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Maria Cristina Fioretti
Pudigajaca. Una storia d'amore

Opera vincitrice della "sezione QualeAmore"

 

 

L'opera di Maria Cristina Fioretti è stata scelta dalla giuria dell'edizione 2004 con la seguente motivazione: “Il Racconto è una storia ben costruita attorno ad un fantasioso amore che ha la sua vita dentro un mazzo di carte francesi. E’ l’amore che sfida le regole, che vince le regole per compiersi tanto da abbandonarle per dar voce al proprio linguaggio, quello del cuore, lingua universale anche senza grammatica. La storia attorno a due carte, anche qui però un re e una regina, è la storia eterna dell’uomo, dello stupore nell’amare, della sua fantasia e della sua bellezza”.

 

*  *  *

 

Regina di quadri si svegliò, si stiracchiò soddisfatta e guardò oltre le vetrate della grande finestra sul giardino. Un’altra bellissima giornata! Una primavera così non l’aveva mai vista, forse anche perché prima non si era mai accorta che fosse primavera. Prima era tutto diverso, brr, faceva venire i brividi solo a pensarci, ma ora era passato, si, ecco, ora tutto era nuovo e meraviglioso.

Doveva essere in forma per il torneo, accidenti, mancavano poco meno di 2 ore. Ordinò la colazione a dieci di picche e poi cominciò a mettere sottosopra l’armadio per trovare il vestito più adatto, un vestito che la valorizzasse, che nascondesse tutti quegli spigoli. Era sempre stata un po’ quadrata, ma fino a poco tempo fa questo non era un problema, ma ora no, ora voleva essere bella, voleva sentirsi all’altezza. Si sentiva morire pensando a tutte le splendide rotondità di regina di cuori. S’infilò un vestito rosso, si spruzzò un po’ di profumo bouquet di fiori n. 5 e si guardò nello specchio. Era molto carina e poi gli occhi erano pieni di tante cose che quasi brillavano. Ma tutto questo forse non bastava, Re di cuori non la notava, per lui era una carta, come tutte le altre. Si, è vero, ogni tanto le sorrideva, le raccontava dei tornei in cui aveva vinto, le chiedeva di giocare insieme a rubamazzo, ma tutto finiva lì.
E poi c’erano le regole, regole precise: la Regina di quadri col Re di quadri e la Regina di cuori col Re di cuori, finora nessuno era mai andato contro le regole. Tutti i suoi antenati le avevano sempre seguite ed erano arrivati alla fine della vita contenti di aver rispettato i ruoli assegnati. Ma Regina si ricordava gli occhi di sua madre il giorno che le chiese cos’era la felicità: “E’ impalpabile, effimera, è un miraggio, forse non c’è, ma chi decide di trovarla deve essere impeccabile e vivere secondo il ruolo assegnato. Solo così potrà trovare la felicità”
“E tu mamma l’hai trovata?” Non le rispose né allora né durante il corso degli anni quando Regina di quadri cresceva e continuava a domandarle sempre la stessa cosa. La mamma si limitava a sorridere, poi la abbracciava e le spiegava un nuovo gioco di carte.
C’era però in quell’abbraccio qualcosa di non spiegato, taciuto. Poco prima di morire le aveva preso le mani  sussurrando: “Le regole, le regole, ma c’è altro…..”

Regina di quadri avrebbe spezzato quel sistema, Dio, era pronta a tutto, avrebbe mischiato tutte le carte. Rise pensando a come sarebbero cambiati tutti i giochi. “Devi rispondere a picche. Picche con picche, questa è la regola!” “No, tutto è cambiato ora puoi rispondere come vuoi: picche con fiori, quadri con cuori!”.
Ce l’avrebbe fatta a cambiare tutto, bastava che pensasse a Re di cuori e si sentiva fortissima. Bussarono alla porta: era dieci di picche che le portava una ricca colazione a base di uova in salsa piccata e cuori di palma in salsa fiorata. Mangiò con gusto e si precipitò giù per le scale.

