Fascismo e ceti medi

Renzo De Felice


A costo di qualche inevitabile schematizzazione, cercheremo di riassumere gli elementi che, a nostro avviso, si debbono tenere presenti per comprendere storicamente il fenomeno fascista.

Il primo di questi elementi è di tipo geografico-cronologico: il fascismo è stato un fenomeno europeo che si è sviluppato nell'arco di tempo racchiuso dalle due guerre mondiali. Precondizioni, radici indubbiamente preesistevano alla prima guerra mondiale, sotto un profilo sia morale sia sociale. Esse erano però strettamente legate alla situazione culturale ed economica dell'Europa (e soprattutto di alcuni suoi paesi). Ogni confronto con situazioni extraeuropee, anche successive, anche attuali, è impossibile data la radicale differenza dei contesti storici (nel senso più estensivo del termine). Queste precondizioni e radici erano però «marginali» e nulla autorizza a pensare che si sarebbero sviluppate senza la crisi traumatica determinata, direttamente e indirettamente, dalla prima guerra mondiale e dalle sue conseguenze, immediate e a più lunga scadenza (grande crisi del 1929). La crisi determinata dalla guerra fu la sola e vera causa del loro erompere e del loro estendersi a gruppi sociali che ne erano stati sino allora immuni e diede ad esse la forza o l'esasperazione di nuovi contenuti aggiuntivi, sia morali e politico-morali, sia economico-sociali. Sicché nel dopoguerra la crisi divenne attiva e generale e investì, sia pure con manifestazioni diverse, tutto l'assetto della società, in tutte le sue stratificazioni e in tutti i loro rispettivi valori. Ma, detto questo, bisogna subito mettere in guardia dal trarre da questa constatazione conclusioni troppo estensive. La crisi ebbe nei vari paesi manifestazioni e dimensioni diverse, connesse sia alle peculiari situazioni (attuali e storielle) di essi, sia alla capacità, alle colpe e agli errori — per dirla con Chabod — degli uomini d'allora, delle classi dirigenti tradizionali ma anche dei partiti politici che affondavano le loro radici e traevano le loro forze in classi e ceti sociali diversi da quelli che esprimevano le classi dirigenti, si rifacevano ad altre tradizioni e auspicavano diversi sbocchi della crisi. Lo sbocco fascista o autoritario che la crisi ebbe in alcuni paesi non fu affatto inevitabile, non corrispose affatto ad una necessità. Fu la conseguenza di una molteplicità di fattori, tutti razionali e tutti evitabili, di incomprensioni, di errori, di imprevidenze, di illusioni, di paure, di stanchezza e — solo per una minoranza — di determinazione, molto spesso per niente consapevole per altro degli sbocchi che effettivamente la propria azione avrebbe avuto. 

Il secondo elemento che si deve tenere presente per comprendere storicamente il fenomeno fascista è quello relativo alla sua base sociale. Chi, come Croce, ha sostenuto che il fascismo non è stato espressione di una determinata classe sociale ma ha trovato sostenitori ed avversari in tutte le classi ha pienamente ragione. Anche più ragione ha però chi, come Fromm, ha osservato che, mentre nella classe operaia e nella borghesia liberale e cattolica è, in genere, prevalso verso il fascismo un atteggiamento negativo o rassegnato, il fascismo ha trovato i suoi più ardenti fautori nella piccola borghesia. Il rapporto fascismo-piccola borghesia e, più in genere, fascismo-ceti medi è infatti uno dei nodi essenziali del problema storico del fascismo, certamente per il momento dell'affermazione del fascismo stesso, ma, anche, per quello successivo. Non a caso ad esso è stato riservato ampio spazio, sia nella pubblicistica politica di qualsiasi orientamento e tendenza, sia nella letteratura storica e sociologica sul fascismo. Riassumendo al massimo, l'analisi di coloro che hanno posto l'accento su questo rapporto può essere così sintetizzata: 

1) dopo la prima guerra mondiale in vari paesi europei, sia vincitori sia vinti, i ceti medi entrarono in un periodo di grave e in alcuni casi (come l'Italia e la Germania) di gravissima crisi; le cause di questa crisi erano in parte anteriori alla guerra, connesse cioè all'ormai avviato processo di trasformazione e di incipiente massificazione della società; in parte derivavano direttamente dalla guerra e dall'accelerazione del processo di trasformazione sociale in genere e della mobilità sociale (verticale soprattutto) in particolare provocata dalla guerra; in parte ancora esse erano la conseguenza dell'innesto su queste cause di altre, derivanti prima dalla crisi economico-sociale dell'immediato dopoguerra e successivamente dalla «grande crisi» del 1929; 

