*no citar sin el consentimiento del autor

ai confini della latinità:

PresenzA del fascismo italiano in Messico (1922-1935)

 [Publicado en Africana. Rivista di studi extraeuropei, 2001, pp. 131-153]

 

Franco Savarino

Escuela Nacional de Antropología e Historia (Messico)

 

 

 

Abstract:

The impact of the Italian fascism in Mexico since 1922 ( the year of the March on Rome), until 1935 (Ethiopian campaign) is the main theme of this article, which introduces the preliminary results of a research in progress on the topic. Inside this thematic we will set up two aspects of such impact: the fascistization of the Italian-Mexican community and the Mexican political reactions in front of the birth and development of a nationalistic revolution in Italy, with new characteristics but -in some ways - similar to the revolutionary nationalism of the country. Finally we will analyze the diplomatic relationships between the two governments, pointing out the complex problems that faced fascist Italy, in general, in Mexico and Latin America within the foreign politics of the regime, underlining the possibilities and the limitations of this in the continent.

 

 

 

Introduzione

L'America Latina è forse l'area meno studiata nell'ambito delle ricerche sulla politica estera italiana nell'epoca fascista e sull'impatto internazionale del regime di Mussolini.[1] Il motivo è senza dubbio legato all'importanza secondaria che aveva il continente nell'ambito della geopolitica fascista, notoriamente concentrata sull'area mediterranea, balcanica ed africana. Rispetto ad altre potenze, inoltre, l'Italia aveva possibilità concrete di penetrazione notevolmente inferiori.[2] Non sembra corretto, tuttavia minimizzare eccessivamente la politica latinoamericana del fascismo, negando la presenza di progetti rivolti al continente.[3] Un altro aspetto del problema degli studi sull'area è che la maggior parte di questi, sino ad oggi, tendeva a concentrarsi nello studio dell'emigrazione -fascismo ed antifascismo tra gli emigrati-: da cui l'attenzione prioritaria verso le grandi colonie di popolamento italiano in America meridionale (Argentina, Brasile).[4]

Senza negare l'importanza che per l'Italia di Mussolini ebbero l'emigrazione ed il controllo di questa (e quindi un'attenzione preponderante rivolta ai paesi di destino degli emigrati), vogliamo proporre qui un arricchimento tematico, un diverso angolo visuale, ed un'integrazione geografica, inserendo gli spunti sino ad ora emersi dalle ricerche, nel contesto più ampio della politica estera fascista nel continente. L'occasione ci è fornita dal caso del Messico, paese per molti aspetti atipico, distante, enigmatico, ma pure ricco di suggestioni e spunti d'interesse per l'Italia fascista, anche per la posizione strategicamente importante che occupava nell'ambito latino-americano, insieme con la sua funzione esemplare e di guida per l'area. "Il Messico" - avvertiva Mario Appelius nel 1928 - "è in fondo un prezioso campo sperimentale per l'intera America Latina non anglosassone".

Vedremo, infatti, come il paese, situato a ridosso degli Stati Uniti, considerato come una specie di "bastione della latinità" sin dal XIX secolo (si ricordi l'avventura messicana di Massimiliano), fu in qualche modo il laboratorio di una politica latino-americana ambiziosa, sotto il profilo dell'espansione economica ed, ancor più, di quella politico-culturale. Rispetto al Messico si delineava con più urgenza, per l'Italia, la necessità di far fronte alla minacciosa penetrazione economica, politica e culturale degli Stati Uniti; inoltre assumeva tutta la sua importanza la necessità di portare avanti una politica di propaganda culturale "latina", di fronte ad un paese che aveva intrapreso un esperimento culturale senza precedenti, di rifondazione della sua stessa identità nazionale. Nel Messico si presentavano così, in tutta la loro drammaticità, alcuni problemi che avrebbero orientato la politica latino-americana dell'Italia fascista durante gli anni venti-trenta.

 

L'esperienza delle rivoluzioni nazionali

Per esaminare l'impatto del fascismo italiano oltreoceano, è necessario tracciare alcune linee di convergenza storica che avvicinavano in qualche modo l'Italia ed il Messico, altrimenti paesi lontanissimi in molti aspetti. Il panorama internazionale degli anni venti è caratterizzato dal consolidamento o nascita di numerosi regimi politici nazional-rivoluzionari: il Messico (1911), la Cina (1911), la Turchia (1922), l'Italia (1922) e, potremmo aggiungere, la Russia dopo Lenin (1924). Pur nella gran varietà di giustificazioni ideologiche, riferimenti culturali, prassi politiche ed equazioni sociali, tali esperienze vanno tutte ricondotte ad una tendenza mondiale alla ricerca, da parte dei paesi allora "sottosviluppati", di nuove vie alla modernizzazione, sotto la spinta della mobilitazione delle masse popolari, delle classi medie o di entrambe.[5]

L'esperienza messicana si colloca nella fase più precoce di quest'ondata rivoluzionaria, essendo scoppiata nel 1911, contemporaneamente alla rivoluzione cinese, della quale condivise l'impronta nazionalista e xenofoba.[6] Il processo rivoluzionario, che incluse una sanguinosa guerra civile (1914-1916), si concluse verso il 1919, con la consolidazione di un regime militare rivoluzionario -ma formalmente democratico- sotto la guida del generale Álvaro Obregón. Le caratteristiche del nuovo stato in via di formazione saranno la sintesi di esperienze autoctone anteriori: il nazionalismo repubblicano, il secolarismo liberale militante, il corporativismo (d'origini cattoliche), rigenerate durante il processo rivoluzionario anche sotto l'influenza delle esperienze internazionali del momento (da qui la presenza di tendenze socialisteggianti e populiste). La rivoluzione aveva soprattutto fondato una nuova mitologia nazionale che aveva portato a rimodellare il culto alla patria, fondandolo in una mobilitazione di massa contro la vecchia classe dirigente liberale, gli stranieri e le potenze imperialiste. La "rivoluzione culturale" messicana, che avrà risonanza internazionale, portò alla rivalutazione del passato indigeno precolombiano e della cultura meticcia, a discapito degli elementi ispanici e creoli, in concomitanza con l'ascesa sociale della classe media.

Dall'altra parte dell'Atlantico si vissero esperienze in qualche modo similari. In Europa l'esplosione del nazionalismo di massa durante il conflitto mondiale generò condizioni rivoluzionarie, che portarono alla crisi generale degli stati liberali e alla conseguente formazione, in alcuni paesi, di regimi autoritari, nazionalisti, socialisti o fascisti. L'Italia fu coinvolta, tra il 1919 e il 1922, in una semi-guerra civile tra nazionalisti ed ex-combattenti da un lato, e socialisti dall'altro. Il conflitto aveva profondi risvolti culturali. L'esperienza della guerra aveva fatto nascere un nazionalismo di massa, che si era diffuso soprattutto nelle classi medie, nelle università e tra i reduci in generale, portando alla costituzione di un movimento radicale con tendenze rivoluzionarie, il "fascismo", destinato ad assumere il potere per via semirivoluzionaria nel 1922.[7]

Quello che importa qui sottolineare è la similitudine o congruenza delle esperienze politiche italiana e messicana: entrambe rivoluzionarie, nazionaliste, con tendenze populiste, sorte nel periodo della crisi degli stati liberali, sulla spinta di movimenti di massa e con forti ambizioni culturali. L'Italia fascista ed il Messico rivoluzionario si diedero, inoltre, dei partiti unici -il PNR (poi PRM ed infine PRI) messicano (1929)  e il PNF italiano (1921), adottarono sistemi di tipo corporativo e pretesero di costituire delle "terze vie" tra il sistema "bolscevico" e quello liberal-capitalista. Ebbero anche dei nemici comuni: l'establishment liberale che rovesciarono (il regime di Porfirio Díaz in Messico e la classe politica giolittiana in Italia) e, all'esterno, le potenze imperialiste anglosassoni (Gran Bretagna e Stati Uniti), contro cui diressero la frustrazione nazionale in quanto paesi latini "sottosviluppati" ed oppressi. Tali rassomiglianze -che non erano, è bene rilevarlo, il frutto d'influenze reciproche, ma furono elaborazioni autonome- divengono importanti nel momento di studiare i rapporti che intercorsero tra i due paesi durante gli anni venti-trenta.

