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C. Curcio

 

"Nazionalismo"

[dal Dizionario di Politica del PNF]

(1940)

 


 

DIZIONARIO DI POLITICA. A cura del Partito Nazionale Fascista, Vol. III, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1940, pp. 241-246.

 

NAZIONALISMO.

 

SOMMARIO: 1. Il nazionalismo come valore politico. - 2. I nazionalismi contemporanei. - 3. Le teorie nazionaliste. – 4. Il nazionalismo italiano.

I. IL NAZIONALISMO COME VALORE POLITICO. - Nella sua accezione più comune e immediata, il nazionalismo è caratterizzato dalla tendenza sempre più accentuata di considerare politicamente ed economicamente lo stato come un’unità esclusiva, chiusa in sé, circoscritta. Sotto tale profilo esso è un fenomeno contemporaneo, anche se nel mondo antico, sia pure per ragioni non del tutto simili (come, ad es., in Palestina), qualche aspetto del genere non sia stato ignorato. I motivi, le cause che lo hanno originato sono molteplici. Solo indirettamente esso potrebbe farsi derivare dal movimento nazionalitario del secolo scorso, giacché, se è vero che il sentimento e l’idea di nazione sviluppatisi nell’Ottocento (sia pure con diversi indirizzi e con diversi atteggiamenti) hanno potuto influire in qualche modo sulla formazione di una coscienza nazionale, altro contenuto, altri aspetti, altra sostanza rivela il fenomeno nazionalistico odierno, che solo in qualche settore riverbera l’ideologia nazionalitaria, da cui tuttavia, in sostanza, si distacca nel complesso abbastanza nettamente. Il naziona­lismo contemporaneo, infine, dietro la spinta di complessi fattori sociali, economici e politici in gran parte scaturiti dalla grande guerra, si presenta in generale come una manifestazione statuale; sono, cioè, i singoli stati, indipendentemente dalla loro struttura nazionale o nazionalitaria, a porsi come entità il più possibile autonome, per scopi di difesa o di offesa, di conservazione o di miglioramento, contro gli altri. La lotta economica scatenatasi negli ultimi decenni, la psicosi bellica che la guerra mondiale acuì e non attenuò, la pressione esercitata dai gruppi economici coalizzati sempre più omogeneamente entro i singoli paesi, provocarono dovunque la frattura tra stato e stato. Sotto tale aspetto il nazionalismo si rivela, in gene­rale, come un fenomeno indipendente altresì dalle ideologie politiche: se l’impulso nazionalitario del secolo scorso fu in rapporto, spesso, a particolari ideologie politiche (democrazia e liberalismo), i nazionalismi odierni, tranne in ciò che concerne il loro modo di effettuarsi e di praticarsi, possono coesistere con i più svariati indirizzi politici dei singoli stati. La democratica Francia, la liberale Inghilterra, la Russia socialista realizzano, al pari di altri stati, un loro nazionalismo più o meno simile, in economia ed in politica. Tranne alcune eccezioni, il fenomeno può anche rivelare un particolarismo, che, al par dell’individualismo, contrasterebbe con le esigenze uni­versali dello spirito. Come l’individualismo (e individualismo puo dirsi di quel più grande individuo che è lo stato) non assurge ad una valutazione veramente universale della vita, il nazionalismo odierno, nella maggior parte dei casi, è ispirato da presupposti materialistici, edonistici, empirici. In questo senso esso può persino non essere opposto all’internazionalismo, che ha le sue radici in una concezione altresì materialistica della vita e del mondo. Esso però si oppone alla naturale, logica tendenza universalistica della civiltà, della cultura, delle forme superiori dello spirito.

Il contrasto, in apparenza ineliminabile, tuttavia trova la sua soluzione in un diverso modo di considerare ed attuare il nazionalismo: non più come assoluta e sola coincidenza di natura e nazione, di stato ed interessi economici, di frontiere e interessi politici; ma come intrinseca vitalità espansiva di una civilta, come dinamica (e perciò contenente motivi universali) capacità diffusiva di una razza fortemente cosciente della propria universalità. Il nazionalismo, in questo caso, diventa termine simile a imperialismo; ma non identico, nel senso che ne costituisce uno degli elementi, quasi anzi la molla, quando l’imperialismo venga altresì inteso come una superiore, sublime espansione morale e politica di una civiltà (v. IMPERIALISMO). In questo secondo modo, infine, il nazionalismo non è solo affermazione, difesa, limite, diritto delle nazioni; ma è soprattutto esaltazione, coscienza attiva, dovere delle nazioni nella storia e nella civiltà.

2. I NAZIONALISMI CONTEMPORANEI. - Tre modi, dunque, d’intendere e d’essere del nazionalismo: uno, di schietta derivazione democratica, e per cui ogni popolo avente una stessa lingua, una stessa tradizione, una stessa cultura, una stessa volontà presunta od espressa, in quanto costituisce una nazione, deve organizzarsi in stato auto­nomo ed indipendente o far parte dello stato che comprende il ceppo nazionalitario avente gli stessi caratteri, la stessa cultura, la stessa lingua; un secondo modo, tipico del nostro tempo, e che consiste per ogni stato nell’attuare una politica esclusivista, specie sul terreno economico, allo scopo di garantirsi un’autonomia completa nel quadro della vita internazionale e nell’agone della lotta eco­nomica mondiale; un terzo modo, infine, che consiste nel considerare la nazione come volontà di potenza, come centro creatore e dinamico di civiltà e di ordine morale universali. Talvolta alcuni di cotesti modi con i quali il nazionalismo si intende e si attua possono coesistere insieme, anche sulla base di dottrine che i tre accennati modi comprendono e riassumono.

