarocchi. Segnatamente la numero ventuno, che chiude la serie degli Arcani Maggiori e ha un nome altisonante: il Mondo. Una piccola doccia fredda ci riserva l'Edda, antico poema scandinavo. Il "Serpente del Mondo" perderebbe sì le sue spoglie di tanto in tanto ma solo per rinascere ogni volta, al contrario degli uomini, degli eroi e perfino degli dei.

 

Le Stelle

 

Al centro della sala per le riunioni, c'è l'ornamento di un acquario. Io mi sono assunto il compito della manutenzione, fra un controllo dell'acquarista e l'altro. Così sottratti al loro ambiente di origine, i pesci tropicali che vi sono rinchiusi sono delicati e hanno bisogno di molte cure. Ho sempre avuto passione per l'elemento liquido primigenio e i suoi abitanti, fin da quando da giovane mi immergevo per ammirarli nel loro habitat naturale. Se non altro, il loro stile di vita è meno ipocrita rispetto a tante creature che popolano la terra e respirano l'aria, comprese quelle dotate di intelletto.

Per quanto verosimile e confortevole possa essere, nello spazio artificiale di un acquario essi invece si aggirano nuotando per lo più senza senso, ovvero per lo strabico piacere di occhi estranei che ogni tanto li osservano attraverso le pareti di cristallo. Se si dimentica di coprire il recipiente, può capitare che ne saltino fuori finendo a dibattersi boccheggiando sul pavimento, quasi ingannati dal sogno di tornare a una dimensione senza limiti. Avete mai provato a immaginare di invertire le posizioni? Cioè di scrutare il mondo dall'interno di un acquario domestico? Forse, è lo spunto di riflessione più utile che si può trarre dalla contemplazione di un simile oggetto amatoriale.

Per la maggior parte i pesciolini sono vivaci, irrequieti e colorati. Muovendosi in gruppo, somigliano alle stelle di una costellazione le quali cambino di continuo disposizione. A volte, sembra che ti fissino con attenzione e curiosità. Probabilmente, si tratta di un misto di diffidenza e sdegnosa indifferenza. Ce ne sono però di assai rari e timidi, che in genere rifuggono l'illuminazione intensa e si nascondono tra i sassi levigati sul fondo o all'ombra delle piante acquatiche. Hanno un nome singolare, che allude a una caratteristica ancora più strana.

Li chiamano "pesci di vetro". Queste meraviglie della natura posseggono un corpo trasparente, che lascia filtrare la luce e all'interno del quale si possono addirittura scorgere la lisca e i visceri in miniatura. Nei momenti in cui si degnano di mostrarsi allo scoperto, ne approfitto per trattenermi a guardarli incantato. Per compatibile analogia, essi richiamano alla mia mente la condizione della vecchiaia, quando il cemento della memoria che tiene insieme il nostro io perde aderenza. Allora, sarebbe saggio sforzarsi di raggiungere l'unico scopo che si può attribuire a una fase della vita altrimenti incresciosa. Lasciare, finalmente, che il mondo traspaia dentro e attraverso di sé in tutta la sua sfolgorante immediatezza.

L'altro giorno, la mia pazienza è stata premiata da un piccolo evento eccezionale. Appena ho immerso un pugno dall'alto nell'acquario, tra il fuggi fuggi dei suoi variopinti inquilini, un pesce di vetro si è mosso con agilità dal suo nascondiglio ed ha raggiunto la mia mano per carpirne il cibo che vi era contenuto con le minuscole labbra a ventosa. Subito dopo, con pari rapidità è tornato là da dove era sbucato. In quell'istante, ho messo meglio a fuoco un particolare che avevo studiato a suo tempo distrattamente sui libri scolastici di biologia. Quell'intraprendente animaletto deve essere abbastanza simile a qualche nostro remoto antenato, nel corso dell'evoluzione naturale. Infatti, suppongo che si cominci così. E poi, lo diceva già mio nonno, non si sa più in che mondo si vada a parare.