Fu la prima carta ad arrivare al torneo. Dopo di lei arrivò Re di quadri: le passò accanto senza guardarla, non le disse mezza parola. Era evidente che soffriva ed era pieno di rancore, questo la faceva stare male, ma quello che aveva fatto era indispensabile, non poteva andare altrimenti, perché certe cose possono andare in tanti versi ma uno solo è quello giusto. E regina di quadri dopo tanti anni aveva capito cos’era giusto. Tutti le avevano dato contro: suo nonno Asso di quadri aveva minacciato di non metterla più nei mazzi di ramino, e fante di quadri, che lei aveva sempre reputato un amico, smise di telefonarle e di accompagnarla alle serate di Bridge.
Le dicevano che Re di quadri era buono, che in fondo le voleva bene, che era stato un buon compagno e che lei non aveva il diritto di lasciarlo. Solo Jolly si era schierato dalla sua parte e una volta che le era stato accanto in una partita di scala 40 le aveva sussurrato nell’orecchio: “Cerca il senso nel tuo cuore e sii fluente come l’acqua”.

Alla spicciolata arrivarono tutti gli altri. Re di cuori fu l’ultimo ad entrare, con un incedere lento e flessuoso, e un sorriso smagliante e malizioso. A Regina di quadri si riempirono gli occhi di lacrime perché aveva ormai chiaro che lui era stato creato per lei e lei per lui e che solo per un fatale equivoco le carte erano state mischiate male. Poi però piangeva, anche perché aveva paura di non farcela.
Sola contro tutto il mazzo, contro le regole. E lui cosa avrebbe detto? E se le avesse riso in faccia? Oddio, non poteva sbagliarsi, quella sensazione sembrava così chiara, così certa e poi lei aveva fatto ciò che le aveva consigliato Jolly, si era lasciata andare alla corrente e la corrente l’aveva portata lì di fronte a Re di cuori. Suonarono cinque squilli di tromba e fu dato inizio al torneo. Alla prima mano si era già formato un tris di Sette che arrivò in campo tronfio e superbo come solo un tris di sette può essere, con la sicurezza che lui, il sette, da sempre è un numero magico e quindi può fare ciò che vuole.
Poi si formò un tris di Due ma ebbe poco successo perché si sa i Due sono noiosi, poco sicuri di sé, eternamente indecisi, e il pubblico questo lo avvertiva, tanto che ci fu solo qualche timido applauso e un bel po’ di fischi. Si scatenò invece una standing ovation quando scese in campo un poker di Tre: perfetto, assolutamente perfetto. Il Tre era il simbolo di tutto, il simbolo che regge il mondo e lui lo sapeva ma non se ne vantava, era semplice, alla mano con tutti. Era saggio e cosciente, per questo non aveva bisogno di mostrare ma solo di essere.

Cominciò a formarsi una scala di cuori. Regina di quadri sentì che era arrivato il suo momento. Ebbe voglia di fuggire  via, le gambe le tremavano, la mente era     appannata.   Le vennero  mille  dubbi,  tanti    brutti pensieri, poi sentì una mano posarsi sul suo braccio. Era Jolly. “Vai fino in fondo. Puoi andare solo avanti. Ricordati dell’acqua del fiume….
L’hai mai vista tornare indietro?” le sussurrò all’orecchio. Prima che lei potesse replicare era già sparito. Lo vide al centro del campo pronto ad annunciare la prossima mossa.

Sette, Otto, Nove, Dieci, la scala di Cuori si stava formando. Il pubblico applaudiva e loro si divertivano un mondo, ringraziavano, sorridevano, si facevano fotografare.
Si unì allora il fante. Poi Regina di Cuori, con incedere felino e sensuale cominciò a camminare verso il suo posto. I fans impazziti applaudivano, le trombe squillavano, i tamburi si rispondevano tra loro con un curioso tam-tam. Quando Regina di quadri cominciò a camminare verso lo stesso posto un silenzio ovattato scese sul campo.
Regina di quadri  sentiva le gambe pesanti come il piombo, quasi non riusciva a camminare, ogni passo le costava tanta fatica, ma a chi la guardava da fuori sembrava leggera come il vento, come il vento che ovunque va cambia le cose.
Non si sentiva un rumore, il pubblico e le altre carte, immobili come statue di sale, trattenevano il respiro. Solo il battito del suo cuore, veloce, molto veloce, ma a lei piaceva perché le stava ricordando che era viva.
Regina di cuori urlò perentoriamente: “Jolly, ma che razza di arbitro sei! Le regole, non si stanno rispettando le regole!” Jolly non la ascoltava, sdraiato in un angolo del campo faceva finta di dormire, con l’occhio sinistro leggermente aperto e un sorriso congolante.

