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Piero Gobetti / Mario Lamberti

Letture sul Fascismo

(1922)


I fascisti.

Dopo il processo ai risultati non potrebbe riuscire interessante l'indagine delle intenzioni? Seduce il pensiero di vestire l'abito di freddezza dell'esegesi: se non disilludesse troppo rapidamente la dimostrata e inconcussa impossibilità di un ripensamento teorico-originale nei fascisti.

Il fatto personale di Mussolini, chiarito in queste pagine con lucidità ormai decisiva, avrebbe in sé i suoi limiti, se i fascisti non insistessero a considerarlo il simbolo generico e quasi il caso riassuntivo. Bisogna confessare che non ci sentiamo tuttavia l'animo di ridescrivere l'inchiesta e di riassumere le conclusioni, dove pare più preciso un richiamo.

Anche per il caso letterario di Adolfo Zerboglio, il deputato al Parlamento, non occorrono speciali approssimazioni di psicologia perché si resta nell'introduzione del problema. Gli intenti e i caratteri (più gli intenti che i caratteri) sbocciano invece con qualche ridondanza dalle confessioni di D. Grandi, di A. Marcello, di P. Gorgolini.

La preoccupazione comune si affissa nell'esigenza di trarre tutte le conseguenze logiche dall'ammonimento di Missiroli: "Il Fascismo sarà la coscienza matura della nuova democrazia, e, come tale, dovrà riconciliarsi col socialismo, o sarà peggio di nulla; un tardivo e impossibile tentativo reazionario". La "praxis" mussoliniana che ha seguito questo proposito pare si limiti a pensare la maturità come scalata al potere attraverso le vie di Montecitorio. Gli sforzi storicisti e le intuizioni ideali di Dino Grandi avrebbero la stessa sorte delle "realistiche" predicazioni di R. Murri al partito radicale.

B. Mussolini ha riconosciuto sé stesso e il proprio programma di governo nel libro di Pietro Gorgolini. Ma la funzione di Gorgolini nel movimento mussoliniano è essenzialmente analoga a quella di Fera nel giolittismo. Sostituito l'entusiasmo sincero al cinismo anche Gorgolini è come Fera il teorico dell'antologia politica. Questo Fascismo nella vita italiana è un poco il riassunto di tutti i programmi di sinistra da Depretis a Nitti. Wilsonismo e Socialismo di Stato (si cita francamente Lassalle,) liberismo teorico (salva la reciprocità!) con l'economia del "giusto" prezzo, finanza demagogica, difesa della piccola proprietà e fulmini contro il latifondo il tutto voluto in buona fede e proclamato non ironicamente ma con candore, - ecco la palingenesi di questa nuova democrazia! C'è bisogno che il proto si ricordi di scrivere nuova in corsivo? La cultura politica dei nostri fascisti resta nell'infantilismo turatiano, assai arretrato anche rispetto a don Sturzo. In questa crisi di assestamento il fascismo sente così vivamente la sua mediocrità e la sua vuotezza riformista che deve venerare e accettare come degni termini di confronto non dico Giolitti o Salandra, ma De Nicola, Gasparotto e Luzzatti! (pag. 17).


Giusta gratitudine verso le fonti in un partito che pone come capisaldi ideali: disciplina, lavoro, benessere, libertà per tutti! (pag. 48). Dove ritroveremo, caro Marcello, lo stile del fascismo! Dopo aver utilmente alimentata la lotta politica come organo di legittimi interessi reazionari lo stile si è così poco definito che, rinnegando la reazione, si cade nella demagogia. I fascisti potrebbero anche aver ragione protestando contro chi li definisce conservatori, anzi sicuramente i loro sentimenti sono altri, ma non si definiscono in un'espressione politica originale perché mancano della logica propria ad un movimento: il maestro del loro relativismo è invero un risaputo maestro: Giovanni Giolitti - volendo stare alle tradizioni più giovani e dar loro un ideale che son ben lungi da realizzare.

Qui dunque sarebbe tutta la novità del fascismo e dopo le primavere romantiche diventerebbe necessario acquetarsi al comodo riformismo o cedere alle lusinghe delle privilegiate aristocrazie dominanti della banca e delle industrie? Si distrussero le leghe rosse solo per sostituirle?