Un po' per scongiuro, ho aggiunto un tocco personale all'arredo dell'acquario. Una statuetta del Budda, accovacciato a gambe incrociate in un angolo riposto sulla ghiaia che copre il fondo. Qualunque cosa accada all'interno e all'esterno della sua o della nostra trappola di cristallo, se pure accade, il Risvegliato si ostina a sorridere come chi dà a vedere di saperla lunga. Con una mano tocca il suolo, quasi a citare la terra a testimone della sua pietà nei nostri confronti. Con l'altra levata verso il cielo egli benedice, non senza una vaga aria di presa in giro. Va da sé che i pesci di vetro, più svegli e meno vanitosi degli altri, lo adorano…

 

Il Folle

 

"E' il tuo turno. Devi scegliere una carta", insiste Karen interrompendo il flusso delle mie divagazioni, mentre depone la sua carta sul tavolo e riprende a mescolare il mazzo. Allora mi rendo conto di essere attorniato dal gruppo dei più anziani della piccola e ben organizzata comunità. Tutti sono incredibilmente seri e hanno l'aria di assistere a un rituale misterioso. Quello che più mi sconcerta è l'Arcano piazzato al centro, intorno al quale si vanno disponendo le carte estratte dai presenti. Non vi si legge nessun nome. Anche senza l'aiuto delle lenti da vista, vi distinguo però chiaramente il disegno di uno scheletro munito di lunga falce che miete teste umane. Di fronte alla mia perplessità, la voce di chi detiene il mazzo si fa materna ma ferma: "L'hai dimenticato? E' una delle regole che hai sottoscritto per essere ammesso tra noi. Non rispettarle equivale a rinunciare a vivere nella comunità. Ogni anno nello stesso giorno partecipiamo a questo gioco. Chi perde non subisce una sorte peggiore di tanti altri. Anzi..."

Ciò che mi convince a estrarre la mia carta è un rimorso riposto nel mio animo. L'aver abbandonato Karen a suo tempo con una pretesto, che neppure ricordo. Mi pare ora perverso ma logico: lei vuole prendersi una rivincita, magari umiliandomi pubblicamente. Sono stato un ingenuo fin dall'inizio, a cadere in questa trappola. E sono anche sfortunato, dal momento che l'Arcano che estraggo è il Folle, la carta senza numero. Va da sé che l'accoppiamento con la carta senza nome conclude la partita, con intuibile sollievo degli altri giocatori. Se ne riparlerà il prossimo anno, in mia assenza. O sbaglio?

Come capita sovente ai vecchi, le mie apprensioni si sono rivelate esagerate. La curiosa penitenza prevista per il perdente sembra innocua e francamente abbastanza puerile. Non è che un viaggio immersivo nella Realtà Virtuale. Alla mia età, tutt'al più mi costerà qualche disagio. Ma nemmeno tanto. Ai nostri tempi, diciamo all'incirca nel Duemila, io e Karen eravamo appassionati di videogiochi tridimensionali. E' un altro particolare significativo, che solo adesso mi torna in mente. Altrimenti, avrei potuto anche aspettarmelo.

Rassegnato, lascio che mi si rivesta dell'occorrente: casco con occhiali visori, tuta e guanti sensoriali, joystick da impugnare per dirigersi durante la navigazione, salvo percorsi obbligati dal programma. Un armamentario datato, ma perfettamente funzionante. Infine sono pronto al tuffo nel ciberspazio. Sorprendentemente, il paesaggio che all'improvviso mi avvolge è pressoché identico a quello in cui mi trovavo in precedenza. Appena un po' più schematico, e caratterizzato da un immancabile "effetto-acquario": una lieve fluttuazione e rallentamento delle immagini in movimento, che conferisce al tutto una nota surreale. Come in un sogno. O, casomai, un incubo.