Stava fingendo di sognare, ma il sogno che riusciva a vedere dall’occhio socchiuso era più interessante, era il più bello dei sogni. Regina di cuori abbandonò il campo su tutte le furie, ma questa volta non fu accompagnata da nessun applauso: erano tutti troppo presi a vedere cosa sarebbe successo.
“E’ il mio posto – urlava – è mio!” Da tempo considerava tutto una sua proprietà, lo stesso Re di cuori era una sua proprietà, e tutto andava avanti senza alcuna dolcezza, mai. Era una Regina di cuori, ma per uno strano paradosso il suo cuore era di pietra. Re di cuori non intervenne, non la fermò, ma si diresse al suo posto.
Ecco ora era vicino a Regina di quadri. Lei lo guardava, sembrava incredibile, avrebbe voluto dire tante cose, voleva parlare di quello che sentiva, raccontargli di come lui aveva cambiato il corso dei suoi pensieri, di come l’aveva colpita proprio nell’essenza, ma non riuscì a dire altro che una frase ambigua piuttosto sibillina. Per lei era chiaro che lui avrebbe capito ma Re di cuori le rispose affettuosamente buttando lì un’altra frase di circostanza.
Il pubblico tremò. Non riuscivano a comunicare, sembrava non avessero una lingua in comune. Regina di quadri si sentiva morire, cercò Jolly con lo sguardo. Lui non si mosse, continuava a sorridere, e a lei sembrò che dicesse: “C’è sempre un modo per giungere al meccanismo del cuore. Devi trovare la chiave!”. Non era facile, non era per niente facile arrivare al cuore, le parole si sa sono ambigue, ognuno attribuisce loro un significato, una sfumatura diversa e così il  mondo    girava      da     millenni     su    equivoci, incomprensioni e sentimenti nascosti. Re di cuori cominciò a capire che stava per succedere qualcosa, qualcosa di cui lui non aveva mai sospettato nulla, o forse si, a ripensarsi lei a volte era stata un po’ strana, ma lui lo aveva attribuito al suo carattere un po’ imprevedibile e travolgente.
Il Tempo si fermò, si mise ad aspettare quello che sarebbe successo, non voleva scorrere veloce e mettere fretta.
Anche la Sabbia del deserto vicino che stava correndo all’impazzata sconvolgendo le dune, si placò e cadde silenziosa come neve ai bordi del campo, a formare come un anello d’oro che raccoglieva tutti. Regina di quadri prese la mano del Re e disse “Pudighàjaca” che non vuol dire niente, ma proprio perché non significa nulla può dire tutto, può dire “permettimi di amarti”, “lasciami entrare nel tuo cuore”, “stringimi e non lasciarmi fuggire mai” e tante altre cose che lei pensava da quando aveva cominciato ad amarlo.
Re di cuori ripeté “Pudighàjaca” e pronunciandola ne afferrava il senso: sentì tutto l’amore che c’era in quella parola e si commosse. Allora tante cose gli sembrarono chiare, tutto quello che lei gli aveva detto negli ultimi mesi, ora aveva un significato. Era frastornato, stava accadendo qualcosa che lui aveva immaginato solo nelle favole e che avrebbe cambiato la vita di tutti per sempre.
Non si sentiva una voce, un respiro, tutto era sospeso in un’atmosfera irreale. In un attimo rivide tutta la sua vita, si rivide bambino, quando al parco con sua zia Quattro di cuori che lo spingeva in altalena,  gridava felice perché voleva arrivare sul ramo più alto della quercia e fermarsi lì, costruire una piccola casa di legno e non scendere più. Quando, qualche anno dopo, aveva vinto il torneo più importante dell’anno e aveva fatto felici tutti gli amici dividendo il premio.
Quando voleva andare a vedere cosa c’era oltre il deserto, ma il padre lo aveva convinto che avevano già tutto e non c’era bisogno di cercare altro. Quando l’avevano incoronato Re…
Ed ora tutti aspettavano la sua decisione. Spinse lo sguardo oltre l’orizzonte, quasi a cercare una risposta, respirò a lungo cercando di farsi permeare da quella luce e da quegli odori. Gli tornò alla mente una frase che aveva sentito dire da Jolly, il filosofo strampalato che gli era stato accanto in tanti momenti difficili: “La risposta non viene mai da fuori.
La risposta è dentro di te. Tu sei la risposta”. Si tolse la corona, la tolse anche alla Regina, la prese per mano e cominciarono ad incamminarsi fuori del campo. Avevano vinto il più importante dei tornei. Il pubblico cominciò a ripetere “Pudighàjaca” e più la ripeteva più somigliava ad una musica antica.
Nell’angolo del campo Jolly continuava a sorridere, ma ora gli occhi erano chiusi. Avrebbe sognato un sogno qualunque perché il più bello dei sogni si era avverato.

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