In quest'ambito, è necessario segnalare che esistevano pure differenze considerevoli. La rivoluzione messicana sorse sotto la spinta di un movimento contadino, anche se i suoi leaders erano generalmente di classe media; il movimento operaio fu poco importante e fu assorbito nella rivoluzione, anziché contrapporsi ad essa con un proprio programma di tipo socialista. In Italia, invece, la rivoluzione fascista (di classe media) si scontrò con un movimento proletario organizzato, rurale ed urbano, che aveva obiettivi ed ambizioni rivoluzionarie proprie.

Queste disparità sono, senza dubbio, valide ed importanti sul piano politico-sociale.  Ma su quello culturale sono meno rilevanti, permettendo, ad esempio, leggere nella stessa prospettiva lo slancio per l'educazione delle masse, l'interesse per la rifondazione dell'identità nazionale e l'avanguardismo estetico favorito in entrambi i paesi. In ogni caso il regime fascista dovette, nei rapporti che stabilì con quello messicano, fare anche i conti con questioni ideologiche, che riguardavano i fondamenti stessi della sua natura rivoluzionaria.

 

Immagini e tendenze "fasciste" in Messico

Il fascismo destò un forte interesse in Messico sin dal 1919, suscitando reazioni e letture diverse. Alcune organizzazioni operaie messicane avvertirono immediatamente che quello che era nato in Italia poteva convertirsi in una seria minaccia per i lavoratori organizzati: Mussolini, "traditore" della causa socialista, dava un sostegno armato alla borghesia e agli agrari. Altri, invece, vedevano in Mussolini semplicemente un esempio atipico della spinta rivoluzionaria presente nell'Europa del dopoguerra. Ma c'era anche chi, tra la classe media o in ambienti conservatori, vedeva con simpatia la lotta antibolscevica condotta con accanimento dai fascisti.

Fu la Marcia su Roma dell'ottobre '22 a portare il fascismo alla ribalta in Messico. Un mese dopo, l'ambasciatore italiano segnalava al Ministero degli Affari Esteri (M.A.E.) che la presa del potere da parte dei fascisti era stata vista "con simpatia" negli ambienti del Governo, e che l'Italia si era improvvisamente posta "di moda" nel paese.[8] L'evento più significativo fu però la fondazione, nello stesso mese di novembre, di un "Partido Fascista Mexicano" (P.F.M.). Tale associazione ebbe vita breve ed una diffusione limitata, ma vale la pena prenderla in esame per comprendere come fu accolto in Messico il regime fondato da Mussolini.[9]

La nascita del PFM coincise con le elezioni presidenziali del 1924, in vista delle quali appoggiò il candidato oppositore Àngel Flores, in ossequio al costume politico messicano di quel periodo, che prevedeva la fondazione di partiti di supporto elettorale alle candidature, tanto nazionali quanto regionali -pluralità che sarebbe stata drasticamente ridotta con la fondazione del partito ufficiale della rivoluzione, il PNR, nel 1929-. 

Il programma del nuovo partito faceva riferimento alla classe media, "vittima" del capitale e del movimento sindacale, propugnando la libertà del lavoro, l'impulso alla piccola proprietà contadina (contro la tendenza ufficiale alla creazione degli ejidos, proprietà collettive con elementi di tipo socialista), nell'ambito di un programma generalmente caratterizzabile come "liberale". Il leader supremo del Partito, Gustavo Sáenz de Sicilia, affermava che il movimento aveva 150.000 militanti in tutto il paese. Suo organo era il periodico El Fascista.[10]

È significativo che il PFM rivendicasse come base del movimento la classe media, contrapposta ai lavoratori sindacalizzati. Nelle aree rurali furono i proprietari di terre, grandi o piccoli, che si avvicinarono al Partito in opposizione ai contadini "agraristi" favorevoli alla proprietà collettiva.[11] Queste rassomiglianze con il fascismo italiano, tuttavia, sono attenuate da due elementi completamente divergenti: in primo luogo, il PFM non era un movimento violento; d'altra parte, era  dichiaratamente cattolico. Il Governo ed i sindacati sospettavano che dietro il PFM si nascondessero forze cattoliche e conservatrici ostili alla rivoluzione. Alcuni sacerdoti, in effetti, si erano affiliati al "fascismo" per contrastare l'anticlericalismo ufficiale; si era diffuso anche il rumore che il capo segreto del Partito fosse il Delegato apostolico in Messico, Monsignor Ernesto Filippi.

Va ancora rilevato, tuttavia, che l'adesione di forze cattoliche e conservatrici al PFM fu irregolare e limitata, e che, inoltre, la classe media rivendicata dai "fascisti" era già stata assorbita, ed in larga misura appagata, dal movimento rivoluzionario ufficiale, non avendo, per il momento, serie ragioni per contrapporsi frontalmente a questo con un programma rivoluzionario alternativo. Nel 1923 un giornalista nordamericano sintetizzava in questo modo le ambiguità e le limitazioni del PFM, paragonandolo al presunto modello italiano:

"Il fascismo in Messico è, in realtà, un movimento dilettantesco [...]. Manca di un programma sociale significativo [...] distinto da quello del governo o di altre organizzazioni già esistenti. Non può fare appello all'adesione della classe media. Manca anche di un appoggio organizzato di forze conservatrici".[12]

La posizione italiana rispetto al PFM è riassunta nel commento, sbrigativo, dell'ambasciatore italiano nel giugno del 1923, quando già il movimento stava scomparendo:

"...questo partito non era altro che una cattiva imitazione del nostro, non ne possedeva le cause di origine e le finalità. Esso, infatti, assunse l'aspetto di un movimento politico tendente a riunire in tutto il paese le vecchie forze conservatrici e cattoliche disperse dalla Rivoluzione ed a formare così un partito nettamente di opposizione all'attuale Governo".[13]

La distorsione prospettica -quella di collocare il fascismo nella gamma politica cattolico-conservatrice, senza cogliere le sue componenti radicali- prevalse in Messico sin dall'inizio per la diversa disposizione delle forze sociali, in un contesto dove si stava preparando una solida coalizione populista tra la classe media, il proletariato agro-industriale, ed i contadini. Solo tra i politici ed i pensatori più accorti si arrivava a percepire la novità radicale rappresentata dal regime di Mussolini, che suscitava interesse, sia che si adottasse un atteggiamento contrario, sia favorevole.

Viaggi occasionali di Messicani in Italia, alcuni dei quali di carattere ufficiale, portavano notizie di prima mano sugli sviluppi del fascismo. Questo era anche e soprattutto tenuto sotto osservazione dall'ambasciata e dal consolato generale di Genova, che inviavano regolarmente rapporti dettagliati, alcuni dei quali sollecitati espressamente dal governo. L'analisi della nascita e sviluppo del primo fascismo fatta da Rafael Nieto tra il 1925 ed il 1926, in particolare, riflette un interesse ed una capacità di analisi non comuni, anche grazie alla sua posizione di diplomatico amico e simpatizzante dell'opposizione socialista.[14] Nieto, infatti, riteneva che il fascismo fosse nato dall'incontro di una corrente socialista dissidente e "l'istinto rivoluzionario pervertito" della classe media bassa, "compressa, dall'alto, dalla plutocrazia e dall'alta classe media burocratica e, dal basso, dalla classe proletaria". Questa combinazione, radicalizzandosi nel momento più acuto dei movimenti operai del dopoguerra, avrebbe deviato la spinta rivoluzionaria iniziale del fascismo in un "violento movimento di reazione contro i lavoratori" che ebbe l'appoggio del governo e della classe dirigente liberale italiana.[15]

In Messico, il dibattito pubblico sul fascismo si ravvivò in varie occasioni particolari, soprattutto nel 1924,1928, 1929 e 1934-35.

