Elaine

 (Story, Marzo-Aprile, 1945)

 

 

In uno squisito sabato pomeriggio di giugno, un assistente orologiaio di nome Dennis Cooney distrasse temporaneamente il pubblico di un circo delle pulci al coperto fra la quarantatreesima e Broadway cadendo morto stecchito. Gli sopravvissero la moglie, Evelyn Cooney, e la figlia Elaine di sei anni, la quale aveva vinto due concorsi di bellezza per bambini; il primo all’età di tre anni, il secondo all’età di cinque anni, venendo sconfitta solo aveva quattro anni da una certa signorina Zelda “Bunny” Krakauer, di Staten Island.  Cooney lasciò a sua moglie una piccola assicurazione, sufficiente perchè lei potesse importare la madre vedova, tale signora Hoover da Grand Rapids nel Michigan, dove l’anziana donna si era mantenuta lavorando come cassiera in un bar. Il denaro era sufficiente perchè le tre vivessero in relativa comodità nel Bronx.

Il padrone dell’appartamento dove la signora Cooney viveva con madre e figlia era il signor Freedlander. Qualche anno prima, Freedlander era stato sovraintendente della casa dove alla fine “presero” Bloomy Bloomberg. Freedlander informò la signora Cooney che Bloomy non lo chiamava mai altri che Mort, mentre lui lo chiamava solo e semplicemente Bloomy.

 “Ricordo di aver letto tutto di quella storia” fece presente la signora Cooney con entusiasmo. “Cioè, ricordo di aver letto tutto di quella storia.”

Freedlander annuì con approvazione. “Già, quello sì che fu un caso”

Si guardò attorno nella sala da pranzo della sua inquilina. “Dov’è la signora Boyle?” Chiese. “Non l’ho vista in giro ultimamente.”

“Chi?”

“La signora – Sua madre.”

“Oh, la signora Hoover. Il nome di mia madre è Hoover. Dovrei saperlo, era il mio nome un tempo!”

La signora Cooney rise smodatamente

Freedlander rise con lei. “Come l’ho chiamata?” Chiese. “Boyle, vero? Avevamo una signora Boyle in quest’appartamento. E’ per quello. Hoover, si chiama. Hoover, già.”

 “E’ fuori” disse la signora Cooney.

“Oh,” Disse Freedlander.

“Davvero brutto, voglio dire, se ne sta fuori per ore ed ore. continuo a pensare a lei che viene investita da un furgone o chissà cosa, alla sua età

“Già” Commentò Freedlander con simpatia. “Sigaretta?”

 

All’età di sette anni, la piccola Elaine fu mandata alla Scuola Pubblica 332 nel Bronx, dove fu esaminata secondo i più nuovi e scientifici dei criteri, quindi conseguentemente piazzata nella classe 1-A-4, la quale includeva un gruppo di quarantaquattro allievi cui ci si riferiva generalmente come bimbi ‘lenti’.

Ogni giorno la signora Cooney o sua madre, la signora Hoover, portavano e riprendevano da scuola la bambina. Di solito, era la signora Hoover che faceva  la consegna di mattino, mentre la signora Cooney andava a ritirare sua figlia nel pomeriggio. La signora Cooney andava al cinema almeno quattro volte a settimana, spesso all’ultimo spettacolo, nel qual caso dormiva fino a tardi al mattino. A volte, a causa di impreviste emergenze, la signora Cooney non poteva andare a prendere sua figlia. In tale non rara circostanza, la bambina era obbligata ad aspettare fino ad un’ora al secondo degli ingressi con la scritta Ragazze, finchè sua nonna non appariva trotterellando irritabilmente. Sulla via di casa, la conversazione fra Elaine e sua nonna  non raggiungeva mai un grado eccezionalmente alto di complicità fra generazioni.

“Non perdere di nuovo il tuo cestino del pranzo”

“Cosa nonna?”

“Non perdere di nuovo il tuo cestino del pranzo”

“Ce l’ho il burro di noccioline?”

“Ce l’hai cosa?”

“Il burro di noccioline”

“Non lo so, il pranzo te l’ha preparato tua madre.”

