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Anna Beatrice
Ferorelli
Un abbraccio di pietra
Opera segnalata come
"meritevole di pubblicazione"
Anna
Beatrice Ferorelli è
nata nel 1976 ed è laureata in Economia e Commercio. Scrive articoli per il
mensile locale Ergo e sogna di poter fare la giornalista! Ma
per il momento è disoccupata e vive a Santeramo in Colle, scrive Non vorrei,
perché amo la mia terra, ma sto seriamente prendendo in
considerazione lidea di trasferirmi al nord.
Questo racconto è stato segnalato dalla giuria
dell'edizione 2004 con la seguente motivazione:
Di una intensità che reclama
spazi più ampi del racconto breve, tratta temi scottanti, senza cadere in facili luoghi
comuni e, imbastito su un io in difficoltà sfrutta uninteressante
struttura narrativa, basata sulla lista della felicità, per tessere una trama
coinvolgente che si svela in tutta la sua importanza solo a metà percorso. Nuovo e,
decisamente, piacevolmente non retorico, lo sguardo sui Sassi di Matera. Notabile anche
lattenzione al titolo".
* * *
Un tempo avevo una lista della felicità: mi ero
appuntata tutti i valori che dovevano essere in grado di rendere felici.
Ancora adolescente sbarrai il primo della lista,
la famiglia, perché avevo abbondantemente sperimentato che la felicità non si trovasse
là. La mia famiglia si riduceva a mio padre, ad uno zio e una nonna paterni. Mia madre
era morta partorendomi e non avevo altri parenti da parte di madre. Quando avevo ancora
cinque anni ci siamo trasferiti da Matera a Milano, dove già abitava mio zio che aveva
trovato un lavoro in ospedale per mio padre. Erano entrambi medici. In realtà la mia
famiglia si riduceva a molto meno.
Mia nonna, che abitava nella stessa casa con me e mio padre, era onnipresente nella sua
assenza, mio padre era troppo impegnato a far carriera e a saltare da un letto
allaltro delle sue numerose amanti e mio zio era troppo preso dal dimostrare che era
un medico migliore di mio padre.
Da nessuno ho mai ricevuto un gesto daffetto. Nella totale solitudine in cui sono
cresciuta capii che la famiglia era solo una facciata rispettabile dietro la quale ognuno
coltiva il proprio egoismo e che i figli sono per i genitori solo un peso, un monito
continuo ad un dovere di responsabilità che non vogliono assumersi. La famiglia era fuori
dalla lista.
Il secondo valore sul quale mi cimentai fu la
carriera. Mi iscrissi alla facoltà di medicina e iniziai con profitto gli studi. Sembrava
funzionare: il sacrificio fatto sui libri trovava un riconoscimento nei bei voti presi
agli esami e nella stima che mi guadagnavo tra amici e docenti.
Mi convincevo ogni giorno di più che sarei diventata un medico eccellente, avrei salvato
vite e girato il mondo. A un certo punto, però, lo studio cominciò a nausearmi e
lidea di affermarmi come medico non mi entusiasmava più. La mia vita era più arida
di un deserto e mi convinsi che avevo bisogno di emozioni per sentirmi viva. Anche la
carriera era fuori dalla lista.
Il terzo valore che dovevo testare era
lamore. Dovevo innamorarmi e lo feci. Mi legai a Simone, un ragazzo più grande di
me, un brillante studente di medicina prossimo alla laurea. Vivemmo insieme dei momenti di
gioia profonda. Facevamo grandi progetti: saremmo andati a vivere insieme, saremmo
diventati i migliori in campo professionale e avremmo guadagnato tanti soldi. Lunico
problema era il fatto che io non riuscivo più a studiare. Mi costringevo sui libri
perché dovevo laurearmi, diventare un medico. Dovevo tener fede agli obiettivi che ci
eravamo prefissati.
Fingevo di crederci a quei progetti perché sapevo che era lunico modo per tenermi
stretto Simone. Ma poi quella maschera divenne troppo pesante e cominciarono ad irritarmi
i suoi discorsi sulla necessità di essere impeccabili, sempre i migliori.
Non potevo fingere di essere ciò che non ero soltanto per compiacerlo. Nemmeno per amore
si può sopportare limmane sacrificio di rinunciare alla propria individualità.
Iniziai ad analizzare la mia vita e mi resi conto che essa, fino ad allora, era stata
sempre perfettamente impostata: il diploma, poi la carriera universitaria, mai un colpo si
testa. Niente.
Ero un robot, una macchina. Simone non era altro che una gemma in questo percorso
immacolato. Lui, perfetto, doveva essermi da stimolo ed esempio. Non ne potevo più.
