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Manuela Faccani e Enzo Lodesani
Finestre

Opera vincitrice della "sezione Narrativa"

 

Manuela Faccani vive a Ravenna e svolge la propria attività professionale nell’ambito della pubblica amministrazione. 

Enzo Lodesani ex dipendente di un Istituto di credito, ora in pensione, vive a Modena.

I due autori si sono avvicinati alla scrittura tramite Internet, dove hanno fatto le loro prime esperienze e tuttora collaborano alla redazione di un sito politico. Il gusto e la curiosità per nuove forme di comunicazione, nonché il comune interesse per la scrittura, li hanno spinti a misurarsi, oltre la politica, in generi diversi, dalla fiaba alla satira, dall’elzeviro al racconto breve.

Questo racconto è vincitore della sezione narrativa di “Parole per Comunicare 2004” con la seguente motivazione, perché: « Interpreta sapientemente l’innata curiosità che ha lambito ognuno di noi nelle nostre riflessioni di viaggiatori soli, ne fa un trama intrigante che risolve in un finale originale e d’effetto. Riesce a far vivere insieme spettatore e attore, in una continua interazione tra mondo esterno ed un “io”  tormentato. 
Il  passaggio dall’altra parte dei vetri non risolve i dubbi e le incertezze, acuisce l’amarezza dell’incomunicabilità, vera protagonista del racconto, mantenendo viva tutta la sensazione di malessere serpeggiante per tutto il brano e quasi sovvertendo il pirandelliano “così  è se vi pare”, ma lasciandone intatto il messaggio, pare avvisare non proprio velatamente che “così non è, anche se vi pare” ».

 

*  *  *

 

Il sole è quasi all’orizzonte quando l’auto arriva al casello dell’autostrada. L’uomo al volante toglie il piede dall’acceleratore e l’auto rallenta imboccando la corsia del telepass. 
Di là dalla barriera c’è il solito incrocio con una foresta di cartelli pubblicitari, un distributore, un ristorante e le indicazioni per la città vicina, ma la vettura prende la provinciale. La strada è ben asfaltata e s’inoltra in mezzo a colline leggere, dove gli ultimi raggi di luce illuminano i vigneti che ne disegnano i contorni. Le ombre si allungano sempre più e l’auto prosegue nel suo viaggio con un ritmo più lento. Presto il buio avvolge tutto. Dopo un’ampia curva la strada scende verso la pianura e in lontananza s’incominciano a vedere le luci di un paese.

La donna seduta a fianco dell’uomo, quasi rannicchiata nella posizione fetale, sembra svegliarsi dal torpore e suoi occhi scrutano attentamente tra le finestre illuminate. Non parla. Posa gli occhi su una finestra. E’ la finestra di un salotto, uno di quei salotti con le poltrone dallo schienale alto, e sopra centrini di pizzo. Chissà perché la luce è accesa a quest’ora, in quei salotti non si entra mai, se non per dare aria alla stanza. 
Un ospite inaspettato, forse, o la curiosità di un album di fotografie che vi si conserva. In quei salotti è sempre freddo, anche d’estate, e soprattutto, è silenzio. Di quei silenzi che durano all’infinito, anche in mezzo al rumore, anche se l’autoradio continua a gracchiare musiche che la donna non conosce e nemmeno sente, e le sue sconce pubblicità.                    

L’uomo sembra cercare distrazione con lo sguardo, dopo la monotonia del lungo viaggio in autostrada. Il paese non gli piace, gli dà l’impressione di essere solo una massa informe di case. E’ buio, e lui vorrebbe che lei parlasse e non stesse solo a fumare in silenzio. Anche lui guarda il salotto. 
Pensa che c’è la luce accesa ma non c’è nessuno, chissà, forse avranno dimenticato di spegnerla. Uno spreco, ecco. Ma lo sguardo subito scivola su un’altra finestra, e un’altra e un’altra. La musica dell’autoradio lo infastidisce, ma pare che a lei piaccia. Così, non chiede di spegnerla.

L’auto procede a velocità ridotta, il traffico è praticamente inesistente, nelle strade ci sono pochi passanti e i negozi ormai hanno chiuso.
Tra il fumo della sigaretta gli occhi della donna si spostano altrove, come seguendo un film.