La prima forma di nazionalismo scaturisce o da premesse etnico-naturalistiche o da teorie associazionistico-volontarie, onde il nazionalismo tende all’instaurazione di una situazione giuridica nuova (distacco di popolazioni da stati plurinazionali con conseguente proclamazione di stato nazionale). Si tratta, cioè, di un fenomeno che, sulla base del diritto di nazionalità, ha contenuto prevalentemente metagiuridico, giacché mira alla modificazione sostanziale dei rapporti giuridici tra i popoli. È noto che tale ideología ha dominato, sulla base di principi democratici e liberali, prevalentemente nel secolo scorso; ed è noto altresì che il trattato di Versaglia ha tentato rifare la carta d’Europa sulla scorta proprio del principio nazionalitario. Tuttavia, nonostante la decomposizione del mosaico nazionalitario austro-ungarico, i problemi cui ha dato luogo quel trattato, dal punto di vista dell’assetto delle nazionalità, non sono stati ancora risoluti ed hanno dato luogo a numerosi irredentismi. Specie nell’Europa centrale, le frontiere hanno diviso popoli, talvolta famiglie, causando perturbamenti le cui ripercussioni sulla vita internazionale sono state assai gravi. L’esperienza cecoslovacca, conclusasi con la disintegrazione delle varie nazionalità componenti quello stato, è essa soltanto ammonitrice. Anche negli stati baltici tensioni di carattere nazionalitario non sono rare. Persino nell’U.R.S.S., dove si è tentato risolvere federalisticamente il problema della nazionalità, si notano sviluppi di una tendenza autonomistica di alcune popolazioni abbastanza omogenee (Ucraina). In tal modo, il principio di nazionalità giuoca ancora oggi una parte notevole nella lotta politica europea. Probabilmente è anche da presumere che, nonostante gli errori di quel trattato, una perfetta adeguazione di nazionalità e stato non potrà ottenersi facilmente, poiché i limiti politici anche agli effetti militari di uno stato non possono coincidere sempre con i limiti nazionalitari.

Analogamente a questa intolleranza di popoli che non sono, per la loro natura o volonta, dell’istesso ceppo di quelli che costituiscono gli stati che indudono nelle loro frontiere i primi (onde le aspirazioni ed i movimenti nazionalistici di questi possono anche apparire giustificati), si sviluppa con una certa rapidità un movimento di popoli di altri continenti soggetti a stati dominatori. E il caso, ad esempio, dell’Egitto, dove Il nazionalismo ha assunto fisionomia antibritannica rivendicando al popolo egiziano il diritto di governarsi da sé. Spiccate forme di nazionalismo si notano altresì nel mondo arabo, specie nella Palestina. La Turchia ha già attuato un regime di indipendenza política proprio in nome del nazionalismo. Persino i paesi già sotto mandato delle potenze europee oltre la Palestina (Siria, Irak) banno manifestato aspirazioni nazionalistiche. Nello stesso sistema dell’Impero britannico parecchi Dominions avanzano pretese di accentuata indipendenza. In America l’insofferenza di alcuni stati del sud nei riguardi dell’ingerenza del nord o nei riguardi di stati confinanti e predominanti appare di tratto in tratto palese, quando non sussistano competizioni, tra quegli stessi stati, relative alle rispettive frontiere (attrito tra Paraguay e Bolivia per il Chaco). Infine l’insofferenza di popoli dell’Asia per il dominio di potenze europee o per le inframmettenze economiche di popoli bianchi assume talvolta carattere di rivolta (nazionalismo indiano) con manifestazioni tipiche di ribellione (xenofobia).

Diverso il nazionalismo, specie economico, degli stati nella loro condotta generale di vita e di lotta per la conquista e per la difesa dei mercati. Si e già accennato come un tale atteggia­mento in parte derivi dalla guerra mondiale, che ha non solo acuito talune tensioni tra stati e stati, ma altresì ammonito i popoli a premunirsi per salvaguardare le esigenze di difesa e di vita che le non impossibili guerre future potranno porre più crudamente ancora, per ciò attuando sin d’ora forme di politica economica autonoma (v. AUTARCHIA). Tuttavia, il fenomeno dipende anche da altre cause. Innanzi tutto dalla prevalente catastrofe che nei popoli si e verificata dell’idea di unità, di ordine, di gerarchia. Lo spirito moderno è ancora dominato dal razionalismo e dall’indipendentismo scaturito dalla Riforma. L’ individualismo è divenuto dottrina non solo di vita dei singoli ma delle collettività. L’atomismo politico-economico che ha caratterizzato all’interno la vita dei popoli nel seco XIX, minaccia oggi di caratterizzare nei rapporti esterni la vita internazionale. Frantumato il sistema unitario continentale. che l’impero aveva costituito, l’Europa si è a poco a poco spezzettata in tanti settori, grandi o piccoli, ognuno dei quali ha la pretesa di agire per suo conto. ll particolarismo nazionale, in questo caso, come l’individualismo nell’organizzazione statuale, minaccia non solo l’ordine intemazionale, ma altresì l’esistenza stessa dei singoli popoli.

