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Giuseppe Bottai

Morto un papa...

(1922)

 


Noi vorremmo che i fascisti, i quali nella politica hanno portato, arricchiti del travaglio meditativo della guerra, un senso di passione calda e avvincente, guardassero oggi al Vaticano, dove il corpo esile e magro di Benedetto XV giace nella serenità della morte, più splendente dei suoi paramenti mondani, con ben altra disposizione d'animo, che non quella d'una fatua curiosità.

E ciò, secondo noi, sotto due punti principali di vista.

Primo: sotto il punto di vista spirituale.

Poiché, è ben certa una cosa: che politica vera, e, quindi, trascendente quella realtà economica e sociale, a cui certo positivismo dozzinale ci vorrebbe oggi fermi e contenti, non può darsi, dopo la catastrofe ideologica degli anni di guerra, se non riponendosi ogni problema anche, e principalmente, da un punto di vista spirituale; essendo il sostrato spirituale di nostra razza, nelle sue più alte espressioni di pensiero e nelle sue più umili manifestazioni di vita, innegabilmente cattolico, è ovvio che la Chiesa di Roma sia un fattore della vita nazionale non trascurabile da parte di chi della vita nazionale voglia farsi rigeneratore.

Chi ripensi lo stesso Risorgimento italiano, non sui facili schemi della storia “ad usum delphini”, ma con analisi spregiudicata, potrà constatare come, salvo residui ideologici del secolo XVIII, esso fu un movimento religioso e consapevole dell'immensa forza della Chiesa, cui riguardò non come a organismo da eliminare, ma da inquadrare nella vita d'Italia. Basterebbero questi nomi: Capponi, Gioberti, Rosmini, Manzoni, Cavour, Ricasoli. Il 9 aprile 1861 Cavour faceva al Senato la seguente dichiarazione: «Io credo che sia facile di dimostrare che l'Italia è la Nazione del mondo più atta ad applicare i grandi principî che ho avuto l'onore di proclamare. E perché, o signori? Perché in Italia il partito liberale è più cattolico che in qualunque altra parte d'Europa».

Il grandissimo movimento di anime e di spiriti, che portò all'unificazione d'Italia, non fu, dunque, irreligioso, e la famosa “breccia” non ha avuto quel significato miseramente anticlericale, che annualmente sentiamo proclamare nelle concioni commemorative. Ma, accanto a questa forza che chiameremo, per intenderci, ortodossa, operò, certo, per quanto in modo subordinato, una corrente antireligiosa, che, dagli spigolatori della cattiva letteratura del tempo, fu artificialmente elevata a fattore principale della nostra unità.

Ora, una cosa è pacifica: che la Chiesa cattolica sta, che niente ha saputo sostituirla nello spirito del popolo italiano e che il razionalismo senza Dio, dopo essersi patullato con le sue incongruenti costruzioni pseudo-filosofiche e con le sue bolse esercitazioni retoriche e metriche (non poetiche!) di carducciana memoria, dopo avere “épaté le bourgeois” col “naturalismo matematico” del Bovio e avere tentato il “trucco” di Francisco Ferrer, non è ormai nulla più di un lacrimoso tritume di luoghi comuni, un anticlericalismo forse preciso nell'aneddoto, ma ridicolo nell'assieme, annidato nella sudicia osteria della “Giordano Bruno”, che apre i suoi battenti dinanzi all'alta mole dei palazzi vaticani.

I “liberi pensatori”, in sostanza, anziché creare per la vita italiana una giustificazione profonda, invece di operare una sostituzione di fede nell'ambito stesso di quella coscienza, ch'essi vollero svincolata dal dogma cattolico, si accontentarono d'una innovazione esoterica, fatta più di intenzioni che di persuasioni, di “pose” che di azioni, e contribuirono, attraverso la scuola laica, da essi, compiacente lo Stato, governata, a vuotare gli italiani d'ogni preoccupazione non meramente materialistica.

Ma la guerra, forse per reazione al lungo digiuno di cose spirituali, ma più ancora per un'improvvisa autonomia delle coscienze sopra i ruinati sacri principî della Scienza coll'esse maiuscola, ha angosciosamente riposto, dinanzi alle giovani generazioni italiane, il problema d'una più elevata sistemazione di vita singola e collettiva. L'affermazione che la crisi italiana sia, soprattutto, crisi spirituale, è oggi sulla bocca di molti e negli scritti di alcuno, che non fu eccessivamente idealista nella valutazione della moralità nuova nata dalla guerra.

È questa affermazione, più che di altri nostra, poiché non intendiamo ingabbiarci in un partitone elettoralistico e demagogico dei soliti.

Però, se non ci vogliamo limitare a sterili proponimenti, è necessario mutare la mentalità nostra non solo intenzionalmente ma attivamente, e vedere se, in quella formazione, che ci proponiamo, della coscienza nazionale, ci sia, o non, possibile “superare” (e superare in senso vero, non in quello di negare senza una successiva affermazione) lo spirito che promana dalla Chiesa cattolica; e, se sì o no, in qual senso e in quali modi.

Questo il primo punto, che noi poniamo, senza tentare, almeno per ora, di risolvere.

Secondo: sotto il punto di vista politico [...].

[...] Se residui di settarismo vi sono ancora nel mondo laico, non mancano nel mondo dell'altra sponda vecchi cervelli nostalgicamente reazionari.

In una delle sue opere postume, “Della libertà cattolica”, Gioberti, rivedendo quanto aveva espresso nel “Primato”, scriveva tra le altre cose: «Io voglio rinnovare e purgare Roma e il cattolicismo colla riforma politica di Roma, e coll'associarla al Risorgimento italiano. Ma ciò che avrebbe dovuto sollecitare all'opera il Papa, ne lo rimosse. Bisogna dunque procedere a rovescio: purgar prima Roma, il Papa, il Cattolicismo per abilitarli ad essere italiani».

In quest'ultima frase v'è, forse, ancora, qualche cosa di attuale. Quando noi chiediamo alla Chiesa di divenire italiana, noi non chiediamo, s'intende, che divenga nazionale. Ciò segnerebbe la sua fine. L'universalità è la sua atmosfera. Noi le chiediamo di vivere nella realtà storica della nazione italiana, così come vive nella realtà storica di ogni altra nazione. La sua universalità necessaria è comprensibile e vitale solo se, contemporaneamente, viva in ogni organismo nazionale.

("Morto un papa...", in Il Popolo di Trieste, 27 gennaio 1922, p. 1). 


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