Lamore non era poesia o passione, ma solo un gelido patto calcolato. Appena
abbandonai gli studi di medicina, Simone mi lasciò ed io dovetti eliminare anche
lamore dalla mia lista.
Nel periodo che seguì passavo giornate intere
senza far nulla, facevo interminabili passeggiate, durante le quali speravo di sentire,
nel silenzio, affiorare la mia indole, scoprire ciò che volevo fare della mia vita. Un
giorno mi imbattei in una mostra di pittura e conobbi Isaac, un pittore inglese che mi
rapì con il suo strano italiano e i suoi discorsi sullarte. I suoi quadri erano
macchie di colore, senza contorni, senza confini. Imprecisi, fuggevoli, irregolari. Quei
dipinti erano imperfetti, senza regole, come la vita. Isaac divenne la mia ossessione. Non
riuscivo a non pensarci. Era più forte di me, più forte della mia volontà, più forte
di tutti i tentativi con cui, a volte, cercavo di rinsavire e tornare alla mia vita
normale.
Lasciai tutta la mia vita impostata e ordinata e partii con lui, gettandomi a pieno in una
vita raminga e bohemien. Girammo varie capitali europee. Lui dipingeva e curava i miei
tentativi di pittura che incoraggiava strenuamente, convinto, più di quanto lo fossi io,
del mio talento. Esprimere la mia creatività mi appagava e mi chiedevo come avessi fatto
a vivere tanto a lungo senza una forma darte che mi sollevasse sulle brutture del
mondo.
Una sera trovai Isaac a letto con
unaltra e lui, per nulla preoccupato, tentò di spiegarmi che lui mi amava, che
quello era solo sesso, non amore. Non capivo la differenza, ma capivo che mi ero
innamorata di lui perché era uno fuori dagli schemi e, stare con lui, doveva significare
accettarne a pieno la diversità, anche quando si trattava di accettare unaltra
donna nel nostro letto.
Ma non ne ero capace. Io lo volevo tutto per me e volevo che lui non desiderasse che me.
Era questa la mia idea damore, assoluto ed esclusivo. Tornai a casa. Continuai per
qualche mese a dipingere e a dedicarmi a letture sullarte, convinta di poter
ricominciare una nuova vita realizzandomi artisticamente, ma ben presto trovai le mie
pulsioni artistiche sterili ed inconcludenti perché prive di ispirazione, prive di quel
fuoco sacro in grado di accenderle. Isaac era stata unesperienza fondamentale. Lui
era stato il mio ponte. Il ponte dal quale avevo fatto la mia caduta libera nel vuoto,
lasciandomi alle spalle una vita fatta di regole, tempi e doveri da rispettare. Quel volo
mi aveva fatto capire che nella vita ogni tentativo verso lordine e la giustizia è
vano perché luomo non è che una creatura imperfetta. In ogni caso anche
larte era fuori dalla lista.
Da allora iniziò il periodo più buio della mia
vita. Nella lista non cerano altri valori da testare e quelli presenti erano stati
tutti miserevolmente eliminati. Non cera nessuna altra strada da tentare. La
famiglia, la carriera, lamore impostato, lamore senza regole, larte:
niente aveva retto. Iniziai a pensare che ero io a non funzionare.
Non ero abbastanza determinata e in grado di sacrificarmi per ottenere un posto
rispettabile nel mondo, né sufficientemente irriverente e coraggiosa per guadagnarne uno
ai margini. Insomma non sapevo vivere né integrata al sistema, né ai suoi bordi. Ero un
fallimento, un abbozzo di persona, una nullità. Niente al mondo mi interessava. Ero un
vegetale, un fantasma.
A ventisei anni la mia vita poteva ritenersi conclusa e mi ero rassegnata a vivere un
esistenza insignificante e asettica. Non cercavo più la felicità né il senso delle cose
perché sapevo che né luna né laltro esistevano.
Eppure proprio quando smisi di cercarli, furono
loro che vennero a cercare me seguendo un percorso doloroso e catartico che ha cambiato la
mia vita per sempre. Il giorno del mio ventisettesimo compleanno ricevetti per posta un
pacco mandato da Matera, il luogo in cui ero nata. Lo apri e vi trovai una lettera che, in
poche righe, ha sconvolto tutta la mia esistenza.
Figlia mia, se adesso stai
leggendo questa lettera, vuol dire che la persona alla quale ho chiesto di custodire
questo terribile segreto ha mantenuto la promessa di inviarti questa lettera il giorno in
cui avresti compiuto ventisette anni, letà che ho io oggi, e che spero ti abbia fatto maturare esperienze
sufficienti per capire il mio gesto. Cuore mio, tu sei nata appena cinque giorni fa,
regalandomi la felicità più grande che io abbia mai provato.