            Nel 1924 il delitto Matteotti e l'arrivo della missione italiana con la "Nave Italia" -di cui parleremo più avanti- fece affiorare delle critiche al regime di Mussolini, di cui furono protagonisti specialmente i sindacati della C.R.O.M. (Confederación Regional Obrera Mexicana) ed il piccolo Partito Comunista messicano. Nel 1928 il paese fu sconvolto dall'assassinio del generale Obregón, da poco rieletto presidente della Repubblica. Il terremoto politico che ne seguì si sommava alla guerriglia cristera condotta dai contadini cattolici della parte centro-occidentale del paese contro l'esercito federale, nell'ambito di un grave conflitto tra la Chiesa Cattolica ed il Governo. In questa difficile situazione, circolarono voci di possibili aiuti italiani (fascisti) ai guerriglieri ed al clero; destò sospetti anche la lunga permanenza nel paese del giornalista italiano Mario Appelius, corrispondente del Popolo d'Italia, le cui dichiarazioni alla stampa fecero parlare di ingerenza straniera negli affari interni del paese.

Nel corso del 1928 la stampa italiana fu denunciata più volte per la campagna che conduceva, criticando la repressione anticattolica in Messico. L'anno dopo, la firma del Concordato tra la Chiesa e lo Stato italiano sollevò un enorme scalpore in Messico, suscitando l'approvazione entusiasta dei cattolici e la condanna degli ambienti sindacali, massonici e governativi. In ogni caso, segnalava una possibile soluzione anche per la crisi messicana, e, forse, contribuì ad accelerare i tempi per la firma degli "arreglos" (giugno 1929) che misero fine al conflitto religioso nel paese.

            Con il precipitare della crisi economica mondiale tra il 1929 e il 1932, l'attenzione degli economisti e del governo messicano fu attratta dalla politica economica fascista per resistere alla Depressione.[16] Il sistema corporativo, la colonizzazione interna, l'"autarchia" e l'intervento dello stato in generale furono attentamente studiati da inviati speciali e delegazioni visitanti con il compito di esaminare "il fascismo, la sua genesi, la sua organizzazione, il suo sviluppo, le sue tendenze, i suoi uomini, le sue opere".[17]  Il Ministro italiano in Messico, Rogeri, segnalava nel 1934 che "...se le ideologie rivoluzionarie messicane contrastano con quella Fascista, le realizzazioni pratiche del Regime Fascista formano oggetto generale di studio, di ammirazione e di imitazione perfino da parte di elementi rappresentativi di questo Governo".[18]

Lo studio del fascismo era poi condotto, in via discrezionale, dai funzionari messicani della Legazione e dei consolati. Per esempio, l'incaricato d'affari a Roma, Eduardo Vasconcelos si accingeva, nel 1935, ad indagare sulle realizzazioni del regime, segnalando:

"Avvicinandomi poco a poco alla vita italiana mi rendo conto che, in fondo, il fascismo non è altra cosa che uno dei tanti sistemi d'economia a direzione statale, e che per questo ci deve spingere a studiarlo senza pregiudizi, perché tale studio può esserci di molta utilità, data l'indole di questo popolo, assai simile a quella del nostro"[19]

Gli studi sull'Italia intrapresi dai messicani riguardavano, in particolare, anche il funzionamento interno dello Stato e del Partito Fascista, che potevano costituire modelli per l'organizzazione del Partito Rivoluzionario messicano tra il 1929 ed il 1930.[20] C'era un interesse particolare per l'organizzazione dei giovani -l'"Opera Balilla", O.N.B.- e dei lavoratori -il "Dopolavoro", O.N.D.-. Queste indagini avvenivano in segreto ed al margine dell'attenzione pubblica. Tuttavia qualche cosa doveva, alla fine, trapelare o trasparire all'evidenza pubblica, perché non furono rare in quegli anni le accuse di "fascismo" che rivolsero sindacalisti, intellettuali di sinistra e comunisti a certe tendenze ed iniziative promosse dal governo.[21]      

L'interesse generale del pubblico messicano verso il fascismo si riprese solo verso il 1934-35, in occasione della crisi austriaca -nella quale Mussolini appariva come il garante della stabilità europea minacciata da Hitler- e, soprattutto, dell'invasione dell'Etiopia. L'apertura spettacolare della politica imperialista italiana in Africa destò vive preoccupazioni in Messico, paese che tendeva ad identificarsi in quel momento con l'Etiopia, vittima di un imperialismo occidentale analogo alla prepotenza imperialista degli Stati Uniti in America Latina. La parola "Etiopia" si popolarizzò allora in tutto il Messico, utilizzandosi per criticare gli interventi autoritari negli stati e nelle piccole comunità da parte del potere centrale. Vi furono anche proteste e manifestazioni operaie contro l'"aggressione fascista".[22] Vedremo più avanti come il conflitto etiopico -insieme al susseguente intervento italiano in Spagna- segnò il punto di svolta fondamentale nelle relazioni bilaterali tra l'Italia e il Messico.

            Verso la metà degli anni trenta, l'immagine dell'Italia fascista in Messico tese a polarizzarsi, in concomitanza con la rottura dell'ordine internazionale ed il crescere delle contrapposizioni ideologiche. Il governo, i sindacati ed il Partito ufficiale adottarono allora una posizione antifascista sempre più evidente, mentre altre forze d'opposizione, all'interno e fuori della compagine governativa, videro con crescente simpatia il fascismo come alfiere della lotta contro il bolscevismo e l'imperialismo anglosassone.[23] Gli intellettuali si divisero, allo stesso modo, tra pro ed antifascisti. Si formarono, poi, anche alcuni gruppi politici d'opposizione disposti ad adottare schemi di lotta e stili francamente fascisti.[24]

 

 

Suggestioni lontane: l'immagine del Messico in Italia

Per analizzare i rapporti Italia-Messico è necessario prendere in esame non solo le relazioni diplomatiche, politiche ed economiche, ma anche i contatti di tipo culturale. Partendo da questi, sarà più agevole penetrare nei meandri della geopolitica fascista, per la quale il Messico rappresentò una pedina-chiave sullo scacchiere del Continente Americano.
            Il Messico fece parlare di se in Italia sin dallo scoppio della Rivoluzione, nel 1910. La caduta spettacolare del regime di Porfirio Díaz e la successiva sequela di colpi di stato e guerra civile, proiettò un'immagine alquanto negativa del paese. "Messico" divenne sinonimo di disordine, corruzione, caudillismo, guerriglia, fucilazioni, stupri, saccheggi: insomma, uno stereotipo caricaturale di caos politico latino-americano.[25] Anche i politici utilizzarono il Messico come immagine di disordine e violenza: per esempio, il 30 maggio 1924, in un discorso in Parlamento, Giacomo Matteotti paragonò le recenti violenze elettorali fasciste a quelle...  messicane.

            All'inizio degli anni venti, la situazione in Messico era letta principalmente attraverso due filtri: l'"indigenismo" ed il "bolscevismo" della rivoluzione. Il primo suscitava curiosità e generava tutta una serie di reazioni ambigue, che oscillavano tra l'approvazione del risveglio culturale di una nazione oppressa e la condanna degli aspetti anti-occidentali impliciti nell'esperimento culturale messicano. Il secondo era parte della "paranoia" antibolscevica che si era diffusa in Europa sin dal 1917. Nonostante che quella messicana fosse una rivoluzione anteriore a quella russa, e non ispirata certamente nel marxismo, si pretendeva che fosse contaminata da elementi "bolscevizzanti", evidenti negli attacchi alla proprietà privata e ai ceti possidenti, l'indisciplina delle classi subalterne, l'anticlericalismo e la retorica socialisteggiante del regime.[26]

            Quella del "Messico bolscevico" fu un'immagine diffusa particolarmente nel 1920-22 e nel 1926-29, in concomitanza con il culminare del conflitto civile in Italia (quando larghi settori della classe media intravidero un incombente "pericolo rosso" internazionale), ed in occasione della crisi religiosa messicana. Quest'ultima soprattutto portò, durante alcuni anni, il tema del Messico in primo piano nel dibattito pubblico italiano, particolarmente nel periodo immediatamente anteriore alla preparazione dei Patti Lateranensi del '29. In quel periodo, il presidente messicano, Plutarco Elías Calles (1924-1928), fu spesso ritratto dalla stampa religiosa come una specie d'anticristo, e da quella laica come un dittatore lunatico, posseduto da un misterioso furore bolscevico-massonico.[27] L'ostilità della stampa ufficiale era anche dovuta allo sconcerto che destava un anticlericalismo integrale, applicato a ferro e fuoco, mentre in Italia né gli anarchici né i fascisti erano mai arrivati a mezzi tanto radicali, nonostante i propositi bellicosi spesso proclamati.