Era sempre una conversazione varicosa e senz’amore, come le gambe della signora Hoover. Alla bimba non sembrava importare. Pareva essere una bambina felice. Sorrideva un sacco. Rideva costantemente di cose che non erano buffe. Nè sembrava fare troppa attenzione alle tinte biliari o ai vestitini privi di gusto in cui sua madre la vestiva. Davvero non sembrava vivere nel mondo di un bambino infelice. Ma durante la quarta elementare, la signorina Elmendorf, una raffinata e alta ragazza con brutte gambe e caviglie, parlò alla preside.

“Signorina Callahan? Mi chiedevo se può dedicarmi un minuto”

“Certo che sì!” disse la Callahan. “Entra pure, cara!”

La giovane signorina Elmendorf chiuse la porta dietro di sè. “Quella ragazzina Cooney di cui le dicevo,”

“Cooney. Cooney. Sì!  Quella bambina molto carina,” disse la Callahan,  con entusiasmo. “Siediti, cara.”

“Grazie… Io credo che dovremmo arretrarla di una classe, Signorina Callahan. Il lavoro è troppo difficile per lei. Non conosce l’ortografia, non sa l’aritmetica, sentirla leggere è autenticamente doloroso.

“Bene!”  Disse la signorina Callahan. “Ding, dong!”

“E’ una bimba davvero dolce” Disse la signorina Elmendorf. “E certamente la cosa più squisita che io abbia mai visto in vita mia. Somiglia a Raperonzola.”

“Chi?” Chiese tagliente la Callahan.

“Raperonzola,” disse la Elmendorf.  “Raperonzola, Raperonzola, sciogli I tuoi   capelli d’oro. Ricorda il principe della fiaba che scalò la torre grazie ai capelli di Raperonzola? “Oh, sì,” Disse la signorina Callahan brevemente, quindi raccolse una matita con le sue sottili dita asessuate. La Elmendorf era già dispiaciuta di aver tirato fuori quella bizzarra storia di Raperonzola. “Io penso che per lei sarebbe meno difficile se noi la portassimo indietro di una classe.”

“E sia, allora! Indietro di una classe se ne va, se ne va, se ne va!” Canticchiò la Signorina Callahan alzandosi come un uomo.

La signorina Callahan aveva parlato, ma la Elmendorf, cenando da sola da Bickford quella sera, decise che proprio non poteva retrocedere quella bambina, quella Raperonzola, ad una classe inferiore senza nemmeno una parola o niente.

La signorina Elmendorf voleva essere assolutamente certa prima di eseguire alcuna retrocessione. Così trattenne Elaine il pomeriggio seguente sperando di essere smentita.

“Elaine, cara,” le disse, “Sto per riportarti alla classe 4-A-4 domani, invece che alla tua classe di ora. La proviamo per un po’.  Non credo che il lavoro sarà molto difficile lì. Capito cara? Stai tranquilla.”

“Io sono nella 4-B-4,”disse Elaine. Di che stava parlando Miss Ellumdorf?

“Sì cara; lo so. Ma andremo alla 4-A-4 per un po’. Avremo basi migliori così, per quando comincerà la nuova 4-B-4 che sarà molto più semplice per noi.

“Io sono nella 4-B-4,”disse Elaine.“Io sono nella 4-B-4.”

La bambina è stupida, pensò la signorina Elmendorf. E’ stupida. Non è intelligente. Indossa il più orrendo piccolo vestito verde che io abbia mai visto e non c’è assolutamente nulla da fare, assolutamente nulla. Eppure lei è la Raperonzola della mia classe. E’ la bellezza. Questa è la più gloriosa Bimba dalle caviglie sottili, capelli d’oro, labbra rosse, nasino incantevole e dalla più bella pelle che abbia mai visto in vita mia.

“La proveremo appena per un po’, ok Elaine?” Disse la signorina Elmendorf senza speranza. “Giusto per vedere se ci piace ok? Stai tranquilla cara”.

“Sì, signorina Ellumdorf,” cantò nasalmente la bambina.

Elaine impiegò nove anni e mezzo a prendere la licenza media. Era entrata alla scuola di grammatica a sette anni e finì che ne aveva sedici. Alla cerimonia di consegna portava il rossetto, come solo una delle altre bambine: una ragazza italiana di nome Theresa Torrini, di diciott’anni, già madre di un figlio illegittimo avuto da un tassista di nome Hugo Munster. Alla cerimonia Phyllis Jackson, di anni dodici, consegnò the Valedictory; Mildred Horgand, dodici anni anche lei, suonò “Elegie” e “Somebody Else Is Taking My Place” al violino Lindsay Feurstein, appena tredicenne, recitò “Gunga Din” e “I Wandered Lonely As a Cloud” ; Thelma Ackerman, tredici anni e mezzo, si esibì in un’intricatissimo tip-tap e diede le sue impressioni su Eddie Cantor and Red Skelton.