2) sul piano economico-sociale, questa crisi dei ceti medi si manifestò in forme e misure parzialmente diverse a secondo si trattasse dei ceti medi tradizionali (agricoltori, commercianti, professionisti, piccoli imprenditori) che disponevano di una certa autonomia personale e costituivano una entità sociale abbastanza omogenea ed integrata, o di quelli di promozione più recente (impiegati, addetti al commercio, intellettuali salariati) che, invece, erano pressoché privi di autonomia personale e, in genere, erano assai scarsamente integrati; senza entrare in troppi particolari, si può dire però che tutti i ceti medi si trovavano a dover affrontare una società in rapida trasformazione e caratterizzata dall'affermazione crescente del proletariato e della grande borghesia e a doverla affrontare nelle condizioni economiche più svantaggiate (sì pensi all'inflazione, al carovita, alla falcidia dei redditi fissi, ai blocchi dei fitti, ecc.), nella maggioranza dei casi senza adeguati strumenti di difesa sindacale e in una situazione di progressiva perdita di status economico e sociale; 

3) sul piano psicologico-politico, questa crisi dei ceti medi si manifestava in uno stato di frustrazione sociale che si traduceva assai spesso in una profonda irrequietezza, in un confuso desiderio di rivincita e in una sorda contestazione (che spesso assumeva toni eversivi e rivoluzionari) della società della quale essi si sentivano le maggiori se non le uniche vittime e che, spesso, avevano invece creduto che la guerra avrebbe dovuto finalmente aprire alla loro egemonia «democratica» e morale; in un primo momento questo stato di frustrazione avrebbe potuto essere sfruttato ed indirizzato dal movimento socialista per stabilire un'effettiva alleanza con una parte almeno dei ceti medi; gli errori dei partiti operai e la paura del bolscevismo fecero però imboccare a gran parte dei ceti medi la strada del fascismo, da essi inteso come un movimento rivoluzionario proprio, volto ad affermarli socialmente e politicamente sia contro il proletariato sia contro la grande borghesia; 

4) in questo senso, per alcuni autori, il fascismo sarebbe stato il tentativo di dare politicamente vita ad una terza forza che si opponesse sia alla democrazia parlamentare dei paesi capitalistici sia al comunismo e che aveva il suo motore principale nei ceti medi in funzione di una loro affermazione in quanto autonoma realtà sociale; né il fatto che il fascismo rivolse i suoi colpi soprattutto contro il proletariato infirmerebbe questa interpretazione: sui tempi brevi, l'offensiva antiproletaria si spiegherebbe col fatto che sul momento i ceti medi si sarebbero sentiti socialmente e politicamente più minacciati dal proletariato che dalla grande borghesia e avrebbero quindi trovato un modus vivendi provvisorio con questa contro quello; sui tempi lunghi, poi, la tendenza di fondo riemergerebbe nella politica economica del fascismo italiano e tedesco che — pur senza rivoluzionare l'assetto sociale privatistico — tendevano a stabilire il proprio controllo sull'economia, ad espandere l'iniziativa pubblica e a trasferire la direzione economica dai capitalisti e dagli imprenditori privati agli alti funzionari dello Stato. 

Se le si vuoi dare — come qualcuno pretende — il valore di una interpretazione complessiva del fenomeno fascista, questa analisi del rapporto ceti medi-fascismo è, a nostro avviso, troppo unilaterale e, quindi, inaccettabile. Come tutte le altre interpretazioni prospettate per spiegare il fascismo, essa sottovaluta infatti importanti aspetti della realtà fascista e ne trascura altri. [...] 