            Anche il tema della riforma agraria destava interesse in Italia. La distribuzione delle terre in Messico, prima come restituzione di quelle usurpate ai contadini, poi come dotazione di terre pubbliche ed infine come trasferimento forzato (espropriazione) dai privati ai contadini senza terra, procedeva lentamente, ma inesorabilmente, sin dal 1917, essendo uno dei nuclei centrali del programma della rivoluzione nazionale. L'agrarismo messicano non poteva non colpire uno dei punti deboli del regime fascista: la mancata attuazione di una riforma agraria in Italia, causata in gran parte dall'incorporazione nel movimento fascista iniziale degli interessi dei grandi proprietari terrieri del Centro del paese, dall'Emilia alle Puglie. Di fronte alla reale spinta riformista agraria che si osservava in Messico, il regime italiano si veniva a trovare così in una situazione alquanto imbarazzante. La risposta fu una critica spietata, attraverso la stampa, alla distribuzione delle terre in Messico, la quale era accusata di far cadere la produzione agricola scoraggiando gli investimenti e mettendo in mano a contadini primitivi delle terre di alto potenziale agricolo.[28]

            Tutte queste immagini e percezioni culturali si rendono particolarmente evidenti attraverso i viaggi in Messico di intellettuali, scrittori e giornalisti italiani.[29] Alcuni di questi hanno lasciato opere di una certa importanza: Arnaldo Cipolla (Montezuma contro Cristo, 1927), Mario Appelius (L'aquila di Chapultepec, 1929) ed Emilio Cecchi (Messico, 1932).[30] Il primo è il racconto impressionistico di uno scrittore-viaggiatore interessato soprattutto ad aspetti folcloristi e dominato dal tema del conflitto religioso; il secondo è l'ampio reportage di un noto giornalista del Popolo d'Italia, interessato soprattutto ad aspetti politici e culturali, in un'ottica francamente fascista; il terzo è il racconto letterario di un conosciuto scrittore attento alle realtà profonde della cultura del paese.

             Per quanto riguarda gli aspetti politico-culturali è il libro di Appelius a costituire uno specchio fedele dell'immagine del Messico per il fascismo italiano. Inviato speciale del Popolo d'Italia, Appelius ebbe, nel 1928, la missione semi-ufficiale di elaborare uno studio approfondito del paese dal punto di vista delle risorse economiche, un ritratto complessivo della sua cultura e, soprattutto, un'analisi della natura politica del regime rivoluzionario che lo caratterizzava. Durante i dieci mesi della missione, Appelius vide un paese che era

"...campo di battaglia di contese imperialiste e di esperimenti sociali, di antagonismi di razza e di lotte religiose, di scontri ideologici e di basse rivalità personali; paese vivo, vivo, vivo; stracolmo di ricchezze materiali ed energie spirituali, benedetto e nello stesso tempo maledetto da Dio [...], che ora spaventa ed ora innamora, che sempre conquista il viaggiatore e lo incatena con il suo fascino...!"[31]

Nella descrizione entusiastica di Appelius si trovano riassunti tutti gli aspetti del Messico che attraevano l'attenzione dell'Italia fascista: la lotta di un popolo giovane, vitale e "spirituale" contro l'imperialismo (quello anglosassone, mercantile e "decadente"), per costruire un nuovo destino sviluppando le potenzialità di una terra ricca di risorse. L'identificazione con l'Italia è trasparente, eccetto che per gli scontri ideologici ed etnici interni, manifestazioni anch'esse, purtuttavia, della potenza vitale del popolo messicano.[32] Il Messico, infatti, "dimostra di possedere un'esuberanza organica ed una sua particolare inquietudine spirituale le quali, nonostante tutto, sono un'affermazione di dinamismo e denotano la volontà di liquidare i formidabili problemi etnici, religiosi e politici che l'America ha ereditato".[33]

            Quello che qui importa è l'accento sui tratti culturali e geopolitici comuni: la vitalità di una comunità di destino che lotta contro gli imperialismi anglosassoni, nel segno di un'identità nazionale esaltata, le cui radici latine condurrebbero, naturalmente, verso Roma, il "faro" della nuova civiltà rifondata dal Fascismo. L'antagonista polemico è soprattutto l'America industriale al di là del Rio Bravo, linea divisoria inviolabile tra latini ed anglosassoni della quale il popolo messicano è fedele custode. All'interno invece, il contrasto è marcato con l'altra radice della cultura messicana, quella indigena: il latinismo del "littorio" servirebbe in questo caso come antidoto e come guida per evitare il pericolo di una ricaduta nelle civiltà, ormai decadute, della Mesoamerica.[34] 

Il libro di Appelius mostra chiaramente che una delle principali vie di penetrazione disponibili per l'Italia fascista in Messico (e nell'America Latina) era quella culturale, attraverso l'anti-imperialismo di marca "latina", analogamente alla penetrazione che la Spagna aveva intrapreso già da tempo nel segno dell'"ispanismo".[35]

            Questi sforzi di avvicinamento culturale tuttavia, benché suggestivi, diedero pochi risultati concreti nel momento di tradursi sul piano delle relazioni bilaterali tra i due paesi. La questione era semplice. Prima di tutto lo sforzo del paese per dotarsi di un'identità nazionale rinnovata, radicata nel proprio passato, si scontrava frontalmente con il tentativo di collegarla alla tradizione europea, la quale sminuiva necessariamente la traiettoria specifica delle civiltà indigene, violentemente scosse dalla Conquista. Le glorie di Roma potevano andar bene per gli italiani, presunti eredi di quella, ma i messicani preferivano immaginarsi come gli epigoni delle civiltà Azteca e Maya della Mesoamerica, oppure, alternativamente, come sintesi tra quelle civiltà e l'ispanica conquistatrice.

Poi vi era una ragione geopolitica ed economica fondamentale. Il Messico non poteva permettersi il lusso di ledere eccessivamente gli interessi nordamericani in favore di una romantica "unità latina" che, se intesa come trait d'union con l'Italia, non poteva avere basi né economiche né politiche. Il paese, infatti, era legato sempre più strettamente all'economia degli Stati Uniti, che assorbivano la mano d'opera e controllavano quasi il 70% dell'import-export messicano, con forti investimenti nel paese. Politicamente, come già si è accennato, l'esperienza rivoluzionaria messicana era del tutto autonoma con rispetto a quella fascista, benché si producessero impressionanti convergenze su aspetti specifici; inoltre gli Stati Uniti non avrebbero tollerato nessuna svolta politica radicale -sia in senso "bolscevico", sia fascista- nel vicino del sud, che potesse minacciare in qualche modo la sicurezza nazionale. Così, dopo l'inizio della fase di distensione tra i due paesi (1927), ai primi accenni alla politica amichevole del "buon vicinato", inaugurata dal presidente Roosvelt, il governo messicano sarebbe accorso senza difficoltà a situarsi nell'orbita della superpotenza continentale, allineandosi sostanzialmente -malgrado il mantenimento della retorica antimperialista- sull'asse del panamericanismo promosso da Washington.