 

E c'erano altri i cui nomi comparivano a grossi caratteri nei programmi mimografati: Selezioni al Piano - Babs Wasserman; Richiami di Uccelli - Dolores Strovak; Cosa significa America per me - Saggio Originale di Mary Frances Leland. Nessuno del gruppo di cui sopra aveva più di tredici anni e Dolores Strovak, che conosceva e sapeva e riprodurre i versi di trentasei diversi uccelli, ne aveva solo undici.

Questi sforzi individuali erano seguiti da una recita, intitolata Il Sangue della Democrazia che includeva nel cast l'intera classe licenzianda.

Elaine Cooney interpretava la Statua della Libertà, l'unico ruolo muto della recita. Le si richiedeva unicamente di stare in piedi col braccio alzato per quasi cinquanta minuti, tenendo in mano una torcia di piombo pieno e bronzo concepita e lavorata dal fratello di Marjorie Briganza, Felix. Elaine non fece mai cadere la pesante cosa. Non si rilassò mai sotto il peso del piombo pieno ne sotto la ancor più pesante responsabilità. Nulla sembrava gravare troppo su Elaine. Non si grattò mai furtivamente la testa adornata con un cartone leggero e stretto. Non sembrava nemmeno prudere.

Due volte durante la recita Il Sangue della Democrazia, iI piede sinistro di Elaine, incredibilmente piccolo per una ragazza della sua altezza venne calpestato con tutta la spietatezza di un incidente sia da Estelle Lipschutz che da Marjorie Briganza. Elaine non indietreggiò affatto, perse solo temporaneamente un po' di colore.

Dopo le esibizioni alla cerimonia Elaine andò con sua madre, sua nonna e il signor Freedlander (il padrone di casa) a vedere un film che sua madre aveva desiderato particolarmente vedere per tutta la settimana, al cinema del quartiere. Elaine sembrava trovare l'occasione intollerabilmente festiva il film con quattro stelle eccezionalmente totalizzante, gioioso. Il cartone animato di Mickey Mouse la fece ridere così forte che i suoi grandi occhi quasi viola si bagnarono di lacrime estatiche, e la signora Hoover dovette schiaffeggiarla e darle dei colpetti sulla sua incantevole schiena per scuoterla dall'isteria, ricordandole irritabilmente che era solo un film, e che non aveva senso gridare in quel modo. Durante l'intera proiezione, il signor Freedlander tenne premuta la sua gamba contro quella di Elaine. Lei non fece alcun tentativo di scostare la sua gamba da quella di lui.  Era semplicemente inconsapevole di quella forzosa intimità. Aveva sedici anni ed era fisicamente abbastanza matura da gradire o non gradire la pressione della gamba di un uomo al buio, ma era assolutamente impreparata a conciliare il sesso e Mickey Mouse allo stesso tempo. C'era spazio per Topolino, niente più.

 

Elaine passò l’estate successiva alla sua licenza media perlopiù andando al cinema con sua madre ed ascoltando gli sceneggiati radiofonici del pomeriggio con un piccolo apparecchio dai toni lievemente fallaci nel soggiorno di casa. Non aveva amiche della sua età, e non conosceva ragazzi. I ragazzi le fischiavano, le scrivevano biglietti puliti o sporchi, i ragazzi le dicevano “Hey bellezza” nei corridoi, negli empori, agli angoli delle strade; ma lei non usciva mai con nessuno di loro. Se le chiedevano di uscire per una passeggiata; o per un film, lei rispondeva che non poteva, che sua madre non l’avrebbe lasciata andare. Questo non era vero. La questione non era mai neppure saltata fuori a casa. Non è che Elaine non volesse uscire con i ragazzi, ma certamente non voleva essere confusa da situazioni estranee ed eludibili.

