Una Volta a Settimana non Ti Ucciderà  

(Story, Novembre-Dicembre, 1944)

 

 

Aveva una sigaretta in bocca mentre faceva le valigie, e la faccia distorta per evitare il fumo negli occhi; dunque non c’era modo di distinguere dalla sua espressione se fosse annoiato o in apprensione, infastidito o rassegnato. La giovane donna seduta sulla grande sedia da uomo, con l’aria di un’ospite, aveva un bel viso preso in una macchia di luce del primo sole mattutino; non le faceva male. Ma le sue braccia erano probabilmente il meglio di lei. Erano brune, e tonde e belle. “Amore,” disse, “Non vedo perchè non possa essere Billy a fare tutto questo. Voglio dire.”  “Cosa?” disse il ragazzo.  Aveva una voce spessa da fumatore a catena.  “Voglio dire, non vedo perchè non possa essere Billy a fare tutto questo.”  E’ troppo vecchio,” rispose lui. “Che ne dici di accendere la radio? Potrebbe esserci della musica adesso. Prova sui 1010.”  La ragazza si sporse all’indietro, allungando la mano con la fede nuziale e l’incredibile smeraldo sul dito a fianco; Aprì qualche sportello bianco, azionò qualcosa, accese qualcosa. Si risedette e attese, e subito, senza alcun pretesto sbadigliò.  Il ragazzo la guardò.  “Che momento orribile per cominciare, voglio dire.”  Disse. “Glielo dirò,” disse lui, esaminando un mucchietto di fazzoletti piegati. “Mia moglie dice che è un momento orribile per cominciare.” “Amore, mi mancherai terribilmente.” “Anche tu mi mancherai, io ho altri fazzoletti bianchi oltre a questi” “Voglio dire, lo sai mi mancherai. Fa tutto così schifo e tutto...”  “Bè, questo è quanto,” disse il ragazzo, chiudendo la valigia.  Accese una sigaretta, guardò il letto, ci si butto sopra. Proprio mentre si stava stirando, le valvole della radio si erano riscaldate e la Marcia di Sousa, eseguita da quella che sembrava un illimitata sessione di fiati, trionfò voluminosa nella stanza.

Sua moglie fiondò all’indietro una delle sue meravigliose braccia e vi pose fine. “Avrebbero potuto trasmettere qualcosa di diverso.” “Non di questi tempi folli.”  Il ragazzo soffiò verso il soffitto un fallace anello di fumo. “Non eri costretta ad alzarti,” le disse. “Volevo,” . Erano ormai tre anni e lei non aveva mai smesso di parlargli in corsivo.   “Prova sui 570,” disse lui. “Potrebbe esserci qualcosa lì.”  Sua moglie provò di nuovo, ed entrambi aspettarono, lui con gli occhi chiusi. Dopo un istante arrivò del ragionevole jazz. “Ma hai abbastanza tempo per startene sdraiato così? Voglio dire...”  “Per starmene sdraiato così, sì, è presto.” All’improvviso sua moglie sembrò colpita da una qualche pensiero piuttosto serio. “Spero che timettano nella Calvarieria. La Calvarieria è carina” disse “ Io impazzisco per quelle piccole spade incrociate che portano sui colletti della camicia. E tu ami cavalcare, quindi...”

“La Cavalleria,” disse il ragazzo, con gli occhi chiusi. “Non ci sono molte possibilità che questo succeda. Finiscono tutti in fanteria di questi tempi.”  “Orribile, amore, vorrei tanto che tu telefonassi a quell’uomo con quella roba sulla faccia. Il colonnello. Quello che era da Phil e Kenny la settimana scorsa. Nei servizi di Intelligence e tutto il resto. Cioè tu parli tedesco e francese... lui certamente ti procurerebbe almeno un incarico. Cioè, tu lo sai quanto sarà miserevole essere un soldato ecc... tu odi addirittura parlare con la gente e cose così.”  “Ti prego, smettila con questa cosa degli incarichi. Te ne ho parlato, conosci la questione.” “Be’, speriamo almeno che ti mandino a Londra. Voglio dire, dove c’è gente civilizzata, hai il numero di corrispondenza di Buppy?”  “Sì,” mentì lui.  Sua moglie stava di nuovo congetturando con aria grave. “Mi piacerebbe moltissimo del tessuto, del tweed, o qualcosa del genere.” Poi quasi istantaneamente sbadigliò e disse la cosa sbagliata: “Hai salutato tua zia?” Suo marito aprì gli occhi e si mise velocemente a sedere con uno slancio dei piedi sopra al pavimento  "Virginia.  Ascolta. Non ho avuto l’opportunità di finire la notte scorsa," disse.  " Io voglio che tu la porti a l cinema una volta a settimana."  "Al cinema?"      "Non ti ucciderà," disse lui.  "Una volta a settimana non ti ucciderà."      "No, naturalmente, Amore, ma--"    "Niente ma," disse.  "Una volta a settimana non ti ucciderà."   "Ma sì, ce la porterò pazzo che non sei altro. Solo intendevo--"      "Non è troppo che ti chiedo no? Lei non è più giovane, nè niente.”  "Ma, Amore, cioè lei sta peggiorando di nuovo, Cioè è talmente folle che non è nemmeno divertente, tu non stai in casa con lei tutto il giorno.” “Neanche tu ci stai.” “E inoltre non lascia mai la sua stanza a meno che qualcuno non la porti da qualche parte.” Lui si chinò su di lei, quasi sedendo sull’orlo del letto “Virginia, una volta alla settimana non ti ucciderà. Non sto scherzando.”  “Naturale, Amore. Se è quello che desideri, cioè...”  Il giovane uomo si alzò di scatto. “Vuoi dire al cuoco che sono pronto per colazione?” disse cominciando a dirigersi da qualche parte   "Diamoci prima un bacio da adolescenti,” disse lei “Vecchio ragazzo soldato”. Lui si piegò su di lei, baciò la sua bocca meravigliosa e lasciò la stanza.