Ma un’altra causa, dipendente da questa che si è ora accennata, sta alla base dell’odierno antagonismo delle nazioni. Il liberismo, col dare luogo alla libera concorrenza ed al grande capitalismo, ha provocato il conflitto economico tra i vari popoli. Esso ha permesso, cioè, alle forze economiche dei paesi più ricchi di dilatarsi oltre i confini, di diventare strumenti di conquista non solo di mercati, ma, quel che più conta, dei gangli essenziali dell’esistenza di nazioni meno ricche. L’internazionalizzazione progressiva del capitalismo ha prodotto la reazione. Ciascuna nazione tenta di difendersi e di reagire. La lotta economica, in tal modo, si è acuita talvolta sino allo spasimo. Ripiegato talvolta entro i confini nazionali, il capitalismo ha accentuato il conflitto, premendo sulle direttive economiche dei singoli stati. I tentativi che si escogitarono per attenuare questa lotta fallirono perché fondati su premesse illusorie (Società delle nazioni, confererze internazionali, piani, ecc.).

ll vero nazionalismo, invece, consiste proprio nel porre la nazione non come parte a sé stante, staccata ed opposta alle altre nazioni; ma come parte centrale di un sistema, con l’elemento di un’organizzazione innanzi tutto spirituale e cioè civile. ll nazionalismo attivo di alcuni popoli, nonostante le diverse premesse di ciascuno di essi (Italia, Germania, Giappone), sta ad attestare la vitalità e l’universalità di tale concezione nazionalistica. Cotesti popoli, pur, nel complesso, non ripudiando il principio. nazionalitario, taluno, anzi, riaffermandolo in pieno come la Germania, e pur attuando una politica di autonomia sul terreno economico in considerazione soprattutto dell’attrito che proprio i nazionalismi democratici e liberali hanno provocato, portano, tuttavia, il loro nazionalismo ad un livello più alto: si fanno, cioè, centri, motori, anima di un sistema ideale e politico, che, non limitando nè attenuando le altre nazionalita, mira a dare un’organizazione spirituale unitaria, nel quadro di una nuova civiltà, a complessí di popoli che altrimenti sarebbero destinati alla catastrofe ed al tramonto.

3. LE TEORIE NAZIONALISTE. - L’inizio del movimento nazionalistico europeo contemporaneo si fa, di solito, risalire al congresso di Berlino (1878) col quale la gara coloniale delle nazioni europee assunse carattere di eompetizione in rapporto proprio al grado di efficienza e di interessi di ciascun popolo. È comunque indubbio che da quell’epoca in molti paesi europei la questione dell’espansione e della potenza nazionale ha avuto risonanze amplie, in relazione altresì alla struttura interna dei singoli stati. Anche in Italia non mancarono in quel tempo scrittori quali il Carpi, il de Zerbi, il Turiello i quali posero il problema della necessità dell’espansione nazionale come condizione di vita e di potenza d’Italia. Il Turiello, anzi, da un’acuta critica al sistema democratico e parlamentare faceva derivare un vera programma di restaurazione nazionale, fondato su di una forte disciplina all’interno, una virile coscienza degli Italiani e un naturale dispiegamento di energie fuori degli angusti confini.

Un’influenza notevole, sia pure indiretta, sul sorgere di taluni indirizzi nazionalistici, ha avuto il positivismo, in alcune sue correnti sociologiche e giuridiche. Col porre infatti le basi della società in organismi sociali omogenei e con lo sviluppare le premesse darwiniane della lotta dei popoli per 1’esistenza, si e creata una piattaforma per 1’elaborazione, sia pure superficiale, di una teoria organicistica e sociologica della nazione, nonostante che spesso dalle stesse premesse si sia giunti a conclusioni spiccatamente individualistiche e liberali.