 

Così Elaine passò il luglio e l’agosto successivi alle scuole medie, vivendo in un mondo hollywoodiano e radiofonico, popolato di star, giornalisti della carta stampata, giovani e rampanti editori di città, giovani neurochirurghi, giovani ed intrepidi detective che – nessuno escluso - si battevano, operavano, o indagavano brillantemente quando non erano fatalmente portati alla deriva dal loro incorreggibile charme

Tutti nel mondo di Elaine si pettinavano i capelli splenddamente o se li facevano scompigliare da qualche costosissimo coiffeur. Tutti parlavano con profonde voci allenate che -a volte- scivolavano piacevolmente tra le gambe di una ragazzina sedicenne.

Ripetutamente, Elaine e sua madre trotterellavano da una soap opera alla successiva, da un cinema all’altro e presentavano uno strano quadro mentre camminavano assieme per le bollenti strade del Bronx.  La signora Cooney, e a volte la signora Hoover, avevano sempre l’aspetto di secoli di infermiere letterarie, Elaine quello di secoli di Giuliette e Ofelie ed Elene. Le serve da carrello e la splendida fanciulla. Diretta ad un rendezvous con Romeo, con Amleto, con Paride. Diretta ad un rendezvous con i fratelli Warner, con la Republic, la MGM, con la Monogram o la RKO… C’erano migliaia di persone del Bronx che le vedevano passare. Non ce ne fu mai uno che fece un grido, che si meravigliasse, che intercettasse… 

 

Ai primi di settembre, poco prima che la scuola riaprisse, ci fu un’irregolarità nel programma. Unl dei cassieri del cinema RKO, un ragazzo secco e biondo che portava un pettine nella tasca dei jeans e se lo passava costantemente fra i capelli, invitò Elaine alla spiaggia per quella domenica e l’invito fu accettato. Successe mentre la madre di Elaine, la quale soffriva cronicamente di raffreddori di testa, si era ritirata al bagno delle signore per somministrarsi le gocce. Elaine aspettava nell’atrio esaminando le foto di scena del film della settimana successiva. Il cassiere, il cui nome era Teddy Schmidt, le parlò.  “Hey. Ti chiami Elaine, vero?”

     "Sì, come lo sai?" Elaine chiese.

     "Ho sentito tua madtre chiamarti un milione di volte," disse Schmidt.

     "Ascolta, cioè cosa fai domenica? Vuoi venire alla spiaggia? Questo mio amico, Frank Vitrelli, ha una Pontiac convertibile. Io e lui e la sua ragazza andiamo alla spiaggia domenica, Vuoi venire? Cioè, ci verresti?"

     "Non so," disse la recente diplomata della P.S. 332, guardandolo e

     trovando belli i suoi capelli ondulati e vagamente femminei.

     "Sarà divertente. Cioè, ti divertirai. Questo mio amico, Frank Vitrelli, è da panico. Ti abbronzerai e tutto il resto. Che ne dici?"

     "Devo chiederlo a mia madre," disse Elaine.

     "Grandioso!" disse Teddy Schmidt. "Grandioso! Vengo a prenderti domenica mattina. Dove stai?"

     “Quattrocentocinquantadue Sansom," Elaine cantilenò.

     “Grandioso! Fatti trovare di sotto!"

     Mrs. Cooney, tirando su gocce per il naso, interruppe la conversazione.

     Le bianche, bianchedita di Teddy Schmidt strapparono il suo biglietto in due, ed Elaine seguì sua madre nell’oscurità familiare.

     Quando i nomi del personal eresponsabile del film apparbero sullo schermo, Elaine sussurrò a sua madre, “Mamma.” “Cosa?” disse la signora Cooney, guardando lo schermo.

“Posso andare alla spiaggia domenica?”

     “Quale spiaggia?”

     “La spiaggia. Il cassiere vuole che io vada. Lui ci va ed io posso andare con lui.”

     “Non lo so. Vedremo.”

     Una figura di uomo apparve sullo schermo ed Elaine vi si interessò immediatamente mordicchiandosi le unghie. Il film continuò per una decina di minuti, poi d’un tratto la signora Cooney si rivolse alla figlia.

“Non hai un costume da bagno.”   

 “Che?” disse Elaine, guardando lo schermo.

     “Non hai un costume da bagno.”

     “Posso prenderne uno, no?” Elaine asked.

     La signora Cooney annuì nel buio e la questione fu chiusa in maniera indefinita. Il film stava evolvendo con una situazione che prometteva alle due Cooney un repentino sobbalzo di romanzo.

 

     Il sabato sera successivo, mentre Elaine e sua madre stavano camminando verso casa da un altro film visto in un altro cinema, la signora Cooney diede a sua figlia alcuni consigli materni.