 

Petrolio e diplomazia: i rapporti bilaterali

Nell'ambito della diplomazia, l'Italia fascista era, ovviamente, ben cosciente degli stretti limiti in cui poteva operare in un'area sotto il controllo sostanziale degli Stati Uniti. Il Messico era importante per tre ragioni strategiche: la vicinanza con gli Stati Uniti, l'influenza che esercitava nell'area centroamericana (e in senso lato, in tutta l'America Latina) e le sue enormi riserve di petrolio (di cui era il secondo produttore mondiale verso il 1926) e d'argento (di cui era il primo produttore). Le relazioni diplomatiche bilaterali seguirono quindi un'agenda orientata su tali coordinate, i cui temi specifici erano: l'incremento delle relazioni economiche, la protezione alla comunità italiana ed il controllo dell'attività "bolscevica" ed antifascista. I motivi ideologici non occuparono però, tutto sommato, un posto importante in queste priorità sino alla metà degli anni trenta.

             Per quanto riguarda le relazioni economiche, queste erano fortemente sbilanciate in favore dell'Italia, che aveva non pochi interessi da difendere nel paese.[36] Il Messico, soprattutto, importava dall'Italia molte più merci di quante ve ne esportasse (nel 1926 la bilancia commerciale aveva una proporzione di nove a uno in favore dell'Italia).[37] Queste non rappresentavano, per altro, una grande quantità in assoluto (meno del 2% del volume totale del traffico internazionale messicano). L'Italia esportava soprattutto prodotti tessili e chimico-farmaceutici, pneumatici, marmi e prodotti di lusso (più di tutto vini e liquori); dal Messico invece importava soprattutto petrolio crudo e derivati (6000 tonnellate, più 3500 di asfalto, nel 1928), che rappresentavano una fonte di approvvigionamento di carattere strategico. Non v'era però una presenza diretta nei campi petroliferi -quasi tutti in mano a compagnie anglo-olandesi o nordamericane-, eccetto che per la piccola compagnia "Itamex Oil Co." (fondata nel 1921), filiale della Banca Commerciale Italiana, che aveva una concessione nella zona di Tampico. Le relazioni commerciali erano soggette ad un trattato di "nazione più favorita" sino al 1926, quando questo fu denunciato dal Messico; un altro accordo del genere sarebbe stato firmato solo più tardi, nel 1934.

            Il principale interesse per espandere il modesto commercio bilaterale era senz'altro italiano. Tra il 1919 ed il 1926, l'Italia fece notevoli sforzi, senza risultati apprezzabili, per amplificare il traffico tra i due paesi. Ne furono mostra alcune iniziative economiche e diverse missioni diplomatico-commerciali che furono inviate in Messico per studiare le potenzialità del paese. Nel 1923 due missioni importanti, una delle quali guidata da Ezio Garibaldi, si trovavano in Messico, per studiare le possibilità di aprire una corrente di colonizzazione nel paese, migliorare le relazioni commerciali e, soprattutto, aumentare le esportazioni petrolifere in Italia.[38] Nello stesso periodo si fondarono camere di commercio italo-messicane in entrambi i paesi, ed una "Società Italo-messicana" con il patrocinio di Gabriele d'Annunzio.[39] Il "Comandante" fu anche tra i patrocinatori della grande spedizione diplomatico-commerciale in America Latina del 1924, la cui ultima tappa fu il Messico. Di questa impresa, che volle essere il "biglietto da visita" della nuova Italia fascista nel continente latino-americano, tratteremo dettagliatamente più avanti, nell'ambito della penetrazione fascista tra gli italo-messicani.

Riassumendo, il tentativo di penetrazione economica italiana in Messico durante gli anni venti, non ebbe l'esito sperato. Con la firma dell'accordo bilaterale del 1934 vi furono, da parte italiana, nuove speranze di intensificare le relazioni economiche italo-messicane, ma queste furono frustrate, l'anno successivo, dall'adesione del Messico al fronte sanzionista e dalle tendenze sempre più spiccate della politica economica messicana al protezionismo. Chiudiamo qui la parentesi sui rapporti economici, per riprendere il tema centrale dei rapporti politici.

            Le premesse per comprendere i rapporti politici tra il Messico e l'Italia furono, come abbiamo già indicato, la situazione politica del Messico in quanto regime nazionalista-rivoluzionario -situato in una "terza via" nellaa quale si iscriveva pure il fascismo-, certe affinità culturali "latine", la posizione strategica del Messico tra gli Stati Uniti e l'America Latina e, in quest'ultimo ambito, l'attiva diplomazia portata avanti dal paese come mediatore tra le ambizioni di Washington e la difesa delle repubbliche sorelle del continente, in nome della solidarietà latino-americana (o "indoamericana").[40]

Il Messico era, infatti, troppo grande, orgoglioso e, relativamente, temibile, per essere trattato come una qualsiasi repubblichetta centroamericana o dei Caraibi, da invadere e dominare a piacimento. L'esercito messicano, temprato da più di un decennio di guerra civile, era il più forte dell'America latina e, pur non potendo, naturalmente, opporsi allo strapotere militare degli Stati Uniti, costituiva una difesa dissuasiva non trascurabile. Le vere armi del Messico erano, però, quelle del diritto e della diplomazia, con le quali il paese esercitava il suo "peso determinante" nell'area latino-americana.

Il Messico era, infatti, l'inventore ed il garante di due principi innovatori nella diplomazia continentale: la "Doctrina Carranza", formulata nel 1918 dal presidente messicano Venustiano Carranza, che stabiliva il principio di non-intervento negli affari interni di un altro paese (correggendo così gli abusi della "Dottrina Monroe" da parte degli Stati Uniti) e la "Doctrina Estrada", pronunciata nel 1930 dal Ministro degli Esteri messicano Genaro Estrada, che condannava il riconoscimento condizionato di governi stranieri.[41] La posizione del Messico era così fondamentale per orientare l'atteggiamento dei paesi latino-americani verso gli Stati Uniti durante le periodiche riunioni continentali. Nel 1933 il principio generale del non-intervento, sostenuto dal Messico, fu finalmente accettato dalla VII Conferenza panamericana di Montevideo, associandosi quindi alla politica del "buon vicinato" sostenuta dal presidente Roosvelt. L'Italia fascista doveva dunque portare avanti con il Messico una diplomazia essenzialmente triangolare (o quadrangolare, considerando anche l"angolo" latino-americano), cercando di aprire una breccia nelle relazioni sempre più strette che si andavano stringendo tra Stati Uniti, Messico ed America Latina.[42]

            Ma la difesa messicana del diritto internazionale e della soluzione pacifica dei conflitti si manifestava anche fuori dell'ambito continentale. Nella Società delle Nazioni la voce del Messico si levò più volte per difendere la pace, favorire il disarmo, respingere il ricorso alla forza e condannare le aggressioni a paesi deboli.  Su questa linea, la politica estera messicana e quella fascista divergevano completamente, ed erano destinate ad entrare fatalmente in rotta di collisione, come avverrà in occasione del conflitto etiopico.[43]

            I rapporti tra l'Italia ed il Messico non furono alterati dal cambio di governo del 1922. L'Italia di Mussolini aveva allora gli occhi rivolti a Versailles -mantenendo la vicinanza con le potenze dell'Intesa-  ed alla situazione interna -non ancora consolidata e densa d'incognite-, e sarebbe stato quindi prematuro un cambiamento della politica estera al di fuori della sfera d'interessi più immediata europeo-mediterraneo-africana. Questa fase iniziale della politica estera fascista, rivolta all'interno, fu captata dal Ministro del Messico a Roma, che scrisse (1925):

"Nella sua politica estera, il fascismo si è caratterizzato per un imperialismo platonicamente aggressivo. In generale, ed al di là del caso di Corfù [...] l'imperialismo del governo attuale si è limitato alle parole. Il fatto è che un imperialismo reale, l'Italia non potrebbe esercitarlo che contro gli interessi di Inghilterra e Francia; e l'Italia non è di certo in condizioni di opporsi [a tali potenze]. [...] Nonostante l'impotenza forzosa di una politica imperialista dell'Italia, la sua adozione è servita al governo per lusingare l'esercito [...] e gettare una polvere d'oro negli occhi delle moltitudini nazionaliste".[44]