Salì con un balzo i pochi scalini ricoperti da un pesante tappeto e atterrando si voltò sulla sinistra. Bussò due volte alla seconda porta sulla cui maniglia era appeso un formale cartellino del vecchio Waldorf Astoria di New York: “Prego, non disturbare.”  C’era una annotazione sbiadita su uno degli angoli del cartellino: “Sono al Liberty Bond, torno presto, incontra Tom per me nell’atrio alle sei. La sua spalla sinistra è più alta della destra efuma una piccola pipa. Con amore, Me.”

La nota era stata lasciata alla madre del ragazzo e lui l’aveva letta quando era un bambino e poi  centinaia di volte da allora. E l’aveva letta adesso, nel marzo del 1944. “Entra, entra!” disse una voce occupata. E il ragazzo entrò. Alla finestra, una bella donna sui cinquant’anni sedeva ad un tavolo da gioco pieghevole. Indossava un elegante veste beige e portava ai piedi un paio di scarpe da tennis estremamente logore. “Bene, Dickie Camson," disse.  "Come mai ci siamo svegliati così presto, pigrone?"      "Cose che capitano," disse lui sorridendo tranquillo.  La baciò su una guancia, e con una mano dietro la sua sedia esaminò con noncuranza il grosso libro rilegato in cuoio che stava aperto davanti a lei.  “Come sta venendo la collezione?” Chiese. “Un amore. Semplicemente un amore. Questo libro – che tu ragazzaccio non hai ancora visto- è nuovo di zecca. Billy e Cook mi terranno da parte i loro e tu potresti portarmi i tuoi”  “Francobolli americani annullati da due centesimi eh?” disse il ragazzo. “Bell’idea.” Si guardò attorno per la stanza. “Funziona bene  la radio?”  Era sintonizzata sulla stessa stazione che lui aveva impostato al piano di sotto. “Un amore. Ho fatto gli esercizi questa mattina.”

"Ora, zia Rena, ti ho già chiesto di smettere con quegli stupidi esercizi. Cioè ti farai del male. E questo non ha senso.” “Mi piacciono” disse sua zia con fermezza girando una pagina del suo album.  "Mi piace la musica che suonano, con quelle vecchie melodie. E di certo non mi sembrerebbe leale ascoltare la musica senza fare gli esercizi.” “Ma certo che è leale, ora dacci un taglio. Un po’ meno integrità," disse il nipote. Camminò per la stanza per un po’ quindi si sedette pesantemente sulla sedia alla finestra. Guardò fuori oltre il parco cercando attraverso gli alberi il modo di dirle che stava per partire.

Era probabilmente l’unica donna nel 1944 che non avesse la foto incorniciata di qualcuno da guradare. Ora lui stava per darle la sua. Un dono alla donna con le scarpe da ginnastica  bianche. La donna con la collezione di francobolli americani annullati da due centesimi. La donna che era la sorella si sua madre e che le aveva lasciato un biglietto sul margine di un cartellino “Non disturbare” del vecchio Waldorf. Glielo si doveva dire? Doveva avere questo stupido scintillante ninnolo da guardare? “Sembri proprio tua madre quando fai quella cosa con la tua fronte. Sì. Proprio come lei. Te la ricordi almeno un po’ Richard?”