     "Non lasciare che nessuno faccia troppo il furbo domani."

     "Cosa?" Disse Elaine.

     "Non lasciare che nessuno faccia il furbo domani. Nella macchina di quest'uomo nè niente. Non lasciare che nessuno faccia troppo lo spiritoso."

     Elaine camminava con la sua splendida bocca appena dischiusa, ascoltando sua madre.

     "Occhio alle P e al Q!" Consigliò la signora Cooney.

     "Che?" disse Elaine.

     "Occhio a P e Q, domani,” ripetè la Mrs. Cooney, ed aggiunse con una certa  veemenza, “Spero che tua nonna si sia portata via le sue cartacce dal soggiorno. Sono così stanca di raccogliere roba dietro di lei. Raccogliere, raccogliere, raccogliere.”

 

     Alle nove meno dieci il mattino dopo, Elaine stava davanti a casa, con una valigia Kresge presa al dime store contenente un costume economico blu, una sottile cuffia pieghevole ed un asciugamano per il viso. Appoggiò la valigia ai suoi piccoli piedi ed aspettò. Era una stupefacente  giornata luminosa, con brezzoline speciali che rendevano giustizia ai capelli di Elaine. Almeno tre diverse automobili le passarono accanto lentamente suonando il clacson. Un uomo si spinse fino asalire sul marciapiede e uscire dalla portiera dell’auto “Fai la mia strada, bimba?”

     "No. C’è questo ragazzo che viene a prendermi…" Spiegò Elaine.

     L’uomo scosse la testa. "Non verrà," disse. "Ho avuto una soffiata."

     Elaine era sospettosa. "Come lo sai?" Volle sapere.

     L’uomo la fissò. "Come ti chiami, bimba?" Chiese.

     "Elaine. Elaine Coooo-ney."

Ma proprio in quell’istante il gruppo di Teddy Schmidt saltò fuori da dietro l’auto del bell’imbusto. Elaine riconobbe Teddy sul sedile dietro, e sorrise. Il tizio se ne andò.

Mancavano venti minuti alle undici. Teddy uscì dalla macchina. “Scusa sono in ritardo!” disse, senza un’ombra di dispiacere nella voce. “Frank non riusciva a trovare le chiavi. Era una gran divertimento. Fece entrare la ragazza nel retro dell’auto e le si sedette accanto. I due davanti erano girati con lo sguardo fisso.

Teddy fece le presentazioni. “Elaine, ti presento Monny Mohanan. Monny, Elaine. Elaine, lui è Frank”

     Frank Vitrelli prese atto della presentazione emettendo un lungo fischio.

     "Ciao," disse Elaine.

     "Continua a guidare, McGinsberg," ordinò Teddy. Frank Vitrelli cambiò marcia e la macchina si mosse. "Come stai, Elaine?" chiese Teddy, ostentando casualità ad uso di Frank e Monny.

     "O.K.," disse Elaine, sedendo dritta sul suo sedile.

     "Niente male, eh, Monny?" Teddy chiese a Monny, che stava ancora fissando.

     "Che fai, bimba?" Monny chiese ad Elaine. "Vai a scuola?"

     "Mi sono diplomata"

     "Al liceo?"

     "No, alla  8-B. Andrò al liceo la prossima settimana. George Washington

     High."

     "E’ una scuola solo femminile, vero?" Monny said.

     "No. Ragazzi e ragazze," la informò Elaine.

     Quando lo splendido sole di quel giorno stava già scendendo, Frank Vitrelli scattò in piedi come una molla, scuotendosa la sabbia dalle gambe pelose. “Bene,” annunciò, “Non mi importa cosa gli altri vogliano fare, ma per quanto riguarda me, datemi la libertà o datemi i racchettoni!” Si accucciò, e con la più leggera estensione del suo potente bracciò fece saltare Monny Monahan dritta in piedi.

     "Giochiamo in doppio," suggerì Monny. "Tu giochi a racchettoni,

     Elaine?"

     "Che?" disse Elaine.

     "Giochi a racchettoni?"

     Elaine scosse la testa.

     "Bè, dai vieni lo stesso," Monny le disse, guardando Teddy

     Schmidt. "E’ divertente da vedere."

     "Naa, staremo qui," disse Teddy con noncuranza.