Tuttavia, come dottrina, il nazionalismo vero e proprio non poteva acquistare lineamenti di teoria politica se non distaccato dalle altre teorie e specie da quelle prevalenti, democrazia, liberalismo, socialismo. In questo senso i primi tentativi sono venuti dalla Francia, negli ultimi anni del seco XIX. In un certo modo l’ispiratore del movimento francese è stato Maurizio Barrès (1862-1923) che coi suoi romanzi e con i suoi scritti (Scènes et doctrines du nationalisme, 1902) si richiamava alle forze della tradizione francese, mirava a risvegliare le energie nazionali. C’era, in Barrès, molto boulangismo (dal generale G. E. G. Boulanger, già ministro della guerra, assertore di una forte disciplina nazionale); ma c’era altresì un’efficace rappresentazione dei valori patriottici, che colpiva. Ma fu dopo il cosiddetto “affare Dreyfus” che la reazione patriottica prese maggior vigore. Vecchi boulangisti e cattolici conservatori si unirono in una “Ligue de la patrie française”. Subito dopo, ne1 1898, per iniziativa del Vaugeois fu fondato il “Comité d’action française” con un programma di restaurazione dello stato e di disciplina delle energie nazionali. Ne1 1899 sorse L’Action française, il periodico del movimento ove erano entrati parecchi intellettuali di estrema destra, i quali dovevano dare un contenuto meno negativo al movimento stesso. In realtà l’indirizzo del Vaugeois era spiccatamente antidreyfusiano e cioè antisemita e per un patriottismo militarista. Con Carlo Maurras il nazionalismo diveniva monarchico, cattolico, legittimista, nel quadro, comunque, di una visione classicheggiante della vita e dei suoi valori politici (Enquête sur la Monarchie, 1900); e di una concezione nettamente antirivoluzionaria, antiromantica, antiindividualistica, la quale per il Maurras sarebbe stata tipica della cultura francese, e si sarebbe interrotta con il Rousseau (Romantisme et révolution, ed. def., 1922). Con maggior forza polemica cotesti motivi venivano ripresi da L. Daudet, la cui requisitoria contro democrazia, liberalismo, parlamentarismo ha assunto calore di crociata (Le stupide XIXe siècle). La lotta contro i vari regimi demosocialisti è perseguita, ad opera del Maurras e del Daudet, specie dalle colonne dell’Action française, divenuta quotidiana nel 1908, con coraggio e tenacia. Tuttavia cotesto nazionalismo, che ha attirate soltanto scarse forze intellettuali di estrema destra e di giovani della borghesia e della piccola borghesia, non ha avuto un peso efficace nella vita francese. Il suo cattolicismo è stato troppo inquinato di positivismo e di paganesimo classicheggiante; tutto il programma è rimasto pressocché sempre negativo, senza riferirsi alle esigenze nuove, alle aspirazioni delle masse, estraniandosene, anzi, quasi. Gli stessi tentativi di organizzazione di partito politico operante (con la costituzione dei camelots du roi) sono andati praticamente falliti.

Più antiche le origini delle teorie recenti nazionalistiche germaniche. Le quali in parte risalgono alla tradizione romantica che, da J. Moser a J. G. Herder, ha rivendicato la virtù avita del popolo tedesco; e soprattutto con Fichte ha nettamente affermato non soltanto la superiorità della nazione germanica sulle altre, ma altresì ha assegnato ad essa il compito di “realizzare il postulato di un impero unico, di uno stato intimamente ed organicamente omogeneo” (v. FICHTE; LIBERALISMO). In parte quelle teorie si rifanno a correnti di morale aristocratica, esaltatrice del genio, del superuomo, contro il livellamento demo­cratico (Nietzsche), in parte a correnti estetizzanti, affermanti la superiorità delle grandi personalita della storia (S. George); in parte a sociologi, storici, filologi, archeologi, i quali hanno tentato di dimostrare l’esistenza di vari tipi di civiltà, alcuni superiori ed altri inferiori (M. Müller, J. J. Bachofen); ma soprattutto quelle teorie discendono da una interpretazione razziale della storia e del mondo, interpretazione che ha avuto differenze. di metodo con il Gobineau e H. S. ChamberIain, e che ha trovato nello Spengler una rappresentazione efficace e drammatica (Der Untergang des Abendlandes) e col Rosenberg (Der Mythus des 20 Jahrhunderts) ha assunto carattere e forma di mito. Nonostante che nel Rosenberg il principio razzista sia commisto ad elementi di varia natura talvolta antitetici con quelli dei precursori, tuttavia l’idolatria del sangue come mistica della nazione nella sua opera assurge ad espressione estremamente caratteristica. Il nuovo nazionalismo germanico, infine, si fonda essenzialmente sull’idea della razza, nel senso che nazione e razza sono la stessa cosa; onde lo stato “è soltanto un mezzo.per raggiungere un fine, che è la conservazione dell’elemento razza negli uomini”; e il terzo Reich deve pertanto “ricomprendere tutti i Tedeschi e porsi il compito di estrarre e conservare da questa nazione elementi originari razzialmente superiori e di condurli, in modo lento ma sicuro, al dominio” (A. Hitler, Mein Kampf). Da tali presupposti tutta una valutazione nuova dei problemi morali, sociali, politici, economici, giuridici scaturisce nella odierna letteratura nazionalsocialista (v. RAZZA; NAZIONALSOCIALISMO).

Diversi, infine, le origini e gli aspetti del naziona­lismo nipponico, che attinge insieme a motivi tradizionali ed a forti esigenze espansionistiche demografiche ed economiche. IL processo di occidentalizzazione verificatosi negli ultimi decenni nel Giappone, mentre non ha scosso le secolari tradizioni morali e le virtù del paese, ha permesso ad esso di sviluppare l’industrialismo accentuando il bisogno di mercati; mentre 1’esigenza di nuove terre è resa fatale dall’esuberante popolazione. Tuttavia il nazionalismo nipponico non si esaurisce in una forma d’imperialismo soltanto economico e demografico. Nella coscienza del popolo giapponese è vivo il sentimento di una missione da compiere nell’Asia orientale, di cui la nazione nipponica, esaltatrice dei più nobili valori patriottici, militari ed etnici, si sente il cuore ed il centro politico e spirituale. Una virile educazione ed una sana propaganda tengono desto ed attivo tale sentimento nazionalistico, che unisce, al di sopra delle stesse etichette di partiti, tutto il popolo giapponese.