Il Messico, per parte sua, era pure rivolto alla soluzione dei propri problemi interni. Il governo del generale Obregón aveva, infatti, il suo daffare per pacificare il paese, facilitare la ripresa economica ed ottenere l'accettazione internazionale del nuovo governo rivoluzionario. Il Messico non ebbe, in pratica, una politica internazionale, al di là delle relazioni con i vicini, Stati Uniti ed America Centrale, tra il 1919 e, perlomeno, il 1931. In questo periodo, fu la politica interna a dominare l'agenda internazionale messicana.[45]

            All'interno, le relazioni con paesi stranieri passavano attraverso gli interessi economici e le colonie che queste avevano nel paese, che furono seriamente danneggiate durante le turbolenze politiche del periodo 1910-1919. L'Italia, come altre nazioni straniere, si fece avanti per sollecitare riparazioni per i danni sofferti dai suoi cittadini durante le vicende rivoluzionarie. Un'apposita commissione fu formata nel 1927 per ricapitolare le richieste di rimborso degli italiani; la controversia si conchiuse nel 1933 con un'indennità di 315.000 pesos (dei 7.800.000 che erano stati inizialmente richiesti, cioè, circa, il 4%).[46]

            Più avanti, tuttavia, la comunità italiana soffrì nuovi danni a causa delle espropriazioni agrarie e d'immobili, nell'ambito dell'applicazione dei programmi rivoluzionari. I principi Pignatelli, per esempio, si videro minacciati da confisca di una chiesa-ospedale che possedevano, per opera delle leggi anticlericali applicate durante la crisi religiosa del 1926-29. In quel periodo, molti sacerdoti italiani -quasi tutti salesiani- furono minacciati di espulsione, potendo rimanere in Messico solo per l'intervento personale dell'ambasciatore. Ulteriori pericoli furono presenti durante i primi anni della Depressione, quando s'intensificò il nazionalismo ufficiale e la xenofobia popolare, trovando come valvola di sfogo l'attacco alle numerose colonie spagnole e, soprattutto, cinesi.

            Come già accennato all'inizio, l'Italia fascista aveva molti nemici dichiarati nel governo messicano e nei sindacati, per la lotta antisocialista che aveva condotto e, non ultimo, l'attacco sferrato alla massoneria, che in Messico era potentissima nelle sfere governative. Come riassumeva l'ambasciatore italiano: "Si tratta di un'ostilità rivolta, non tanto contro l'Italia, quanto contro il suo Regime e [ciò] non stupisce quando si pensi che gli uomini delle sfere dirigenti messicane professano tutti [...] i principi del più avanzato radico-socialismo e fanno parte della massoneria".[47]

Tuttavia tali ostilità non filtrarono nei rapporti bilaterali, eccetto in alcuni momenti: nel 1924 Obregón accolse freddamente la delegazione italiana, e tre anni più tardi rifiutò l'alta onorificenza del "Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro" offertagli dal governo italiano, con un gesto dichiaratamente antifascista.

L'ostilità verso l'Italia ebbe di solito, come punto di innesco, episodi particolari. Per esempio, reazioni indignate sorsero quando, nell'aprile 1926, si rese noto un incidente occorso in Milano, dove tre impiegati del consolato messicano furono bastonati da fascisti per aver ostentato nella via pubblica dei garofani rossi all'occhiello. La stampa messicana chiese allora la condanna o la rottura delle relazioni con l'Italia.

I maggiori punti di frizione occorsero tra il 1926 e il 1929, collegati alla posizione dell'Italia di fronte alla crisi religiosa scoppiata nel paese (per il Messico l'Italia, con il Vaticano all'interno, aveva una posizione strategica, del tutto speciale, in quanto centro di attività "clericali" ostili e come campo per tastare il polso dell'opinione internazionale sul conflitto). Il maggior momento di tensione occorse nel 1928, quando la campagna di stampa antimessicana in Italia raggiunse il suo climax, in parallelo con il riavvicinamento tra lo stato fascista e la Santa Sede. Nel maggio di quell'anno, il Ministro degli Esteri, Genaro Estrada, minacciò di rompere le relazioni diplomatiche con l'Italia. Più tardi, il 1º settembre, Calles pronunciò un discorso alla Camera nel quale condannava duramente l'ingerenza italiana negli affari interni del paese:

"Quanto alla propaganda clericale all'estero, essa ha assunto le forme più violente ed aggressive [...]. Disgraziatamente, nel caso dell'Italia, l'attività spiegata, in tale campo, in quel paese, ha sorpassato tutti i limiti della prudenza per convertirsi nella più deplorevole e stravagante campagna di insulti, al punto che le relazioni fra i due governi hanno sofferto una grave scossa e possono divenire anche più difficili, se non si farà cessare, in tempo, l'azione di circoli irresponsabili, i quali sostengono l'assurda pretesa d'intervenire nelle questioni interne del nostro Stato".[48]

Da parte messicana si reagì con una campagna di stampa antifascista, capeggiata dal periodico "El Sol", organo dei sindacati ufficiali. Fu anche finanziata la fondazione di un giornale antifascista, "Italia Libre", diretta dall'anarchico italiano Nanni Leone Castelli. Per via diplomatica ci si lamentò, inoltre, dell'ingratitudine italiana, avendo il Messico gentilmente permesso la formazione di fasci sul suo territorio e tenuto a freno per molto tempo le attività antifasciste.

            Dopo questo incidente le relazioni ripresero un corso normale, ma per poco tempo. Nel 1931, infatti, Vittorio Emanuele, re d'Italia, fece conoscere la sua decisione finale sull'arbitrato per l'isola di Clipperton, un piccolo atollo situato nel Pacifico, al largo delle coste messicane, in disputa da lunga data tra la Francia ed il Messico. Nel 1909, sicuro del suo buon diritto, il governo messicano aveva acconsentito ad affidare al re d'Italia l'arbitrato per risolvere la controversia, rimanendo poi questa interrotta e dilazionata a causa delle vicende belliche in Messico ed Europa. Nel 1931, contro ogni attesa, Vittorio Emanuele decise di attribuire l'isola alla Francia, provocando una forte indignazione in Messico. La causa della decisione arbitrale era senza dubbio da ricercarsi nella politica di avvicinamento con la Francia portata avanti allora da Dino Grandi, nell'ambito della politica del "peso determinante" nell'equilibrio tra le potenze europee occidentali.[49]

            Passato il momento critico, il governo messicano riprendeva tuttavia relazioni bilaterali "normali". Anzi, come già abbiamo indicato in precedenza, ci fu un crescente interesse in Messico per l'Italia durante gli anni della Depressione, in quanto il fascismo, con il suo sistema corporativo e d'intervento statale nell'economia, pareva offrire una soluzione efficace -e non "bolscevica"- alla débâcle del liberal-capitalismo. Con il crescere dell'agitazione sociale, inoltre, i governi del Maximato (1929-1934)[50] si spinsero più apertamente di prima a ricercare ispirazione nel modello italiano: in questo periodo si ruppero le relazioni con l'URSS, furono poste sotto controllo le attività comuniste -anche favorendo l'azione dei gruppi nazionalisti di destra- e si cercò di legare più strettamente il sindacalismo allo stato perfezionando il sistema corporativo. 

Tuttavia l'interesse (e le tendenze imitative) furono ancora coperte da stretto riserbo, senza abbandonare le critiche verso il "totalitarismo" di Mussolini, il cui disprezzo per le libertà democratiche suscitava una diffusa repulsione. Il Messico, infatti, seppur rivoluzionario, non aveva mai abbandonato -nella lettera e nello spirito, se non nella pratica- le forme della democrazia liberale, rispettando scrupolosamente gli appuntamenti elettorali ed il ricambio periodico delle cariche di governo. La meta di raggiungere, nel  futuro, un'integrazione politica tendenzialmente democratica non fu mai abbandonata.