     Frank Vitrelli fece improvvisamente un movimento all’indietro, colpendo con le grosse spalle I quarti inferiori di Monny Mohanan, e in un attimo Monny gli stava seduta sulle spalle. Lei fece una piccola smorfia di dolore, subito sostituita da un sorriso e disse “Oh, tu!” a Frank Vitrelli.  Questo si girò all’indietro a beneficio degli altri, con una mano afferrò una coscia di Monny per mostrare meglio i deltoidi. Quindi, velocemente si contorse più volte, come per aver ragione di un formidabile avversario, e partì al galoppo, con il suo fardello dolorosamente rimbalzante, alto sulle spalle.

     "E' da panico," commentò Teddy.

     "E' forte" Elaine osservò, in modo basilare.

     Teddy scosse la testa. "Tutto muscoli" disse brevemente. "Lo vedi in acqua?"

     "No."

     "Tutto muscoli, cioè… è tutto un muscolo." Teddy cambiò argomento. "Ascolta, questa sabbia mi sta uccidendo I piedi. Invece c’è ombra sotto il pontile. Facciamo una passeggiata."

     "Okay," disse Elaine, e si alzarono entrambi.

 

     Per la prima volta Elaine notò che la spiaggia stava diventando deserta. C’erano un paio di gruppetti di città duri a morire come la compagnia Schmidt-Vitrelli, ma sembrava che tutti i “regolari” avessero tutti insieme ripiegato un unico grande ombrellone verde e arancio, e si fossero ritirati sulla sabbia rovente verso i parcheggi. Alzandosi, Elaine fu quasi immediatamente presa in un terribile panico privato.  Non era mai stata alla spiaggia prima, ma aveva visto orde di gente a Coney Island nei cinegiornali girati annualmente al quattro di luglio o al primo maggio, e la circostanza di trovarsi su una spiaggia affollata per tutto il giorno non la estraneava con eccessiva violenza dalle dimensioni del suo mondo. Ma ora, all’improvviso, il vasto e solitario spazio di una spiaggia pubblica all’imbrunire le giungeva come la più terribile delle visite. La spiaggia stessa, che prima era stata solo una ragionevole manifestazione di qualche piccolo pugno di sabbia, tale da dare autentica estasi a passarla fra le dita; adesso era un mostro sdraiato sull’infinito, pieno di pregiudizi personali verso Elaine, pronto a ingoiarsela o a gettarla con una risata da orco in mezzo al mare. E con il veloce esodo della gente della spiaggia, Teddy Schmidt assunse un nuovo significato per lei. Non era più Teddy Schmidt, carino, dai capelli ondulati, maschio; Lui era Teddy Schmidt, non sua madre, non sua nonna, non una star del cinema, non una voce alla radio, non –

“Che c’è?” Domandò Teddy, ma dolcemente. Elaine aveva strappato la mano da quella di lui mentre camminavano, come se questa fosse stata attraversata da un alto voltaggio. Non gli rispose. Mentre camminavano, ogni cosa che lui diceva le era inintelleggibile. C’era solo ill suo cuore al galoppo. C’era solo una terrorizzata preghiera che la spiaggia e l’oceano si trasformassero in una strada del Bronx, con clacson strombettanti, autobus sferraglianti e una folla di persone ben vestite. Il suo udito era solo in attesa che la spiaggia si muovesse, che saltasse, che si ingoiasse.

La sabbia e l’aria sotto il pontile erano fresche e umidicce, e c’erano odori di cose di mare e picnic. Ma era buio e, improvvisamente, ciò fu di sollievo a Elaine, e più questa si addentrava sotto il pontile con Teddy, più la conversazione tornava ad essere intelleggibile, meno il suo cuore scalpitava

     "Troppo freddo qui?" Chiese Teddy in una voce peculiare.

     "No !" Elaine quasi gridò. Come una bambina con la testa sotto le coperte, impaurita dalle silhouettes ansiogene degli oggetti nella stanza, lei voleva stare lì sotto fino a che la transizione al suo monto familiare non avesse avuto luogo in un istante

     "Sediamoci," disseTeddy, al momento giusto. Il suo cuore mediocre aveva cominciato a pompare eccitato, perchè con il suo deprecabile ma raramente fallace intuito da libertino, sapeva che sarebbe stato facile …così facile...

     In quel momento, sul campo dei racchettoni Monny Monahan camminò verso la rete e disse a Frank Vitrelli, "Torniamo, eh? Mi fanno male i piedi."