Nel momento in cui ti ho abbracciato ho provato una tenerezza infinita e tutta la mia vita
ha avuto un senso. Quanto avrei voluto continuare ad amarti, vederti crescere! Ma non è
stato così. Dopo cinque giorni trascorsi in ospedale, potevo uscire e, senza aspettare
che tuo padre mi venisse a prendere, ho pensato di fargli una sorpresa.
Degli amici mi hanno accompagnata a
casa. Ci sono entrata e ho visto un bambino di circa otto-nove anni seduto sul divano di
casa a giocare. Gli ho chiesto chi fosse, senza ottenere alcuna risposta. Intanto, sentivo
delle voci provenire dal piano di sopra, ci salgo, apro la porta della camera da letto e
davanti ai miei occhi si spalanca linferno: tuo padre a letto con unaltra
donna.
Non so ancora come mi sia ritrovata tra le mani la pistola che tuo padre custodiva in un
cassetto. So solo che non volevo uccidere nessuno e, invece, è partito un colpo che ha
ucciso quella donna, lamante di tuo padre. Tu eri finita in braccio a tuo padre, il
figlio di quella donna piangeva disperato sul corpo della madre ed io sono fuggita.
Adesso mi ritrovo davanti alla porta della mia unica amica a consegnarli questa lettera
che spero un giorno tu possa leggere. Per sapere che non ti ho abbandonata, mia dolce
Cristina, ma che ho semplicemente perso il diritto di cittadinanza in questo mondo perché
ho ucciso una donna. Non posso più vivere. Non ne sono degna. Lascerò questa lettera e
andrò allarco di San Pietro Caveoso per buttarmici dentro, per morire perché solo
così potrò togliermi dagli occhi limmagine di quel bambino che piange sua madre.
Non ti chiedo di perdonarmi perché non cè alcun perdono per ciò che ho fatto.
Voglio soltanto che tu sappia che tua madre ti ha desiderato e amato tanto e che, chi ti
scrive oggi, non è più tua madre, bensì un mostro che merita solo di morire.
Dopo aver letto questa lettera, ho costretto mio
padre a parlare e ho scoperto che le cose erano andate effettivamente così. Mia madre si
era suicidata e mio padre si era trasferito altrove per fare in modo che io potessi
crescere dove nessuno potesse ricordarmi chi fossi.
Partii per Matera e, prima ancora di trovare la
donna che mi aveva mandato quel pacco, mi feci indicare quel luogo, San Pietro Caveoso, e
ci andai mentre ormai si stava facendo buio. Quando mi ritrovai davanti quello scenario,
non potevo credere ai miei occhi. Non avevo mai visto niente di simile. Una roccia enorme
e maestosa si alzava davanti a me schiacciandomi con la sua incredibile possanza. La prima
sensazione che ebbi fu di paura. Sotto il muretto sul quale ero affacciata cera un
dirupo infondo al quale si sentiva il rantolio di un corso dacqua.
Di fronte avevo quella roccia potente e dietro di me una collina di sasso dalla quale si
erano ricavate delle case che scendevano da cima a valle come in un presepe incantato.
Rimasi senza fiato, annichilita, completamente sopraffatta dalla bellezza di quel
paesaggio rude e forte, da quellodore di umidità che mi entrava nelle narici e
sembrava purificarmi, regalarmi nuova vita. Nel grigiore della pietra si aprivano delle
caverne che sembravano delle bocche aperte in un urlo pietrificato. Quella roccia nella
sua mole e nella sua apparente immobilità, mi si prostrava docile e mi mostrava il suo
cuore.
Mi sentii abbracciare. In un lungo, dolce, struggente abbraccio di pietra. Un caldo
abbraccio di pietra, nel quale sentivo le braccia di mia madre cingermi amorevolmente. La
voragine che si apriva davanti a me e che, sembrava risucchiarmi, mi appariva sempre più
come una terra lacerata, come un ventre sventrato, come una donna alla quale era stato
strappato il feto. Ero io quel feto, ero io il lembo di terra strappato.
Mi ero finalmente ricongiunta con tutto ciò da cui ero stata separata. Il corpo di mia
madre non era mai stato ritrovato. Lei era lì, in ogni pietra, ed io potevo sentirla. In
quel luogo, incredibilmente suggestivo, la mia anima si placava e io mi sentivo, per la
prima volta in vita mia, a casa. Avevo vissuto i miei primi cinque anni in quella terra e
adesso mi sembrava di riconoscerne i profumi, i colori, quella pietra che era viva e che
mi stringeva in una morsa nella quale mi sentivo avvolta e protetta. Era il luogo in cui
ero nata, era la mia terra.