Sorride. Da una finestra vede solo un grande, traballante sedere; è coperto da una stoffa grigia a macchie, fiori le pare. La sua proprietaria, in piedi, di spalle, se lo trascina di pochi passi, di qua o di là, forse mentre sta cucinando. Lei pensa che quel sedere è improprio, esagerato; avrà di certo una poltrona fatta su misura per accomodarsi. Pensa che quel sedere starebbe stretto nei sedili dell’auto, compresso dalla portiera, soffocato dai braccioli. Per lei, di spazio ce n’è anche troppo; dal sedile a quello vicino, una valle di alcantara grigia, crepacci di portaoggetti, muri di pacchetti di sigarette accartocciati. Con un sedere così sarebbe impossibile non toccarsi. La donna si stira, si stende, occupa tutto lo spazio che il sedile accogliente le offre.

L’uomo frena. Impreca contro il semaforo, ma è costretto a fermarsi. Vede la donna in sottoveste e pensa che lo sa che dalla strada si può vederla, e che lo fa apposta. 
Ma non gli dispiace; anzi, la scena lo diverte, poi gli sono sempre piaciute le donne formose, le curve come colline armoniose. Quel sedere è proprio un bel sedere. Un sedere abbondante che con il suo movimento fa sognare piaceri che le donne magre non possono dare. Quel sedere sembra muoversi in una cucina, forse in un tinello: lui immagina che nella stanza ci sia un uomo. E’ evidente che la proprietaria del sedere non sta preparando la cena, ha movenze sensuali. Una volta anche lei lo provocava sapendo che la sua resistenza sarebbe stata nulla. Sono giochi che non fanno più. Al solito lei non dice niente.

La donna strizza gli occhi per difendersi dal fumo. Un gatto nero sporge da un’altra finestra, quasi confuso con i toni della notte, si lascia indovinare solo dagli occhi e dai movimenti della coda. Qualcosa lo ha riscosso dal suo dormiveglia, forse un odore improvviso, o uno squittire di topo. Si godono la casa, i gatti, e il fresco, dopo una giornata torrida. Una volta le piacevano i gatti, andavano quando volevano andare, tornavano quando volevano tornare. Se lei fosse un gatto potrebbe graffiare questi sedili fino a costringerlo ad aprire la portiera e a lasciarla andare a caccia nella notte. I gatti non fumano. Ma lei accende un’altra sigaretta.

Anche l’uomo vede il gatto nero. Spera che se ne stia tranquillo e non gli venga voglia di attraversare la strada; pensa che ha anche troppi problemi, senza che ci si mettano anche i gatti neri. Pensa che lei non si preoccupa, sembra quasi che le cose non la riguardino. Pensa che non c’è più modo di fare un discorso, di avere un po’ di attenzione. Che quando fanno l’amore lei è lontana e indifferente. Come adesso, che se ne sta rannicchiata nel sedile e non dice nulla.

L’auto giunge nel centro del paese e la luce artificiale è ovunque: nella strada, nelle vetrine, nelle insegne, e, ancora, nelle finestre. La luce è accesa in una camera da letto, sulle ante di un armadio spalancato. La donna pensa che di certo le ante sono state lasciate aperte da una ragazza che si è rimirata nello specchio a figura intera, prima di uscire. Forse guardava come i jeans le disegnavano il sedere, oppure valutava con pena i chili di troppo messi su quest’inverno. Non basta essere giovani ed avere un appuntamento per essere felici, questo è certo. 
Ma quella ragazza è uscita di furia, perché ha dimenticato di chiudere l’armadio; per andare incontro a un nuovo amore, o forse per chiudere definitivamente con quello vecchio. L’uomo pensa che i figli sono tutti uguali: anche in quella stanza ci sarà stata una figlia che ha lasciato aperto l’armadio e i vestiti sparsi sul letto, o per terra, come fa Michela. Lo fa apposta, sicura che sua madre le darà ragione. A volte gli viene una rabbia che la coprirebbe di schiaffi.

Ma sa che non è colpa sua. Piuttosto lei, lo ha sempre fatto di mettergli contro sua figlia. Al giorno d’oggi i figli sono cresciuti così, senza rispetto per le regole e lei ci ha messo del suo mettendosi sempre dalla parte di Michela. Lui gliel’aveva sempre detto che i figli non possono fare quello che vogliono, ma lei doveva per forza essere moderna ed aperta. E si accende un'altra sigaretta. Lo sa che gli dà fastidio. E continua a non parlare.