L'atteggiamento generale, ambiguo, del Governo messicano verso quello fascista italiano si può facilmente rilevare nei rapporti che inviavano regolarmente l'ambasciata ed i consoli messicani in Italia. Questi erano generalmente critici verso l'aspetto autoritario del regime, ma indicavano con particolare interesse le realizzazioni economiche e sociali di Mussolini, a volte malcelando una certa ammirazione per l'uomo ed il regime. A modo d'esempio citiamo qui una lettera confidenziale dell'ambasciatore Ezequiel Padilla a Calles del novembre 1931:

"Sto assistendo in questo grande popolo italiano ad una tappa di straordinario risorgimento nazionale, di incredibile disciplina, di portentosa ricostruzione, ancor più ammirevole se si considera l'ora di crisi universale e la povertà di risorse materiali dell'Italia. C'è, senza dubbio, del genio in Mussolini, ed una sincera ambizione di grandezza per la sua patria; lo sfondo di questo quadro, tuttavia, è avvolto in una densa oscurità. [...] Non vi è nulla, in Mussolini -formidabile dominatore del popolo e costruttore materiale-, che riveli la sua intenzione di preparare lo spirito pubblico a riavere le sue libertà, la sua capacità di autogovernarsi, la sua vita istituzionale, elementi senza i quali nessun progresso materiale è duraturo".[51]

Qualche anno dopo (1934), si possono ancora osservare commenti similari, tra l'ammirazione e la curiosità, da parte dell'Incaricato d'Affari, Ignacio Uribe:

“Il partito [fascista] nacque come reazione contro le dottrine del socialismo e del comunismo e contro la degenerazione del parlamentarismo italiano. [...] Si appoggia su principi politici evidentemente rivoluzionari, realizzando un nuovo sistema sociale che attualmente, si può dire, costituisce un nuovo aspetto della filosofia politica”.[52]

La svolta nei rapporti bilaterali avvenne nel 1935-36, con l'ascesa al potere del generale Cárdenas e lo scoppio della crisi etiopica.[53]

            L'elezione di Cárdenas segnava una svolta importante nella storia del Messico rivoluzionario. Il generale si fece portavoce del malcontento diffuso per la Depressione, la corruzione politica, la deriva autoritaria ed il mancato compimento delle promesse sociali della rivoluzione del 1910, sancite dalla Costituzione del '17. Diede così inizio ad una politica di massa, populista, portando il corso della politica verso sinistra, fondando una nuova coalizione basata sull'alleanza tra contadini "agraristi", operai e burocrazia statale. Il modello messicano, senza uscire dai binari stabiliti dal processo rivoluzionario, prese così una rotta tendenzialmente "socialista", che non avrebbe potuto più, evidentemente, guardare al modello dell'Italia mussoliniana, che da quella rotta si era, invece, allontanata. Il rompimento con il generale Calles (che fu poi spedito in esilio) segnò, nel 1935-36, la rottura definitiva del corso del "Maximato", comprese le relazioni cordiali che si erano andate stringendo tra questo e l'Italia fascista.

L'occasione per il raffreddamento dei rapporti venne nel 1935, con l'attacco italiano all'Etiopia. Il Messico era entrato nella S.d.N. solo nel 1931, su invito di Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Giappone ed Italia. Sin dall'inizio i rappresentanti del Messico si mostrarono fedeli alla politica portata avanti dal paese nell'ambito latino-americano: soluzione pacifica dei conflitti, non-intervento di un paese negli affari interni di un altro e l'autodeterminazione. Così il Messico difese risolutamente la Cina contro l'attacco del Giappone, l'Austria contro le minacce di Annschluss, l'Etiopia contro l'invasione Italiana e la Spagna repubblicana contro le ingerenze di Italia e Germania.

Nel 1935-36 il Messico, insieme a quasi tutti i paesi latino-americani (eccetto Brasile, Paraguay e Costarica, che non facevano parte della S.d.N.), votò a favore delle sanzioni all'Italia.[54] Anzi, i rappresentanti del Messico fecero di più, difendendo senza mezzi termini l'Etiopia in nome del diritto delle nazioni deboli contro le aggressioni di quelle più forti, e protestando contro il progressivo disinteresse delle maggiori potenze (preludio al riconoscimento de facto dell'occupazione italiana), azione che Hailé Selassié riconobbe pubblicamente al governo messicano nel 1937.

In Messico vi furono poi diverse manifestazioni operaie e studentesche contro il "fascismo aggressore". I sindacati organizzarono anche raccolte di denaro per soccorrere gli etiopi feriti, e chiesero al Deputato Manlio Fabio Altamirano di intervenire nella Camera per promuovere la rottura delle relazioni diplomatiche con l'Italia.[55]  Il Governo messicano, però, si limitò a ritirare il proprio rappresentante a Roma, sostituendolo con un semplice incaricato d'affari ad interim, e riducendo considerevolmente il personale della legazione. Con l'intervento italiano in Spagna, i rapporti tra l'Italia ed il Messico si raffreddarono ulteriormente, avendo Cárdenas preso apertamente le parti del governo repubblicano contro il levantamiento  del generale Franco.

 

Sotto il segno del littorio: la fascistizzazione della comunità italo-messicana

 

Per l'Italia, la via più diretta per penetrare in Messico era, naturalmente, la comunità italiana stabilita nel paese. Composta di sole 7000 o 10.000 persone (comprendendo figli, nipoti e naturalizzati), la comunità italo-messicana si era formata a partire dal 1880 con una piccola corrente immigratoria diretta alla colonizzazione di terre incolte nel centro del paese. La scarsità di immigranti si doveva a due fattori: la presenza di masse di contadini e braccianti poverissimi (che abbattevano drasticamente le possibilità di alti salari agricoli) e la cronica instabilità politica del paese, che ebbe per questo una cattiva fama in Europa durante tutto il XIX secolo. Inoltre, i piani di colonizzazione si scontravano con il regime di occupazione delle terre: quelle migliori erano già in possesso degli hacendados, di compagnie commerciali o di comunità contadine; le uniche disponibili erano povere, pericolose, lontane dai mercati e prive di risorse.

 La sola colonia italiana di una certa importanza era Chipilo, villaggio fondato da veneti, situato non lontano da Puebla, ai piedi del vulcano Popocatépetl. Vi erano, poi, le prospere haciendas "Nueva Italia" e "Lombardía", della famiglia Cusi, situate nel bassopiano centrale dello stato di Michoacán.  Durante la rivoluzione, i coloni di Chipilo dovettero difendersi a più riprese, da soli, contro gli assalti di formazioni ribelli in cerca di saccheggio.  Per quei coloni così isolati, la difesa del villaggio assunse poi le dimensioni di un'epica, ridestando il sentimento nazionale sopito dalla ormai lontana emigrazione.

Nella capitale, invece, la colonia italiana era composta principalmente da commercianti, professionisti, artisti ed intellettuali: una classe media relativamente agiata, che si era integrata senza difficoltà nella società messicana, anche grazie alla comune eredità "latina" e per il "debole profilo" che aveva allora l'Italia all'estero (che non consentiva di enfatizzare troppo l'orgoglio di appartenenza nazionale, come avveniva invece per inglesi, francesi e tedeschi). Durante la rivoluzione, gli italiani della capitale soffrirono danni minori rispetto a quelli che vivevano in provincia. Allo scoppio della Grande Guerra, nella comunità si era risvegliato comunque un certo interesse emotivo per la madrepatria, non scevro da richiami nazionalistici. Alcuni giovani italo-messicani erano persino partiti come volontari per il fronte. La vittoria del 1918 traeva, anche in questa terra remota, esaltazione e speranza per il futuro della "Grande proletaria" da cui tanti italiani avevano dovuto separarsi.

Nel dopoguerra, le notizie sulle difficoltà economiche e la quasi guerra civile che imperversava nella madrepatria, erano poco più che echi lontani nel Messico. Nel 1922, quindi, tra gli italiani, l'avvento del fascismo passò quasi inavvertito. Il cambiamento avvenne invece con la missione del 1924, il susseguente avvicendamento nell'ambasciata, e l'arrivo dei primi fuoriusciti.