     "Un altro set."

     "Non mi piace che quel tizio stia con quell’altra bimba."

     "Quale tizio?" Disse Vitrelli, girandosi a guardare gli altri giocatori sul campo accanto.

     "No. Voglio dire Schmidt."

     "Teddy ? Oh, è un bravo ragazzo. Dai. Tocca a te servire," disse Vitrelli, e corse fino alla sua linea di base.

     Monny servì, - odiando Vitrelli, ma consapevole che tirava su sessantacinque dollari a settimana, consapevole della grande potenziale sicurezza che rappresentava.

Quando venne fuori dalla sua prima notte sotto il pontile con Teddy Schmidt, ad Elaine fu richiesto di riportare assai pochi dettagli della giornata. Sua madre si stava lavando i capelli, la sua testa insaponata era piegata sul catino nel bagno. Sua nonna stava dormendo.

     "Sei tu, Elaine?"

     "Sì, Mamma." Elaine entrò in bagno e guardò sua madre lavarsi I capelli.

     "Divertita?"

     "Sì"

     "Il costume era stretto?" volle sapere sua madre.

     "Non lo so," disse Elaine.

     "Hai mangiato qualcosa?"

     “Sì, degli hot dog. Con delle salse.

 “Bene," disse sua madre.

"Elaine stava lì in piedi. Era quasi pronta per dire qualcosa.

"Qualcuno ha fatto il furbo con te?" Chiese sua madre all’improvviso."No," disse Elaine.

     "Bene. Passami l’asciugamano cara." Elaine le diede un asciugamano.

“Va’ a vedere sui giornali cosa c’è al Capitol. Magari ci andiamo in mattinata

“Non posso,” disse Elaine. Teddy non lavora di mattino. Così ha detto che mi impara a giocare a bridge.”

“Oh carino! Così potrai giocare con me, zio Mort e la nonna quando avrai imparato, ad ogni modo vedi almeno una volta come giochiamo noi, ok?”

 

Un mese più tardi, due settimane prima del suo diciasettesimo compleanno, Elaine andò sposa a Teddy Schmidt. Il matrimonio fu celebrato a casa degli Schmidt, e vi presenziarono la grande famiglia di Teddy e molti dei suoi amici. La signora Cooney, la signora Hoover, e il signor Freedlander accompagnavano Elaine. Era una fredda e piovosa mattina di ottobre, con minacce di brividi più intensi e di altra pioggia nel tardo pomeriggio. Elaine indossava un economico e sottile completo “da viaggio” ed un lugubre corsetto color gladioli che la sorella di Teddy, Bertha Louise aveva scelto per lei. Ma nessun film hollywoodiano di serie B aveva mai reso Elaine felice quanto appariva il giorno del suo matrimonio. Se avesse potuto testimoniare oggettivamente la scena, nessun bacio all’ultimo fotogramma le avrebbe mai agitato così teneramente il cuore quanto la vista di se stessa portare le sue labbra ad incontrare la sottile bocca effemminata del suo nuovo marito.

Teddy fu nervoso per tutta la cerimonia e al tavolo nuziale, dopo la cermonia fu irritabile con la sua sposa. Elaine era troppo felice per tagliare la torta in maniera efficace, lei dovette toglierle il coltello. Era completamente disgustato dalla sua incompetenza.

La madre di Teddy e la signora Cooney cominciarono a discutere con circospetta educazione a proposito della virilità di una certa nota star del cinema. La signora Schmidt mettendola in discussione, la Cooney giurandovi sopra. Bastò molto poco perché le due abbassassero la guardia e alzassero le voci; e dopo che il signor Freedlander ebbe acconsentito alla richiesta della signora Cooney di “starne fuori”, la stessa Cooney pensierosamente, efficacemente, colpì la suocera di sua figlia in pieno con una manata sulla bocca. La madre di Teddy urlò e corse in avanti, ma incontrò l’interferenza di Frank Vitrelli. Freedlander acchiappò la signora Cooney. Lo sposo stava in disparte, terrorizzato, evitando ogni partecipazione attiva e fingendo di confortare sua moglie. Elaine piangeva come una bambina, tutta la felicità strappatale via, come una pellicola rotta in un proiettore. Monny Mohanan andò da Teddy. “Portala via da qui.” gli disse.