L'Ultima Thule, la terra dove migrano i cigni selvatici o la Dimora del Drago, come pure favoleggiavano gli antichi, è sempre lì oltre il braccio di mare di Oresund. Solo che, per raggiungerla, non è necessario usufruire di un moderno traghetto. Una svelta barca a vela, di quelle che si usano per diporto durante la bella stagione, si culla ormeggiata in fondo al molo davanti a me. L'invito a salirvi e compiere la traversata è tacito ma esclusivo. Una brezza abilmente simulata, soffiando nella finta vela, farà il resto sospingendomi dolcemente a destinazione. Una volta sbarcato sulla sponda opposta, anche qui i luoghi mi risultano familiari per averli frequentati spesso in compagnia di Karen.

Insolitamente deserti e silenziosi, sono i vicoli e le piazzette, le scale e i caratteristici edifici del centro storico di Helsingborg. Tuttavia, soltanto una strada è praticabile manovrando con il joystick in dotazione. E' quella che si arrampica su verso la collina e la torre medievale, la quale sovrasta la città oggi svedese, un tempo fortificata e a lungo contesa. Simile alla Torre raffigurata nel sedicesimo Arcano del gioco dei Tarocchi (anche detto, chissà perché, Casa di Dio), essa si erge ad ammonire circa le rovine di un passato da cui è emersa muta superstite. Senza ombra di dubbio, è la mia vera meta. E state pur certi che la scoperta non mi rassicura affatto.

 

La Sacerdotessa

 

Non senza trasalire, la riconosco. La guardiana della torre è Karen da giovane. O, piuttosto, il suo doppio illusorio e inconsistente. Il suo Avatar, come lo chiamano gli esperti e i patiti della Realtà Virtuale, sulla scia degli antichi indiani che con il termine designavano invece le incarnazioni delle loro capricciose divinità. La bionda danese occhi azzurri ha i capelli sciolti e indossa una lunga veste candida. Sorride e mi porge uno specchio portatile, perché ci guardi dentro. Niente male. Da bianchi i miei capelli sono tornati neri, la pelle del viso senza una ruga, lo sguardo di nuovo vivido anche se fisso e poco espressivo. Il modello deve essere stato una vecchia foto dimenticata in un cassetto di Karen, anni addietro. E' proprio il mio Avatar, così come lei lo ha ricostruito o è scaturito dalla sua memoria, ed ora lo vede in azione davanti a sé. Ma quali seducenti atti potrebbe mai compiere questo ridicolo burattino informatico?

In silenzio, la mia guida mi conduce su lungo la scala circolare della torre, fino alla terrazza sulla sua sommità. In basso, da un lato, la vista consueta. La città, il mare, la costa vicina della Danimarca. Dall'altro, il parco verde circonda la torre e si estende a perdita d'occhio alle sue spalle. Ma qui c'è una novità, che si può distinguere sin da quassù. Una folla di Avatar, intuibilmente giovani e belli come noi, lo percorre passeggiando in coppie o in gruppi. In questo sito presumibilmente telematico, io e Karen non siamo quindi soli. Forse, non si sa mai, siamo collegati ad altri siti analoghi e tutti questi Avatar a me sconosciuti sono confluiti a trascorrere un distensivo fine-settimana!

In effetti, ne ho letto da qualche parte e ne ho sentito spesso parlare. Però, sinceramente non credevo che esistessero siti sperimentali del genere. Né tantomeno ho ottenuto uno username o una password riservata, che mi permettessero di penetrare nel loro fitto segreto, per verificare di persona la fondatezza di certe dicerìe. Improvvisamente, un dubbio allarmante mi balena nel cervello: "Ma, quelli, che cosa o chi diavolo sono: dei semplici Avatar? Non saranno, per caso, una sorta inaudita di tecnologici Zombie?"