Non ottenni molte notizie in più di quelle che
già avevo, interrogando la donna che mi aveva mandato quel pacco. Nonostante in paese
tutti sapevano chi fossi, nessuno voleva parlarne. Presi una stanza in albergo e passavo
ore e ore davanti a quel precipizio. Durante una di quelle interminabili contemplazioni,
non mi accorsi che si era fatto ormai notte. Allimprovviso mi sentii afferrare alle
spalle e stordire da qualche oggetto. Al mio risveglio mi ritrovai legata ad una sedia e
imbavagliata al punto da non poter proferire nemmeno un mugugno. Mi trovavo in una stanza
vuota e asfittica con le pareti scrostate.
Sentii la voce di un uomo dietro le spalle, senza che potessi vederlo. Iniziò a parlarmi
con una voce calda, eterea quasi ultraterrena. Se non ci fosse stato nessuno in quella
stanza avrei pensato che fosse stato Dio a parlarmi. Mi disse E arrivato il
momento di pagare per tutto il male che mi hai fatto. Quelluomo mi minacciava
di morte ed io non ero affatto spaventata.
Non ebbi paura nemmeno quando sentii poggiarmi una pistola sulla fronte. Non lo vedevo, ma
sentivo la sua mano iniziare a tremare e la pistola muoversi incerta sulla mia testa. Poi
andò via sbattendo la porta. Rimasi là per ore a chiedermi chi potesse desiderare la mia
morte, chi fosse quelluomo. Poi mi addormentai. Al mio risveglio aprii gli occhi e
vidi davanti a me un uomo accovacciato sul pavimento con la testa fra le mani. Alzò il
volto e scorsi il viso più bello che avessi mai visto, gli occhi più intensi che avessi
mai potuto immaginare, i tratti del volto spigolosi e perfetti. Mi guardò con
unintensità che non so descrivere. Rimanemmo così immobili uno di fronte
allaltro con gli occhi fissi uno nellaltro.
A un certo punto credo che intuì dal mio sguardo che non avrei gridato, se mi avesse
tolto la benda dalla bocca e me la tolse.
Anche se potevo parlare non parlai, rimasi nel silenzio più assoluto a guardarlo. Poi
dissi Tu sei il figlio della donna che mia madre ha ucciso. Rimanemmo ancora
in silenzio. Poi lui si alzò, mi slegò le mani e tornò a sedersi di fronte a me. Poi
ancora il silenzio più totale. Si prese ancora il volto tra le mani, poi mi guardò
ancora e disse.Ho creduto per tutti questi anni che nel momento in cui ti avrei
uccisa, questo dolore che mi rode dentro e che mi divora sarebbe cessato, e avrei
finalmente potuto cominciare a vivere. Ho meditato per anni la vendetta e, invece, sono
qui che non riesco a provare odio per te...
Mi alzai, allontanai la sedia dietro le mie spalle, mi sedetti per terra di fronte a lui.
Ci guardammo ancora e scoppiamo in un pianto che durò ore, in cui espiammo tutto il
nostro dolore. Poi presi ad asciugarli le lacrime con la mia bocca, baciandolo su quel
viso dolcissimo, seguivo con le mie dita tremolanti il suo profilo, i suoi zigomi serrati
un unespressione di rabbia e incredulità. Ci baciammo e facemmo lamore con
unintensità estrema, mai provata prima. Ci respiravamo, ci annaspavamo, tra le
lacrime, il dolore e il piacere. Ci rubammo
lanima.
Quella notte capii cosa fosse lamore. Lamore è la necessità profonda,
angosciante e vitale di unaltra persona. Essere una cosa sola, un solo corpo, una
sola anima, un solo respiro. Lamore è un sentimento che si alimenta della sua
stessa disperazione, della terribile consapevolezza che, senza lessere che amiamo,
saremmo irrimediabilmente persi.
Quello era il mio posto e quello era il mio uomo.
Adesso tutto era giustificato, tutto aveva un senso. Mia madre mi aveva portato nella mia
terra, dalla quale oggi non riesco più ad allontanarmi, nemmeno per pochi giorni. Mi
aveva portato da Matteo, per il quale provo un amore infinito, totale, assoluto e con il
quale sto vivendo una felicità immensa, profonda, perfetta.
Da qualche parte ho letto che gli uomini sono angeli con ala sola e che, pertanto, possono
volare solo se abbracciati. Matteo era lala che mi mancava ed io la sua. |