“Sì.” Si prese il suo tempo. “Non camminava mai. Correva sempre e si fermava poco in una stanza. E fischiava attraverso i denti ogni volta che tirava le tende nella mia camera, la stessa melodia il più delle volte. Me la sono portata dietro per anni da bambino, ma poi la dimenticai crescendo. Poi una volta al college -avevo un compagno di stanza di Memphis- e lui stava suonando dei vecchi dischi un pomeriggio, Bessie Smith e i Tea Gardeners ed una delle canzoni quasi mi lasciò secco. Era quella che la mamma fischiettava attraverso i denti, proprio lei. Si chiamava 'I Can't Behave on Sundays 'Cause I'm Bad Seven Days a Week.'  Un ragazzo di nome Altrievi ci inciampò sopra mentre era ubriaco alla fine del semestre e non l’ho mai più sentita da allora.” Si fermò. “Questo è tutto ciò che ricordo. Solo robe idiote.” “Ti ricordi che aspetto aveva?” “No.” “Era un bel tipo.” Sua zia posò il mento in un palmo delle sue mani eleganti e sottili. “Tuo padre non riusciva a star seduto tranquillo come un essere umano se tua madre lo lasciava in una stanza. Annuiva come un idiota a chiunque gli parlasse, tenendo quei suoi piccoli peculiari occhi fissi sulla porta dalla quale lei era uscita. Era uno strano piccolo uomo piuttosto scortese. Non faceva mai niente con il minimo interesse tranne fare soldi e guardare tua madre. E portare tua madre a vela su quella strana barca che aveva comprato. Lui allora portava un piccolo buffo cappello da marinaio inglese. Diceva che era stato di suo padre. Tua madre glielo nascondeva ogni volta che dovevano andare a vela.” “Fu tutto quello che trovarono, vero?” Chiese il ragazzo. “Quel cappello.” Ma gli occhi di sua zia erano caduti sulla pagina dell’album. “Oh, ecco una bellezza,” disse lei e portò uno dei francobolli alla luce del sole. “Qui Washington ha una faccia forte, col naso camuso.” Il ragazzo si alzò dalla sedia alla finestra. “Virginia ha detto al cuoco di preparare la colazione. Sarebbe meglio che io andassi di sotto,” disse. Ma invece di andarsene camminò fino al tavolo da gioco di sua zia. “Zia Rena,” disse. “Dammi la tua attenzione un minuto.”  Il viso intelligente di sua zia si voltò verso di lui.  “Zia-ah- c’è una guerra-ah- cioè l’hai vista sui cinegiornali no? Voglio dire, lo hai sentito alla radio e tutto il resto no? Vero?” “Certamente” grugnì lei. “Bè, io sto andando. Devo. Parto questa mattina.” “Sapevo che avresti dovuto,” disse sua zia, senza panico, senza alcun riferimento amaro o sentimentale all’Ultima.

Lui pensò che fosse splendida. La donna mentalmente più sana del mondo. Il ragazzo si alzò e appoggiò la piccola foto incorniciata casualmente sul tavolo - il solo modo di farlo.

 

"Virginia verrà a trovarti spesso," le disse.  "E ti porterà spesso al cinema. C’è un vecchio film di W. C. Fields al Sutton la prossima settimana.  Ti piace Fields."     Sua Zia si alzò e si spostò agilmente alle sue spalle. "Ho una lettera di presentazione per te," annunciò.  "Ad un mio amico."  Era allo scrittoio adesso, aprì il cassetto più in alto sulla sinistra e ne estrasse una busta bianca, quindi tornò al tavolo con gli album di francobolli e con casualità passò la busta al nipote.  Non l’ho sigillata, e puoi leggerla se lo vuoi."     Il ragazzo quardò la busta che aveva in mano. Era indirizzata nella grafia piuttosto decisa di sua zia ad un tenente di nome Thomas E. Cleve, Jr. “E’ un ragazzo magnifico,” disse sua zia. “Ora sta con il sessantanovesimo. Si prenderà cura di te, non sono per niente preoccupata.” Aggiunse quindi con eccitazione “Sapevo già due anni fa che questo sarebbe successo ed immediatamente pensai a Tommy." Si girò, questa volta con una certa vaghezza e camminò meno rapidamente allo scrittoio.  Ancora aprì un cassetto. Tirò fuori una grande fotografia incorniciata di un ragazzo in un’uniforme del 1917, con il colletto alto da tenente in seconda. Tornò con una certa indecisione verso il nipote tenendo la fotografia così che lui potesse vederla. “Questa è la sua foto,” lo informò. “Questo è lui, Tom Cleve.”

"Devo andare ora, zia," disse il ragazzo.  "Addio.  Non avrai bisogno di nulla.  Voglio dire, non ti mancherà nulla.  Ti scriverò."  "Addio mio caro, mio caro, caro ragazzo" disse sua zia, baciandolo.  "Tu ora trova Tom Cleve.  Lui si prenderà cura di te, finchè non ti sarai sistemato e tutto."      "Sì.  Addio."     Sua zia disse assente, "Addio mio caro ragazzo."      "Addio."  Lui lasciò la stanza e quasi inciampò per le scale. Arrivato in fondo prese la busta, la strappò in due metà, quindi quarti, poi ottavi. Non sembrava avere idea di che fare con i  pezzi, così se li ficcò in una tasca dei pantaloni.      "Amore. E’ tutto freddo. Le tue uova e tutto."      "Potrai portarla al cinema una volta alla settimana," disse.  "Non ti ucciderà."      "Chi ha detto il contrario? Ho mai detto il contrario?"     "No."  e si avviò verso la sala da pranzo.


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