Quasi mi abbia letto nel pensiero, e a questo punto non è da escludere, Karen finalmente parla. Percepisco chiaramente la sua voce suadente, attraverso gli auricolari del casco: "Chiamali come vuoi. In realtà sono persone nella nostra condizione, che hanno rinunciato alla loro precaria esistenza corporea, prima che fosse troppo tardi. Anche il software della tua personalità è stato interamente e fedelmente registrato, pronto ad essere connesso al tuo Avatar. Da amministratrice e responsabile del sito, io sono autorizzata a detenerne la password di accesso e conosco il tuo username. Ma sei tu a dover scegliere se affrontare o no questo passo. Del resto, puoi indovinarlo, parecchi lo considererebbero un privilegio. E, bada bene, non è detto che si presenterebbe una seconda occasione..."

 

Gli Amanti

 

"Che tipo di attività o, meglio, di passatempo si può svolgere in questo luogo diciamo di eterno riposo?", interrompo io il discorso, non appena ripreso dalla sorpresa e dallo sgomento. L'Avatar di Karen seguita stucchevolmente a sorridere: "Ad esempio, sesso virtuale. Comprensibilmente, nei pochi momenti in cui non si fanno i turni di disattivazione off-line per non sprecare energia."

"Vai a farti fottere da qualcun altro", inveisco tra me e me, con una punta di crescente irritazione. Già ci figuro incastrati nel ciberspazio, in graduatoria per qualche sporadica micragnosa risurrezione. Un po' come pesci di vetro o, peggio, quegli insetti che traspaiono nei grani pregiati di ambra, rimasti invischiati nella resina in un passato immemorabile. La reazione di lei non si lascia attendere. Il tono è comprensivo e controllato, sebbene questa volta, devo ammetterlo, più verosimile: "Lo so che è difficile da accettare. Non hai dunque capito che ti ho attirato fin qui, nella speranza di poter decidere insieme? Da sola, io stessa non so se ce la farei. La maggior parte delle persone che vedi si sono fatte coraggio a vicenda e tuttora si tengono compagnia."

"Sarà pur vero. Ciò non toglie che la stragrande maggioranza, in quel porco mondo che ci siamo lasciati dietro, insiste nel crepare del tutto e per di più inconsapevole di un'alternativa. Allora, non si può proprio fare come loro e si è sempre fatto, cioè secondo madre natura?"

"Ti sbagli, tutti si fanno delle illusioni. Nessuno può vivere e morire senza almeno una inconfessabile illusione."

Pronunciando le ultime parole, Karen sventaglia con una mano un mazzo di carte colorate. Sono i ventidue Arcani Maggiori del gioco dei Tarocchi. E il primo in mostra di essi è la macabra carta senza nome. Un volo artificiale di cigni selvatici taglia il cielo renderizzato sopra le nostre teste, con tanto di ali spiegate, diretti verso l'interno dell'Ultima Thule. Intanto ogni traccia di sorriso, di labbra e di bocca, è sparita dalla maschera del bel viso di Karen. Scherzi non infrequenti della grafica a tre dimensioni, per quanto perfezionata, che la fanno somigliare a un amletico fantasma di Ofelia. Ma la voce di lei continua a udirsi, benché tremula e ovattata.

"D'accordo. Mi hai persuasa. A patto però che sia adesso, qui e insieme. D'altronde, sono sicura che non ce la farei nemmeno a tornare laggiù, in mezzo a quell'acquario senz'acqua che è il mio ospizio autogestito per anziani."

"Che cosa intendi, precisamente?"

"Io conosco il sistema per farla finita sul serio. Basta lanciarsi giù dalla torre. Ogni contatto con il mondo, sia virtuale sia reale, verrebbe ad essere subito troncato. Sai, è stato studiato per i casi estremi, di particolare emergenza."

"Vuoi dire che è stato programmato, per eliminare qualcuno che possa mettere in pericolo la sussistenza della comunità virtuale."

"Sì, temo che le cose stiano in questi termini."