 

Teddy annuì nervosamente, e si guardò intorno come se si ponesse la questione di scegliere un’uscita più appropriata di un’altra. Ma stava immobile nel panico.

“Portala via, scemo!” gli gridò Monny Monahan.

     Teddy afferrò ruvidamente il braccio di sua moglie. “Andiamo,” disse.

     "No!" disse Elaine. "Mamma !" Si divincolò da Teddy e corse da sua madre che era inadeguatamente tenuta quieta dal signor Freedlander e dalla signora Hoover.

     "Mamma," pigolò Elaine. "Io e Teddy stiamo andando."

     "Io la uccido," minacciò la signora Cooney, ferocemente.

     "Mamma. Mamma. Io e Teddy stiamo andando," disse ancoraElaine.

     "Vai bimba," consigliò Freedlander. "Tua mamma non si sente molto bene.

     Divertiti. Non fare nulla che io non farei."

     "Mamma," pregò Elaine.

La signota Cooney d’un tratto guardò verso la figlia. E qualcosa di strano successe. Una grande tenerezza attraversò il volto della signora Cooney, che prese il viso di sua figlia fra le mani e lo avvicinò al suo. “Addio bambolina” disse, e la baciò ferventemente sulle labbra, diverse volte.

     "Addio nonna," disse quindi Elaine alla signora Hoover.

     La signora Hoover prese la nipote fra le braccia e le singhiozzò copiosamente addosso.  Teddy invitava sua moglie ad abbreviare l’abbraccio. I novelli sposi cominciarono a lasciare la casa. Ma ci fu un cambiamento nei piani.    "Elaine!" Chiamò stridulamente la signora Cooney.

     Elaine si girò, con I suoi grossi occhi spalancati. Suo marito esitò anche, ciondolando un poco con la bocca aperta.

     "Tu non vai da nessuna parte," disse la signora Cooney. E l’intero crocchio di invitati alle nozze fiondò la sua attenzione su di lei. Perfino il singhiozzo della madre dello sposo fu bruscamente sospeso.

     "Che mamma?" disse la sposa.

     "Torna indietro, bella mia" ordinò la signora Cooney, piangendo. "Tu non vai da nessuna parte con quel frocetto."

     "Senta," Teddy cominciò ad infuriarsi, "Ce ne stiamo andando proprio-"

     "Sta’ zitto, tu." Comandò la Cooney, e rivolta alla signora Hoover.

     "Andiamo, Ma."

    La signora Hoover si alzò dolorosamente ma pronta, sulle sue gambe gonfie. Seguì sua figlia attraverso la stanza verso la nipote.

     La mandibola di Teddy tremava violentemente. “Senta,” disse alla suocera che cingeva ormai la vita della moglie di lui, “Lei è mia moglie ora, ok? E’ mia moglie. Se lei non viene con me, posso farlo annullare, il matrimonio.”

“Va bene. Andiamo cara,” disse la signora Cooney, e fece strada verso l’uscita.”

     "Ciao, Teddy," disse Elaine in un tono amichevole da sopra la spalla.

     "Senta," ricominciò Teddy, cercando di sottointendere imminenti pericoli per le Cooney. “Lascia che vadano” Strillò sua madre “ Lascia che quella plebaglia se ne vada!"

 

Quando furono fuori in strada, la signora Cooney licenziò Freedlander senza il minimo tatto. "Vai pure, Mort," disse. E Freedlander, se ne andò con un’aria ferita. Moglie, madre e nonna si mossero lungo la strada. Girarono l’angolo in silenzio fino alla metà dell’isolato successivo, quindi la signora Cooney fece un piccolo annuncio che sembrò gradito a tutte e tre.

     "Andremo a vedere un film. Un bel film," disse. E continuarono a camminare.

     "Ce n’è uno con Henry Fonda al Troc," fece presente la signora Hoover, che non voleva camminare molto.

     "Lasciamo che sia Elaine a dire dove vuole andare," propose la signora Cooney.

     Elaine stava guardando il suo corsetto di gladioli. "Oooh," disse.

 Stanno tutti morendo, erano così belli." Guardò in alto. "Chi c’è al Troc, nonna?"

     "Henry Fonda."

     "Ooh, mi piace" disse Elaine, saltellando estaticamente.

 

 


 

 ritorna all'indice

Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 543 Howard Street, 5th Floor, San Francisco, California, 94105, USA. Traduzione di Alberto Baglietto

Hosted by www.Geocities.ws

1