4. IL NAZIONALISMO ITALIANO. - Accenni di un sentimento, di un orientamento in senso contemporaneo nazionalistico, si trovano già in Italia in taluni scrittori politici della seconda meta del sec. XIX, indipendentemente dalla forte corrente nazionalitaria (v. NAZIONE), che pure in alcuni grandi Italiani e soprattutto in Gioberti (v.) ha avuto, con l’idea di un primato nazionale, accenti di predominio spirituale e morale del popolo italiano.

È, tuttavia, alla fine del sec. XIX e al principio del sec. XX, che, sotto l’influenza di avvenimenti politici e di correnti letterarie ed artistiche favorevoli a porre lo spirito nazionale di fronte a se stesso, si hanno le prime avvisaglie di una reazione al piccolo mondo, nel quale l’Italia s’era rinchiusa e ridotta. Tendenze, coteste, prevalentemente letterarie, estetizzanti, a fondo aristocratico. Influenze di Ibsen, di Nietzsche, e di scrittori misticheggianti come Maeterlinck, Amiel, Carlyle. D’Annunzio irradiava già un’affascinante concezione della vita non piatta, non fiacca, ma energica, volitiva, audace, eroica.

In sostanza si era venuta formando già sulla fine del secolo una corrente che, almeno in arte, reagiva al mediocre, affissava gli sguardi a forme più alte, più nobili, più aristocratiche di vita. Nel Marzocco, che iniziò le pubblicazioni il 2 febbraio 1896, alcuni di cotesti scrittori si ritrovarono e posero le basi di una riscossa in nome di un idealismo eroico, prevalentemente estetizzante. I primi romanzi di Enrico Corradini (Santamaura, 1896; La Gioia, 1897), esprimono il disagio morale dei loro protagonisti, che ten­tano lottare in un ambiente freddo, dispersivo, talvolta caotico. Anche nei suoi primi lavori teatrali (Giacomo Vettori, 1901; Giulio Cesare, 1902), il Corradini insiste su questi motivi ispirati ad un sentimento di rivolta contro il mondo circostante, ad una visione di audace sublimazione dei suoi protagonisti. Ne Il Regno (primo numero: 7 novembre 1903) l’orientamento politico incomincia a precisarsi: lavorare sì per il popolo, ma non con i metodi della democrazia, non con i sistemi della bassa politica che corrompe gli spiriti; lavorare per l’Italia, richiamando tutti gli ltaliani ad una feconda esigenza di solidarietà nazionale; uscir fuori dei confini, ma non come straccioni, sibbene come potenza politica. Stanno già qui i motivi essenziali del pensiero corradiniano, che poi via via si affinano, nei numeri successivi della rivista, nelle altre sue pubblicazioni, nelle stesse sue opere letterarie. L’espan­sionismo, inteso come un dovere della borghesia, e già considerato nel 1904 da Corradini come uno strumento non solo di potenza, ma di benessere nazionale. Spesso, in questi articoli corradiniani del periodo che potrebbe chiamarsi preparatorio, si trovano richiami al sentimento, alle energie interne degli Italiani. Bisogna ritrovare noi stessi, scriveva talvoIta con fervore quasi mistico. Vengono poi gli altri romanzi nazionalisti e, notevole, quella Patria lontana (1910), che tanto rumore levò nella critica e nelle discussioni (v. CORRADINI).

Intanto, di nazionalismo già si parlava e con intenti nazionalisti già si scriveva. Un richiamo alla coscienza nazionale era venuto dall’annessione all’Austria della Bosnia-Erzegovina 1908); l’accresciuta potenza austriaca poneva sul tappeto crudamente la posizione italiana, con particolare rapporto all’irredentismo triestino e trentino.

L. De Frenzi (Luigi Federzoni) documentava la penetrazione tedesca fino al Garda e sollevava la questione della necessità di preservare la nazione italiana da tali pericoli. Scipio Sighele rivendicava l’italianità non solo del Trentino e della Venezia Giulia, ma bensì del litorale orientale adriatico. Non era irredentismo alla maniera romantica, era una rivendicazione dei diritti italiani sulle terre italiane sotto il dominio straniero; e, più ancora di rivendicazione di diritti, si parlava di dovere, per l’Italia, di muoversi, agire, porsi su di un piano attivo di politica non solo internazionale, ma nazionale. La polemica pro o contro il nazionalismo è già accesa nel 1909. Chi sono questi nazionalisti, che cosa vogliono? si domandavano gli scrittori dei maggiori organi della pubblica opinione. Vogliono la guerra? Vogliono portare l’Italia al baratro? Per la difesa dei valori nazionali rispondono Gualtiero Castellini, S. Sighele, Vincenzo Picardi. Si parla di “dignità” nazionale; di “aspirazione” perché l’Italia sia “la prima nazione del mondo”. Gli avversari a ribattere: non avete un programma! E De Frenzi sul Giornale d’Italia (21 luglio 1909): il nazionalismo, scrive, “vuole ridestare, o meglio, suscitare in Italia una coscienza nazionale collettiva, della quale gli Italiani mancano e che costituisce la unica vera ragione della loro irrimediabile inferiorità di fronte ad altri popoli certamente non superiori per qualità di nativa intelligenza, di vigore corporeo e morale, di operosità...”. Dagli avversari si diceva ancora: volete copiare il nazionalismo di Maurras e dell’Action française? E Sighele rispondeva: tutt’altro è il nazionalismo italiano! Quello francese è retrogrado, clericale, legittimista. In Italia non vi sono dinastie da restaurare, non c’è tendenza nei clericali a divenir alleati di noialtri... Un programma? Lo enunciava il De Frenzi con queste parole: “la dottrina nazionalista è riassunta nella necessità di dar finalmente, anche in Italia, a ciascun individuo la nozione costante, esatta, imperiosa del suo dovere verso la nazione... questo organismo del quale è parte” e di fronte al quale “non può mai, in nessun momento, dimenticare o disconoscere la sua individuale responsabilità”.