Eccoci così in bilico, l'uno a fianco dell'altra, sull'orlo del baratro digitale. Rischiosamente romantico e maledettamente imbarazzante. Non ho mai posseduto la stoffa dell'eroe, ho spesso sofferto di vertigini e tocca riconoscere che questa non è una posizione ideale neppure nella Realtà Virtuale. Per giunta, io sono di indole inguaribilmente sospettosa. Qualcosa mi dice che Karen sta bluffando o, a suo modo, tenta ancora una volta di fregarmi, a costo di fregare se stessa. Lentamente, mi giro verso di lei e mi sforzo di sfoderare il sorriso più ebete che possa immaginarsi in questo surrogato fasullo dell'esistenza. Il che non deve essere poi un'impresa.

"Se non ho frainteso, poco fa hai parlato di sesso virtuale. Be', in fin dei conti ritengo non sarebbe un'esperienza sconveniente sia pure alla nostra età. Specialmente, prima di prendere una decisione talmente grave e avventata. Tu che ne dici?"

"A tanti anni di distanza, penso che non sei affatto cambiato. Sei il solito stronzo."

Mentre scendiamo con cautela all'indietro e in punta di piedi dal basso parapetto merlato, non posso risparmiarmi un'ultima banale riflessione. Sono contento che anche Karen, oltre all'aspetto giovanile, abbia recuperato il suo antico umore e il mordente indispensabile per sopravvivere purché sia. Miracoli della Realtà Virtuale immersiva? Per quanto mi riguarda, decisamente meglio sentirsi un po' stronzi ma, finché possibile, ancora in vita. "Ça c'est la vie" recitano i francesi, i quali magari non avranno inventato loro il fantasioso gioco dei Tarocchi né tante altre cose inutili e insostituibili. Ciononostante, in materia di arte del saper vivere conviene lasciarli fare. Sono degli autentici maghi o, se preferite, dei draghi!

 

L'Eremita

 

Prima di riversarci definitivamente nella Realtà Virtuale - spero ancora che Karen ci ripensi, ma temo sia impossibile - lei mi ha pregato di accompagnarla un'ultima volta a Helsingborg, per assistere a una funzione nella chiesa principale. Non molto grande, è una delle più antiche della Svezia e sorge circa a metà strada fra il porto e la torre del parco. Scrupoli religiosi della mia attempata compagna? Può darsi. Sono incline piuttosto a ritenerlo una specie di pellegrinaggio nei luoghi dell'infanzia. E questo deve esserle particolarmente caro, causa l'atmosfera di raccolta spiritualità che vi si respira.

Mattoni veri, scuriti dal tempo. Fedeli in carne ed ossa, di ambo i sessi ed ogni età, seduti su due file di panche in legno allineate di fronte all'altare. Ampie finestre laterali, slanciate a catturare la luce preziosa del giorno e proiettarla all'interno delle tre navate, abbastanza severe e spoglie nella migliore tradizione protestante. Tra le navate minori e quella mediana, due sequenze di pilastri sostengono degli archi. Unico ornamento di rilievo, dal centro di ognuno di essi pende in alto un modellino di vecchia nave, curato nei particolari. E ogni modello è diverso dall'altro, a testimoniare che qui si sono succedute generazioni di marinai e pescatori eredi di un popolo di navigatori.

Nel bel mezzo della celebrazione uno stuolo di ragazze, con lunghe vesti candide, irrompe sui due lati da dietro l'altare nello spazio riservato al pubblico. Le questuanti procedono svelte e leggere, quasi a passo di danza, reggendo ciascuna fra le mani un cestino e mostrandolo ai presenti per le offerte.