Detto questo, dobbiamo per altro dire che, per comprendere storicamente i veri fascismi e in particolare quello italiano e quello tedesco (tra i quali, tuttavia, esistevano differenze notevoli, attribuibili ad almeno tre cause: i differenti caratteri dei due popoli, il fatto che nel nazionalsocialismo l'ideologia del Volk ebbe un ruolo, un fondamento e una tradizione tanto radicali quali nessuna altra componente delle altre ideologie fasciste ebbe neppure lontanamente e, infine, il diverso grado di totalitarizzazione della vita nazionale realizzato dai due regimi) e per distinguerli da altri movimenti, partiti o regimi che fascisti furono solo superficialmente o non lo furono per niente, per cogliere cioè quel famoso minimo comune denominatore di cui parlavamo all'inizio, il rapporto ceti medi-fascismo è a nostro avviso da tenere sempre ben presente. In caso contrario si perde la possibilità di cogliere la novità e la differenza (non solo tecnologiche e di intensità) del fascismo rispetto ai vari movimenti e regimi conservatori e autoritari che lo precedettero, lo accompagnarono e lo hanno seguito e, ancora, ci si lascia sfuggire la possibilità di comprendere la vera origine, i caratteri e i limiti del consenso che per anni il fascismo seppe realizzare sia in Italia sia in Germania attorno a sé in vasti settori dei due paesi e che sarebbe troppo semplicistico ed errato spiegare solo con il regime di polizia, il terrore, il monopolio della propaganda di massa. Si perde cioè la possibilità di capire i due aspetti forse più caratterizzanti il fascismo. I regimi conservatori e autoritari classici hanno sempre teso a demobilitare le masse e ad escluderle dalla partecipazione attiva alla vita politica offrendo loro dei valori e un modello sociale già sperimentati nel passato e ai quali viene attribuita la capacità di impedire gli inconvenienti e gli errori di qualche recente parentesi rivoluzionaria. Al contrario, il fascismo ha sempre teso (e da ciò ha tratto a lungo la sua forza) a creare nelle masse la sensazione di essere sempre mobilitate, di avere un rapporto diretto col capo (tale perché capace di farsi interprete e traduttore in atto delle loro aspirazioni) e di partecipare e contribuire non ad una mera restaurazione di un ordine sociale di cui sentivano tutti i limiti e l'inadeguatezza storica, bensì ad una rivoluzione dalla quale sarebbe gradualmente nato un nuovo ordine sociale migliore e più giusto di quello preesistente. Da qui il consenso goduto dal fascismo. Un consenso che, per altro, può essere veramente capito e valutato solo se si mettono in luce i valori (morali e culturali) che lo alimentavano e l'ordine sociale ipotizzato che lo sosteneva: gli uni e l'altro tipici dei ceti medi e di quei limitati settori del resto della società sui quali l'egemonia culturale dei ceti medi riusciva in qualche misura ad operare. Un consenso, dunque, vasto ma non vastissimo, facile ad infrangersi sulle secche di una troppo prolungata stasi del progresso sociale e che — in mancanza di questo — poteva essere alimentato solo con il ricorso a succedanei irrazionali e proiettati al di fuori della società nazionale, quali, in Germania, il mito della superiorità della razza ariana e, in Italia, quello dei diritti della nazione «proletaria» e «giovane» da far valere contro le nazioni «plutocratiche» e ormai «vecchie»: non a caso, tutti e due miti tipicamente piccolo-borghesi. [...] 

Da quanto abbiamo detto risulta implicitamente l'insostenibilità della tesi di coloro che hanno voluto vedere nel fascismo un momento, spesso il momento culminante, della reazione capitalistica e antiproletaria e, addirittura, ne hanno parlato come di uno sbocco inevitabile del capitalismo giunto alla fase della sua senescenza. Che nel fascismo si debba vedere una manifestazione della lotta di classe e non solo di quella «bilaterale» della piccola borghesia ma anche di quella della borghesia capitalistica non saremo certo noi a contestarlo. Il problema è quello di non ridurre tutto ad essa e non pretendere di spiegare tout court il fascismo in questa chiave. E ciò per almeno tre motivi. Il primo perché, come si è visto, l'elemento caratterizzante il fascismo e che ne permise il rafforzamento furono i ceti medi e, quindi, bisognerebbe prima dare una convincente spiegazione di come, nonostante il sovversivismo, il rivoluzionarismo, l'anticapitalismo di essi, la borghesia capitalistica riuscisse ad egemonizzarli sin dall'inizio. Il secondo perché — come ha riconosciuto persino un trotzkista come Guérin — la borghesia capitalistica non ebbe verso il fascismo un atteggiamento univoco. Quella che, secondo Guérin, sarebbe ricorsa alla soluzione fascista per stornare la minaccia rivoluzionaria e riconquistare le posizioni perdute con la crisi sarebbe stata l'ala costituita dai «magnati dell'industria pesante (metallurgica e mineraria) e dai banchieri che avevano interessi nell'industria pesante»; mentre l'ala costituita dall'«industria leggera o industria di trasformazione» avrebbe assunto un atteggiamento «di riserva e talvolta persino di ostilità» nei confronti del fascismo, non ne avrebbe desiderato affatto il trionfo, non sarebbe stata aliena dal trovare un modus vivendi con i propri dipendenti e — incapace di sbarrare la strada al fascismo — sarebbe stata solo alla fine indotta «dalla solidarietà di classe ad accantonare ogni diversità di interessi» e si sarebbe «rassegnata» al successo fascista. [...] Il terzo perché, andando oltre questa distinzione tra settori, in realtà nulla può dimostrare che il vero interesse di fondo del capitalismo fosse quello di portare al potere il fascismo, una forza ambigua, potenzialmente se non sostanzialmente estranea al capitalismo stesso e che anche egemonizzata, nascondeva rischi notevoli e — come i fatti dimostrarono (in Germania soprattutto ma anche in Italia) — perseguiva obiettivi che sarebbero diventati via via sempre più divergenti da quelli naturali del capitalismo. 



Renzo De Felice, II fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Bari, Laterza, 1970.

 


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