Vari rivoli, insomma, che portavano ad un punto comune: ma occorreva dar un po’ d’ordine a queste correnti, incanalarle in un solo alveo. E così venne l’idea di un congresso, nel quale si sarebbero discusse le questioni essenziali del movimento. La circolare d’invito per il congresso fu firmata da Corradini, Federzoni, Picardi e Castellini. ll 3 dicembre 1910 il congresso ebbe luogo a Firenze. Si presentarono e si discussero dieci relazioni: una di Corradini sul socialismo, le c1assi proletarie e il nazionalismo; una di Maraviglia sul movimento nazionalista e i partiti politici; una di Federzoni sulla politica delle alleanze; una di Sighele su irredentismo e nazionalismo; una di G. Chiggiato sull’Adriatico; una di L.Villari su nazionalismo ed emigrazione; una di F. Carli sulla politica economica della grande Italia; una. di M. Negrotto sulla preparazione militare; una di M. Maffi sul problema della scuola; ed una ancora di Corradini sull’organizzazione nazionalista. Le questioni essenziali della vita nazionale, insomma, venivano affrontate; e, quel che più conta, con animo virile, con una valutazione diretta e non retorica di esse. Corradini nella sua relazione metteva in rilievo l’insufficienza della politica interna italiana, la situazione dei partiti ormai logori, i danni prodotti dall’emigrazione, lo stato depresso della produzione. E concludeva affermando che non solo da una rivoluzione interna dei vari problemi 1’Italia avrebbe tratto nuovo vigore e dignità, ma dal suo inserirsi nel quadro europeo e mondiale come potenza attiva. Di questo quadro Federzoni aveva tracciato lineamenti significativi, specie per quel che ne veniva all’Italia, trascinata dal gioco degli imperialismi stranieri. Nella discussione, il principio che si dovesse far penetrare nel popolo il sentimento della guerra fu ribadito da Maraviglia, Borelli e dallo stesso Federzoni. Luigi Valli, tra gli altri, accennò al fatto che non la lotta delle classi è legge di storia, ma la lotta delle nazioni. Gli elementi costitutivi della dottrina nazionalista, insomma, si precisarono e presero forma più concreta.

E sorse, così, l’Associazione nazionalista italiana. Aderenti non moltissirni, pochi anzi. L’Associazione non volle esser partito di massa e non poteva esserlo. Essa doveva essere ed è stata soprattutto un centro di elaborazione e d’irradiazione di problemi vivi, di cultura politica nuova. ll 5 marzo 1911, per iniziativa di Corradini, Federzoni, Maraviglia, Forges Davanzati e Coppola, usciva L’Idea nazionale, con un programma che rispecchiava gl’ideali dell’Associazione; e cioè: richiamare g1’Italiani al senti­mento e alla conoscenza del genio di Roma e dell’impero; svincolarsi dalla cultura straniera; rafforzare l’autorità dello stato riducendo o annullando il dissolvente individualismo; tener conto insieme e del valore della monarchia e di quello universale della Chiesa; dare alle forze armate prestigio ed efficienza; indirizzare le energie nazionali alla conquista di colonie anche per avviarvi l’emigrazione; lottare contro il parlamentarismo, la democrazia massonica, il socialismo; propugnare la solidarietà di tutte le classi per il raggiungimento del maggior benessere collettivo. Ma soprattutto il giornale sviluppò la campagna per l’impresa libica, che fu decisa anche per l’impetuosa e martellante energia del foglio nazionalista.

Poi le altre campagne, che portarono altresì a rivedere le posizioni stesse del nazionalismo. Così quella contro la democrazia; sì che nel congresso dell’Associazione a Roma (dicembre 1912) si operò il distacco netto tra nazionalismo e dottrine democratiche e, di conseguenza, 1’Associazione si epurò di qualche elemento filodemocratico. Poi la campagna contro la massoneria; della quale si pose in evidenza 1’antinazionalità del segreto, della gerarchia occulta, del simbolismo, dell’universalismo. Contemporaneamente lotte per tener viva la fiamma dell’irredentismo, entro e fuori i confini: e da Trieste per opera, tra gli altri, di Spiro Xydias Tipaldo e di Ruggero Timeus (pseud.: R.Fauro); irredentismo, come si e detto, affermato non solo come sentimento di solidarietà verso i fratelli divisi, ma come dovere attivo di conquista e di ardimento. Con le e1ezioni del 1913, un gruppo di nazionalisti entrava alla camera: L. Federzoni, P. Foscari, G. Bevione, L. Medici del Vascel1o, R. Galtenga Stuart.