"Sono vergini votate alla dea Gefion, anche se con ogni probabilità loro stesse non lo sanno", mi sussurra all'orecchio Karen. Da buon mediterraneo, il simbolismo a volte ambiguo dei miti nordici mi interessa fino a un dato punto. Però mi trattengo dal manifestarlo, per pura cortesia. Mentre il mio obolo tintinna in un cestino, più poeticamente e provocatoriamente mi limito a osservare sottovoce che a me sembrano pesci dai riflessi d'argento, i quali si aggirino in questo nostro mondo-acquario. Per quanto anch'essa si sia sforzata di farlo, la mia debole vista non è mai arrivata a penetrare al di là. A maggior ragione resto convinto nell'intimo che costruirci un al di là fittizio, esclusivo e su scala ridotta, non aiuti a semplificare le cose.

"Dimentichi che i pesci sono muti", obietta Karen, la quale al solito ci tiene ad avere per sé l'ultima battuta, "Tutt'al più esse somigliano alle leggendarie Ondine, le Sirene dei nostri mari."

Nel pronunciare le ultime parole, le sfugge un tono appena elevato di voce. Tanto basta perché quelli seduti davanti si voltino verso di noi, a fissarci con aria di riprovazione. Questo davvero non lo sopporto. E' che non mi diverte l'idea di fare la figura di una coppia di vecchi rimbambiti. Inoltre mi sta tornando in mente uno strano episodio, cui sul momento non avevo dato peso. Ultimamente un giardiniere italiano che lavora saltuario presso la casa di riposo mi ha preso in disparte per un braccio, bisbigliando: "Guardati dalle Vergini e dai Figli di Gefion! Sono una setta di esaltati, che gode però di finanziamenti occulti e appoggi influenti. Non so dirti di più, ma al posto tuo non mi fiderei troppo."

Effettivamente, le aggraziate svedesine sono tornate a disporsi in semicerchio dietro l'altare ed ecco che intonano un inno corale. Lo accompagna una musica d'organo soave e melodiosa. Ciò non toglie che, alle lunghe, il canto chiesastico può generare noia. Per sottrarmi alla sonnolenza, mi alzo con discrezione e vado a passeggiare nelle navate laterali semideserte. Esse si congiungono sul fondo dell'edificio sacro, girando alle spalle dell'altare centrale. Lì, sulla parete interna dell'abside, scopro nell'ombra i resti sbiaditi di un affresco medievale. Vi è raffigurata una navicella con dei monaci a bordo, sballottata dai flutti dell'oceano. Sotto, una scritta latina in caratteri gotici. Al lume tremulo dei ceri, riesco a decifrare il messaggio e rammento vagamente la storia.

Si tratta della navigazione dell'irlandese san Brendano, alla ricerca del Paradiso Terrestre. Dopo aver creduto di averlo trovato (alcuni pretendono che si sia spinto fino all'America ben prima di Cristoforo Colombo ma, nella sua lungimiranza, abbia preferito lasciarla com'era) l'asceta a malincuore tornò nella solitudine del suo eremo di partenza, a stendere il resoconto dell'avventura da cui ognuno potesse ricavare la propria morale. Ed è quanto io puntualmente ho fatto il mattino appresso, pur affascinato dagli antichi miti non meno che dall'odierno progresso tecnologico. Continuo altresì ad amare l'Ultima Thule e, beninteso, l'impagabile Karen. Solo che questa volta, è poco ma sicuro, la mia nordica Calipso non potrà mai perdonarmi.

 

Il Mondo

 

Al termine di questo come di altri racconti, può darsi che rimanga in sospeso un interrogativo inespresso dal vago sentore pirandelliano. Oggi come mai, un flusso ininterrotto di fiction avvolge da ogni lato le pareti trasparenti del nostro simbolico acquario. Attraverso i videogiochi, la televisione, il cinema e - in maniera certo più discreta - la cara vecchia carta stampata, essa simula al di là un mondo di possibilità e scelte in effetti negate nel chiuso del nostro innaturale spazio (se fossimo in un film, si potrebbe insinuare per scarsa applicazione o fantasia di chi dovrebbe sceneggiare le nostre storie). Allora, c'è bisogno di continuare a narrare?