Grandi e Marcello non si vogliono appagare di un processo che si esaurirebbe così semplicisticamente e sterilmente. Data l'impostazione di Mussolini e gli stati d'animo ereditati, al fascismo non resta che la scelta tra anarchia episodica, reazione e demagogia pacifica. Il Condottiero ha nel suo passato le due prime esperienze e sente di doversi aggrappare alla terza. Gorgolini, annunziato da Zerboglio, è il messo di questa decisione.

Per sfuggire al dilemma bisognava che il fascismo prendesse coscienza del problema dello Stato, ne afferrasse la crisi invece di esserne legittima, elaborasse un nuovo pensiero politico e una diretta volontà rivoluzionaria. Senonché questa era la funzione dell'avanguardia del movimento operaio e non della sua antitesi. La serietà teorica di Grandi diventa un'ingenuità intorno a cui deve regnare la solitudine. Il proposito di far aderire le masse allo Stato nazionale non si realizza inventando nuove formule di sindacalismo nazionale: mentre spera la religiosità del movimento dall'adesione popolare, Grandi non si avvede di ripetere le aberrazioni di illuministica eleganza del nazionalismo, del modernismo, e del sindacalismo. Il suo ricollegarsi al Risorgimento non ha il valore di una soluzione (ossia di una comprensione), ma appena di una esuberanza di stile.

P. GOBETTI.

I liberali.

Il nazionalismo anacronistico e unilaterale - appunto perché indiscutibile e prepolitico - doveva accettare il fascismo come romantica gesta salvo poi a negargli ogni autonomia ed ogni possibilità di distinguersi dalle comuni affermazioni programmatiche.


L'esperienza liberale suggeriva invece ai suoi autori, già inizialmente, caute premesse critiche. I democratici opposero non un pensiero ma una astuzia pratica e vinsero battaglie in cui le sole avanguardie fasciste s'erano battute e sacrificate. Chi sperò dal fascismo la redenzione non tardò ad assumere posizioni polemiche. Pantaleoni si illuse di trovarvi la consacrazione del liberismo economico e dovette lanciare poi alla demagogia di Mussolini recriminazioni che erano da indirizzarsi alla sua ingenuità politica. Murri ha invano sperato dal prevalere di alcuni amici e discepoli suoi la restaurazione della religiosità.

Il più acuto e penetrante doveva essere il Missiroli che è il solo ad aver celebrata una dottrina liberale coerente. Il libro di Missiroli sul fascismo è tutta una rivelazione di fatti e di psicologie ignorate. Attraverso l'esame della situazione emiliana egli ha potuto mostrare come il fascismo s'inserisca nella crisi socialista e non sia soltanto un fenomeno di antitesi al movimento rivoluzionario. Lo studio dell'esasperazione delle psicologie degli intellettuali e dei democratici, e l'indagine sull'equivoco della collaborazione giolittiana-fascista determinano in modo decisivo gli elementi storici su cui un pensiero liberale dovrebbe impostare la sua critica. Il liberalismo, nella sua logica rivoluzionaria, non deve mendicare l'aiuto di movimenti frammentari ed esasperati, ed ha anzi la funzione precisa di elaborarne il superamento. L'analisi di Missiroli è perciò, attraverso la polemica, la prima pagina storica sull'argomento.


I socialisti.

I socialisti si sono invece accontentati di un sentimento che non si traduce né in azione né in teoria. Persino l'alta visione marxista del Mondolfo - nobile parentesi di studio e di cultura nel socialismo italiano - viene infirmata da uno spirito di adattamento alla realtà in contrasto con le deduzioni soreliane che sono implicite nel rovesciamento della praxis. Dalla condanna dell'utopistica pretesa che ha il marxismo "di forzare il ritmo del processo storico... abbattendo un regime cui non aveva ancora la capacità di sostituire uno nuovo" e della più grave utopia "di chi sogna lo sbaragliamento e la sconfitta del proletariato", non sorge un imperativo di lotta e di più virile coscienza onde maturare le masse al ritmo della storia, ma attraverso il concetto che "ogni utopia è destinata a cadere " si pongono le pacifiche premesse della palingenesi riformista.

Come la deprecazione della violenza nel M. giunse a suggerire quale unico rimedio preventivo al fascismo l'avvicinamento tra estremisti e classi medie, così, in pratica, il riformismo si chiuse in una lamentosa solitudine e pianse l'imposto martirio con loquace impotenza.