L’Associazione intanto si rafforzava anche con nuove adesioni, acquistava maggior rilievo nel1a vita nazionale. Taluni punti della dottrina si venivano raffinando. Contro il pacifismo, si diceva che il limite insuperabite alle differenze non sono le classi, ma le nazioni. L’interesse ai problemi economid si acuiva. La coscienza di lavorare per il bene della nazione si rafforzava. IL 14 febbraio del 1914, Corradini, la cui operosità sia politica sia letteraria non aveva avuto soste, in un discorso a Roma poteva dire: noi ci sentiamo gli operai dell’avvenire. Al congresso di Milano (maggio 1914) veniva posto il problema della incompatibilità tra liberalismo e nazionalismo (relazione A. Rocco). Nuova selezione, quindi, degli iscritti alla Associazione e più accentuata disciplina intellettuale e politica del movimento.

Appena scoppiata la guerra mondiale l’Associazione nazionalista dichiarava (6 agosto 1914) che la neutralità italiana doveva essere considerata mezzo di preparazione all’intervento. Poco più tardi il nazionalismo iniziava, infatti, la campagna per la partecipazione dell’Italia alla guerra alla quale, poi, prendevan parte moltissimi capi e gregari del movimento, parecchi di essi trovando morte gloriosa sui campi di battaglia (G. Castellini, V. Picardi, R. Fauro), alcuni meritando la medaglia d’oro al valore (Decio Raggi, Spiro Xydias, Fulcieri Paulucci di Calboli).

Non cessò, tuttavia, durante la guerra la propaganda e l’azione di rafforzamento politico e morale del nazionalismo. Già lo stesso turbinio della conflagrazione poneva alle menti più acute del movimento i problemi del domani: di riassetto interno, di espansione, di potenziamento economico. Alcuni più caratteristici libri di Corradini sono di questo periodo, come La marcia dei produttori (1916), Il regime della borghesia produttiva (1918), nei quali la borghesia italiana è chiamata a sviluppare al massimo le sue energie per dare alla nazione ed al popolo italiano il benessere che non poteva venire dalla sterile lotta di c1asse. “L’imperialismo, scriveva Corradini, nella storia è la marcia deiproduttori attraverso la terra. Nazione imperialista... è quella che fa un trasporto di dinamica produttiva nel territorio che occupa”. L’imperialismo si rivela, dunque, sulla base di una concezione organicistica della storia e della società, come una conquista attiva, feconda e produttiva.

Appena dopo la pace il nazionatismo raccolse ancora meglio le sue energie. Il 15 dicembre usciva Politica, una rivista diretta da Alfredo Rocco e Francesco Coppola, con un programma nettamente costruttivo, antidemocratico, per la difesa della Vittoria. Il manifesto della rivista si riferiva ai seguenti punti: negazione dell’individualismo e dell’ideologia ugualitaria; affermazione dello stato come forza e come potenza, della tradizione e della missione italiana nel mondo; richiamo degli Italiani ad un’opera integrale di ricostruzione spirituale. Specialmente le questioni derivanti dai trattati di pace furono discusse in quegli anni e altresì dopo sulla rivista; nella quale si dimo­strò già allora la struttura plutocratica della Società delle nazioni, svelandone l’inconsistenza pacifista, e si agitarono tutti i problemi che la pace aveva lasciato insoluti a danno dell’Italia. E, mentre tali problemi formavano argomenti di studio dettagliato ed esatto, si precisava ancora meglio la dottrna fondamentale del nazionalismo.

C’era, naturalmente, un fondo comune in cotesta dottrina: l’idea che la società si realizza a mezzo di organismi etici spirituali e naturali, che sono le nazioni; l’idea che in tali organismi l’individuo, in quanto componente della nazione, è ad essa subordinato; e che, pertanto, la nazione è unità e totalità. Comune soprattutto l’idea che principio di vita delle nazioni è la lotta; e che in tale lotta, eterna come la vita stessa dei popoli, vincono solo quelle nazioni che hanno maggiori virtù, maggiori requisiti attivi, più forte volontà; onde l’altro principio della nazione come esercizio di volontà e, di conseguenza, come volontà di potenza. Da tali premesse, poi, aspetti particolari della dottrina: nei riguardi della produzione, volta a fine di benessere nazionale; delle dassi sociali, intese come pluralità di una stessa unità e quindi non opposte ma indirizzate ad un lavoro comune; ed altri ancora concernenti l’educazione, la difesa nazionale e così via. Aspetto generale e terminale della dottrina, l’idea dell’impero; inteso anche in rapporto ad una giustizia politica e distributiva da operarsi nel mondo a vantaggio di nazioni proletarie che, come l’Italia, hanno bisogni vivi da risolvere; ma inteso soprattutto come esigenza morale imposta dalla natura e dalla storia.