Se solamente potesse o volesse rispondere, converrebbe girare il quesito al piccolo Budda conficcato in fondo al vero acquario della casa di riposo per anziani Holger Danske, fra pesci di vetro, ciottoli di fiume e piantine palustri. Lui forse sa. O quantomeno dà a intendere di sapere, con il perenne sorriso impresso sulle labbra laccate di rosso stinto, e i lunghi lobi delle orecchie stranamente pendenti. Non sono mai riuscito a capire perché venga spesso raffigurato con i lobi delle orecchie così sproporzionati e buffi. E' uno dei tanti piccoli e grandi segreti che l'Illuminato serba geloso per sé!

Prima di partire di soppiatto ho provveduto ad ogni buon conto a prelevare la statuetta dall'acquario, fra lo scompiglio dei suoi silenziosi occupanti provvisti di pinne e branchie, e a riporla in valigia. E' l'unico innocuo regalo-ricordo che ho tenuto di Karen. Non si sa mai. Se non rivelarmi i misteri dell'universo, sotto sotto spero che mi porti fortuna. Adesso se ne sta lì poggiato su un ripiano di uno scaffale, seduto sul suo sostegno in forma di fiore di loto. Nel buio notturno della stanza, il lieve chiarore della vernice fosforescente che lo riveste si confonde con quello irradiato dal monitor del computer. Nello schermo acceso, sullo sfondo scuro della pagina virtuale, nascono e scorrono luminescenti le stesse parole che ora leggete allineate in bell'ordine. Magari, ricomposte dopo essere state trasmesse attraverso i mille canali e le fitte maglie della rete telematica.

Ebbene, non sarà questo un modo aggiornato per dilatare lo spazio del nostro acquario e rimescolare le carte del nostro mazzo di Tarocchi? Ovvero per rimettere in circolo la linfa dell'immaginario collettivo e, anche, per concedergli qualche opportunità individuale in più di esprimersi. Riequilibrare natura e tecnica. Tale dovrebbe essere del resto, a monte, un assunto improrogabile per una cultura da terzo millennio.

Alle spalle dell'idolo di porcellana, è schierata una fila di volumi di narrativa. Fra questi, alcuni classici: dal Pancatantra attribuito all'indiano Visnukarma alle Mille e una notte della tradizione arabo-persiana, al Decameron del nostro Boccaccio. Secondo un congegno antico, in essi una storia fa da "cornice" alle varie narrazioni. In ogni storia-cornice, dei personaggi si improvvisano narratori di altre storie. Se vi capita di rammentarle o leggerle, fateci caso. Sia il loquace pappagallo il quale racconta le favole del Pancatantra, sia la bella e astuta Shahrazàd delle Mille e una notte, sia i giovani in fuga dalla peste che si intrattengono a vicenda con le novelle del Decameron, sono spinti da un motivo comune. Oltre a sfidare sovente gli arbìtri degli uomini, narrando allontanano da sé la morte, fino a conseguire su essa un trionfo benché precario.

Insomma, così facendo essi scongiurano l'estrazione del fatidico "Arcano senza nome" (di solito la carta è segnata col prevedibile e famigerato numero tredici, nella serie dei Tarocchi). Non occorre scomodare uno studioso come Jung, per dedurne che narrare può contribuire a riattivare la dinamica della vita e ad attualizzarne le ragioni, anche o proprio là dove le circostanze riflesse nella narrazione risultino avverse. A patto, tuttavia, che quest'ultima scaturisca e si rigeneri all'interno del nostro acquario. Infatti, solo in tal modo si può confidare in una pur esile garanzia che essa perpetui memoria e nostalgia dell'elemento originario senza limiti dei mari e dei fiumi, o delle lagune...

 

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* Con titolo Effetto acquario e firmata con un vecchio pseudonimo, una versione ridotta del racconto è uscita nel 1999 sulla rivista online !Kung n. 1, all’indirizzo Web http://www.fortunecity.com/westwood/susileib/148/kung/effetto.htm

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