Ormai anche quel paese era passato. Le case ai lati della strada sono quelle di tutte le periferie. Case anonime, in cui certo gli architetti non hanno dato il meglio di sé. L’auto deve rallentare di colpo, accodandosi al camion che lava le strade. Da una finestra straripa una luce intensa, quasi accecante. Ma la stanza è vuota, si vedono solo pareti bianche. Quando gli parla lei ha sempre un tono asettico, sembra quasi che le voce non le appartenga. La luce viene da quel lampadario di cristallo. 
Eppure è ancora una bella donna. La stanza è vuota.....e lei non dice nulla, è da tanto tempo che non dice nulla. La luce da sola non dice niente. Lei è ancora bella ma non fa più nulla per piacergli. Gira per la casa come un automa, e lui pensa che prima o poi dovrà affrontare il discorso.   

La donna è sempre più rannicchiata contro la portiera e il suo sguardo vaga oltre il vetro. Guarda con interesse le falene. Come sono stupide, corrono a schiantarsi contro le luci come ubriachi. Quella finestra sembra lasciata aperta apposta perché chi passa vi possa guardare dentro: hanno lasciato le tende tirate e il lampadario acceso. Per attirare le falene. Pareti appena imbiancate, il lampadario nuovo di fabbrica, e qua e là resti di imballi. I mobili arriveranno forse domani. C’è di sicuro chi li aspetta ansiosa, avida di tessere il suo nido, e di incominciare una nuova vita.  
Di sicuro è talmente orgogliosa della sua nuova casa che non vorrebbe mai spegnere le luci e trascinarla nel buio. Però, sono proprio stupide le falene. Si aggirano attorno al lampadario come giovani spose. Finalmente quell’autobotte si è tolta davanti e l’auto può accelerare. Lui inizia ad essere impaziente, non vede l’ora di arrivare. La strada sembra buona e non c’è nessuno in giro, gli ultimi lampioni illuminano una zona sportiva: c’è anche il campo di calcio. Tutte uguali queste zone sportive. 
Ai suoi tempi, invece, non c’era nulla di organizzato. Si giocava a pallone su campi improvvisati, tempi eroici. Non c’era niente, eppure sembrava di essere a San Siro e le ragazzine venivano a guardarli giocare. Ricorda ancora quella moretta, come si chiamava? Si. Anna. Se l’era fatta per tutta l’estate. Quelle erano conquiste, non come adesso che te la sbattono in faccia. Il motore canta, fila che è una meraviglia. Si sono lasciati alle spalle le ultime luci del paese. L’autoradio continua con la sua musica incomprensibile, non c’è modo di sentire il notiziario. Lei non dice niente. L’auto scivola via nella notte, silenziosa. Il nastro di asfalto, davanti alla vettura, sembra immobile. Tutt’attorno il buio e il silenzio solidificano.

Prima sono solo avvisaglie, poi luci sempre più chiare e nette mordono il buio come una mela. Dalle finestre della villa di Giulia la luce si spande attorno e tiene lontani ladri e malinconie. La macchina si ferma, sculettando un po’ davanti al portone. Giulia scende di corsa i quattro scalini per correre incontro ai suoi amici. Li abbraccia e li bacia, e li prende sottobraccio per accompagnarli in casa.

Tutti e tre ridono salendo le scale. Davanti alla porta socchiusa li aspetta la pipa di Edoardo, il compagno di Giulia: anche lui sorride, anche lui è contento di avere ospiti.
Entrano, e chiudono la porta sulla notte e sulla strada. 

Dall’ampia curva che scende verso la villa, i fari di un’altra auto feriscono la notte. Il rumore del motore si sente da molto lontano. Dentro all’auto ci sono un uomo e una donna; lui guida con la sua consueta sicurezza, lei tiene gli occhi fissi sulla notte. A lungo non ha potuto vedere nulla, fino al momento in cui l’auto passa vicino alla villa. Dalla finestra si intravede un salotto di pelle bianca, luci diffuse, un quadro d’avanguardia alle pareti. 
Sui divani siedono rilassate due coppie; gli uomini tengono il braccio sulle spalle delle loro donne, in un gesto di tenerezza e di possesso. Uno dei due ha in mano un bicchiere, l’altro cincischia una pipa. Le donne ridono. Lei pensa che devono proprio essere felici. Lo si vede dalle loro espressioni distese e dal lusso che li circonda. Lei pensa anche che là dentro è tutto perfetto, e sente una piccola stretta di invida nello stomaco. Ma non ne parla all’uomo, che continua a guidare inconsapevole. La finestra scivola via, risucchiata dal buio.

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