Differenze tra i vari teorici ci sono state su talune questioni anche fondamentali; in dipendenza altresì dalle diversità di temperamento di essi. Essenzialmente mistico, spiritualistico quello del Corradini, per il quale la nazione era considerata come “persona spirituale”, lo stato come identico alla nazione, l’impero come mezzo, in fondo, per servire i fini supremi dell’umanità (L’unità ela potenza delle nazioni). Per Antonio Pagano la nazione era intesa come una formazione storico-politica, alla quale concorrerebbero prevalentemente fattori volitivi; formazione logicamente diversa dallo stato: il quale, tuttavia, storicamente, creerebbe sempre la nazione e non viceversa; onde la negazione della teoria romantica dell’origine spontanea della nazione (Idealismo e nazionalismo). Per il Maffei la nazione veniva concepita soprattutto come complesso biologico, sottoposto pertanto a leggi quasi meccaniche di urto e di lotta. Coteste differenze, tuttavia, non indebolirono il nazionalismo che, specie nel dopoguerra e negli anni della lotta potilica, per la difesa della vittoria, ebbe una parte notevotissima nella vita nazionale.

Attivo il movimento, che faceva sempre capo all’Associazione nazionalista italialiana, per l’affermazione dell’italianità di Fiume e della Dalmazia; attivo nella polemica contro le dottrine ed i partiti negatori del sentimento nazionale; attivo anche sul terreno della lotta politica immediata e contingente. L’organizzazione di camicie azzurre che furon chiamate dei “sempre pronti”, portò Il nazionalismo, specie in alcune zone, ad azioni combattive contro i rossi, nelle quali animosi giovani (basti citare Il nome di Mario Sonzini trucidato dai sovversivi a Torino nel 1920) trovarono morte eroica.

Tuttavia il contributo più interessante del nazionatismo italiano resta quelto portato sul piano della polemica dottrinaria, della battaglia morale, accompagnata da una intensa propaganda politica e civile rivolta a dare agli Italiani coscienza e conoscenza di alcuni fondamentati problemi della vita nazionale in rapporto altresì a quella internazionale. Che in tale azione e nella dottrina stessa del nazionatismo non vi fossero elementi contrastanti col Fascismo apparve evidente già negli anni della lotta politica; diversi potevano essere taluni motivi dell’orientamento dei due movimenti; diversi i mezzi in atto; diversi i metodi della lotta; ma in sostanza v’era una convergenza di ideali fondamentali, che portò naturalmente, all’indomani della Marcia su Roma, i due movimenti a riconoscersi ed ad unirsi per una collaborazione comune ai fini della ricostruzione nazionale. La fusione dell’Associazione nazionalista italiana con il Partito fascista ebbe luogo nel marzo del 1923. Qualche giorno dopo Corradini, celebrando a Firenze il Natate di Roma, risalutava in MUSSOLINI il “Presidente dell’unità nazionale dell’Italia nuova”.

 

BIBL.: J. H. Carlton Hayes, The historical evolution of modern nationalism, New York 1931; F. Hertz, Wesen und Werden der Nation, in Jahrbuch für Sozio­logie, 1927, suppl.; A. Pagano, Idealismo e nazionalismo, Milano 1926; F. Delaisi, Les contradictions du monde moderne, Parigi 1925. Per la distinzione di nazionalismo da nazionalitarismo: R. Jobannet, Le principe des nationalités, Parigi 1918. Per i nazionalismi odierni: L. Dumont Wilden, Le nationalisme, in Revue d’histoire politique et constitutionnelle, a. I (1937), n. 2; H. Hobn, Nationalismus und Imperialismus im vorderen Orient” Francoforte 1931; per il nazionalismo francese: E. R. Curtius, M. Barrès und die geistigen Grundlagen des französ. Nationalismus, Bonn 1921; A. Thibaudet, Les idées de C.Maurras, I, Parigi 1920; U. d’Andrea, Posizioni ed errori del nazionalismo francese, Roma 1930; W. Gurian, Der integrale Nationalismus in Frankreich. Francoforte 1931. Per il razzismo germanico: J. Haller, Partikularismus und Nationalstaat, 1926; C. Clauss, Rasse und Seele, Monaco 1934; A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, Monaco 1930; J. Evola, Il mito del sangue, Milano 1937. Per Il nazionalismo italiano (oltre le opere di Corradini): P. Arcari, La coscienza nazionale in Italia, Milano 1911; id.. Il nazionalismo e la democrazia. Roma 1913: S. Sighele, Pagine nazionaliste, Milano 1910; Inchiesta salla massoneria, Milano 1925; G. de Frenzi (L. Federzoni), Per l’italianità del “Gardasee”, Napoli 1909; id., La Dalmaziacheaspetta, Bologna 1915; L. Federzoni, Il trattato di Rapallo, Bologna 1921; id., L’ltalia di domani, Roma 1917; id., Presagi alla nazione, Milano 1924; id., Paradossi di ieri, Milano 1925; F. Coppola, La crisi italiana, Roma 1916; id., La pace democratica, Roma 1921; id., La fine dell’lntesa, Roma 1921; id., La rivoluzione fascista e la politica mondiale, Roma 1923; F. Ercole, Dal nazionalismo al Fascismo, saggi e discorsi, Roma 1928; P. L. Maffei, Lotta e volontà di potenza, Roma 1929. Su taluni accenni precedenti nella letteratura sociologica: M. A. Vaccaro, Le basi del diritto e dello stato, Torino 1893; C. Ferrari, Nazionalismo e internazionalismo, Palermo 1906. Sugli scrittori politici della seconda metà del sec. XIX: C. Curcio, L’eredità del Risorgimento, Firenze 1931.

 

C. Curcio

Edición digital: Franco Savarino, 2005


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