Nello sforzo dignitoso di serenità obbiettiva del Zibordi non vibra una alta e virile sicurezza, ma il lamento di chi è stato travolto nelle sue idilliache illusioni: dalla persecuzione degli avversari non assurge, attraverso una "comprensione" e uno studio severo, ad una parola che dia il ritmo alla lotta, ma si appella ad un astratto miraggio di "giustizia" affermato e non saputo severamente volere.

Né questa parola di lotta può giungere dal De Falco, che pure si pone con avversione assoluta di contro al fascismo: il suo rifiuto di "regalare idee agli avversari" è sterile rinuncia: valevole forse come posizione personale, non mai capace di dare ad un partito forza e ragione di.

Ora l'adattamento critico del Mondolfo conduce proprio, con logica conseguenza, alla astratta ideologia dello Zibordi e alla astiosa incomprensione del De Falco: attraverso di esse il socialismo rivoluzionario per difendersi dal fascismo si prepara a salire le scale del potere: è la tragedia di un partito che, incapace di trovare la propria salvezza nel sacrificio eroico, la invoca da uno scanno ministeriale. Nella morte delle proprie idealità rivoluzionarie i socialisti - profonda ironia - troveranno i fastigi del potere.


I repubblicani.

La stessa incapacità pratica dei socialisti di fronte al fascismo si trova nei repubblicani.

L'utopia mazziniana, estranea a quarant'anni di lotta operaia, era rimasta intatta nelle parole e morta nell'idea, in una esigua minoranza che, se parve assurgere a centro di ribellioni, non andava oltre la sterile affermazione anti-monarchica.

E benché il fascismo abbia avuto origini in gran parte repubblicane, affermatosi poi come più profonda realtà, i repubblicani non poterono di fronte ad esso che conservarsi nella medesima incomprensione con cui si erano posti di fronte al socialismo. Alla lotta di classe opponevano una inutile nazione, alla pratica instauratrice del fascismo il mito di una vuota repubblica.


Bergamo agita il miraggio di una repubblica sociale con l'esigenza di accettare in parte la lotta di classe, ma animando i termini dell'economia "con un soffio di potente idealismo". Intransigente socialismo di destra incapace di comprendere ogni realtà storica.

È vero che contro il fascismo i repubblicani hanno tentato talvolta, con energia personale, anche una pratica difesa: ma sono isolati episodi. Per il partito repubblicano, chiuso in una intransigenza di formule e di dogmi invano appellantesi al rispetto delle comuni ideologie di interventismo, il dilagare del fascismo, "privo di pensiero" ma travolgente nella sua pratica contraddittoria, può forse apparire una funebre ironia della storia.


Gli anarchici.

Lo spirito anarchico - quando non si chiuda in una sublime follia d'intransigenza individuale, tragicamente affermata contro ogni limite - non può condurre che ad una utopistica visione di pace ideale: sentimentalità umanitaria che crede affermarsi nella ribellione.

Sospiro per l'ideale e esaltazione del coraggio come "bel gesto" che hanno condotto molti ex anarchici, attraverso il fascismo interventista, delle file della reazione: e il Fabbri, che pur vorrebbe porsi con severità e forza contro il fascismo e invoca la ribellione organizzata di tutti i proletari, finisce per rivelare anch'egli un'intima posizione di rimpianto. Di fronte alla rivoluzione fallita per la incapacità proletaria non sa trattenere un senso di ammirazione per la irruenza fascista che ha insegnato "come si fa a vincere". "I fascisti - egli dice - hanno fatto per la controrivoluzione ciò che avrebbero dovuto fare (per amore invece che per odio, e con mezzi e metodi diversi e più umani e sociali) i rivoluzionari".

La esperienza sanguinosa non ha insegnato nulla al Fabbri. Fermo ad una vuota umanità la vorrebbe imporre con un vuoto coraggio. Se i proletari lo seguissero nella sua ammirazione, la reazione padronale sarebbe forse sconfitta, ma avremmo un nuovo fascismo: un fascismo di sinistra estraneo ad ogni disciplina rivoluzionaria.

Conclusione.

L'incertezza di tutta questa letteratura apologetica e critica sul fascismo testimonia quanto faticosamente si venga formando tra noi una coscienza politica capace di illuminare la lotta pratica.

p. g. - m. l.

[La Rivoluzione Liberale, A. 1, n. 15 (28-5-1922), pp. 57-58]


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