Il 23 agosto la nave "Italia" gettò l'ancora nel porto di Veracruz, sbarcando un'imponente comitiva di italiani come mai si era vista nel paese. Il vascello era partito da La Spezia in febbraio, sostando nei porti del Brasile, Uruguay, Argentina, Cile, Perú Ecuador e Panama. Traeva a bordo un campionario di prodotti delle industrie italiane (erano rappresentate 567 ditte), insieme a un nutrito gruppo di uomini d'affari, giornalisti, artisti e rappresentanti politici -700 persone in tutto-, guidati dall'ambasciatore straordinario Giovanni Giuriati.[56]

La comitiva italiana fu sorpresa, all'arrivo, dalla tormenta politica per l'affare Matteotti -il cui cadavere era stato rinvenuto la settimana prima a Roma-. La stampa messicana "di sinistra", aveva preso al balzo la notizia, criticando la visita compiuta dai rappresentanti del governo fascista.[57] Il Partito Comunista Messicano invitò militanti ed operai a protestare contro gli indesiderabili ospiti stranieri. Nel porto di Veracruz apparvero, inoltre, un gran numero di bandiere rosse, fatte sventolare dai balconi delle case da membri dei sindacati "rossi" della città.  Il presidente Obregón, temendo incidenti, telegrafò al Comandante Militare di Veracruz di stare all'erta,[58] e fece notificare a Giuriati che gli italiani non avrebbero potuto indossare camicie nere in territorio messicano.

La delusione della comitiva fu in parte attenuata dal successo che riscosse la visita alla nave: più di diecimila persone solo nel primo giorno. Gli italiani furono poi fatti salire su un treno, con forte scorta militare, diretto a Città del Messico. Nella capitale, la delegazione fu accolta piuttosto freddamente dal Governo. Ebbe, però, il tempo di stringere rapporti con la comunità italiana, che si era mobilitata per accogliere i connazionali, formando comitati di ricevimento. Prima di ritornare, Giuriati fece visita a Chipilo, dove lo aspettava un'accoglienza trionfale. I coloni, infatti, festeggiarono l'arrivo dei connazionali coprendoli di fiori ed intonando, come meglio poterono,  le vibranti note del "Piave..." e di "Giovinezza...". Ricevettero, in cambio, una pietra tratta appositamente dal Monte Grappa e l'assicurazione che, da ora in poi, potevano stare sicuri che l'Italia fascista non avrebbe più abbandonato i suoi figli dispersi nel mondo.[59]

Come corollario della visita del '24 vi fu un importante avvicendamento nell'ambasciata. Il conte Nani Mocenigo, in carica dal 1919, fu sostituito dapprima con il barone Di Giura, e, dopo pochi mesi, da Gino Macchioro Vivalba, [60] che sarebbe poi rimasto come Incaricato d'Affari sino al 1930. Entrambi diplomatici della "carriera", nazionalisti convinti passati poi al fascismo, Di Giura e Macchioro rappresentavano il transito dalla diplomazia prefascista di stile "contariniano" a quella più propriamente fascista, attiva, "politica" e, per certi aspetti, "ideologica".  Il cambiamento  fu completato tra il 1925 e il 1927. I consoli aderirono tutti al nuovo corso, specialmente quello di Puebla, Carlo Mastretta, da cui dipendeva il villaggio di Chipilo. Il nuovo addetto commerciale, Umberto Fabbri, fungeva poi da informatore personale di Mussolini. 

Attorno alla rappresentanza diplomatica prese forma ben presto una rete che riuscì a mobilitare gran parte della comunità italiana: la Società Dante Alighieri, il Comitato Italiano di Assistenza e, soprattutto, il Fascio.

Il Fascio del Messico fu costituito ufficialmente nel 1927, per iniziativa di Eliseo Lodigiani, presidente dell'Associazione ex-combattenti e già rappresentante informale del PNF in Messico. Lodigiani era uno di quei giovani italo-messicani partiti come volontari nel 1915; dopo l'armistizio entrò nelle squadre d'azione, dovendo ben presto (1920) rientrare in Messico, richiamato dal padre per occuparsi dell'amministrazione della fabbrica "La Suiza", proprietà della famiglia. Con la fondazione del fascio, nel 1927, divenne il "federale", cioè il rappresentante del PNF, del Messico. Ben presto sorsero altri fasci in altrettante città messicane, tutti dipendenti da quello della capitale (erano nove in tutto, verso il 1932).[61]

Al fascio della capitale aderì gran parte della colonia, che lo considerava -a parte i pochi fascisti militanti e "t;ideologici"- una specie di "club" del tipo di quelli che avevano le altre colonie straniere più importanti. Alla "casa d'Italia" -sede del fascio- si andava in occasione di cerimonie ufficiali, per ascoltare conferenze e per vedere filmati e pellicole italiane. Momenti di "italianità", quindi, da assaporare ed esibire, per poi rientrare nella vita quotidiana di italo-messicani perfettamente integrati. L'appartenenza al fascio era anche vista come un modo per stringere rapporti personali ed esercitare influenza all'interno della comunità. Attorno al fascio ruotavano poi le attività celebrative e rituali, in occasione delle ricorrenze del calendario patriottico: vi era, per esempio, l'emotivo appello ai caduti, nell'ambito della commemorazione (il 4 novembre) dell'epopea della "Guerra di redenzione".[62] Questi eventi tendevano a rafforzare il sentimento identitario, avverando l'equazione fascismo=patriottismo, attivamente promossa all'estero dai rappresentanti del governo italiano.[63]

Quello che più sorprende è che il governo messicano, tanto suscettibile in materia di ingerenze esterne, abbia permesso la formazione di queste filiali di un partito politico straniero sul suo territorio. La data relativamente tarda della fondazione (1927) e la documentazione disponibile, indicano che, probabilmente, vi furono resistenze ufficiali, superate solo per mezzo di un qualche accordo. Tutto sembra indicare che il Governo messicano acconsentì alla fondazione di sezioni del PNF in cambio dell'assicurazione, da parte italiana, che queste si sarebbero limitate a raggruppare la piccola ed innocua comunità italo-messicana, senza tentare di far propaganda o commettere qualsiasi atto di ingerenza negli affari interni del paese.

Questa sorta di gentlemen's agreement parve funzionare. Includeva, come corollario, un certo grado di cooperazione tra la Legazione italiana ed il Ministero degli Esteri messicano: la prima si impegnava ad evitare incidenti, controllando le attività politiche degli italiani e raccomandando a Roma che moderasse i toni delle critiche antimessicane sulla stampa. Il secondo garantiva il controllo delle attività dei fuoriusciti e la moderazione dei toni delle critiche antifasciste in Messico.

I fuoriusciti erano in Messico pochi, divisi e disorganizzati, legati più a gruppi messicani ideologicamente affini che ad altri connazionali. La nota fotografa triestina Tina Modotti (comunista), per esempio, lavorava con i comunisti messicani, senza turbare eccessivamente la Legazione. L'anarchico ex-fascista Nanni Leone Castelli, invece, dava notevoli grattacapi poiché manteneva contatti con il fuoriuscitismo di Parigi, con quello argentino, con l'ambasciata francese e con ambienti governativi, svolgendo una rumorosa attività pubblicistica ostile al fascismo.[64]

In definitiva, i fascisti (come anche gli antifascisti) autentici erano pochi. V'era, in realtà, una ben scarsa politicizzazione della comunità italiana, la quale vedeva nel fascismo della patria lontana null'altro che un risveglio nazionalista, che elevava il prestigio degli emigrati. Il fervore nazionalista fu notevole soprattutto tra i coloni di Chipilo, raggiunti per la prima volta dalla madrepatria dopo anni di abbandono, e della quale avevano un ricordo soffuso di romanticismo, denso di memorie risorgimentali e di immagini legate alla Grande guerra (che essi leggevano attraverso il filtro della rivoluzione messicana).[65] Nella capitale il fascio si ridusse alla funzione di "club", attraverso il quale, tuttavia, la comunità italiana trovava per la prima volta un punto d'incontro e una parvenza di coesione. La "fascistizzazione" degli italiani si limitava, quindi, a simboli, immagini, spunti emotivi, risorse identitarie ed occasioni di incontro e socializzazione.

Per la Legazione, la "rete" basata sul fascio fu utile soprattutto come mezzo di controllo e per mobilitare in qualche modo risorse patriottiche in favore dell'immagine dell'Italia (ci fu molta attività propagandistica durante il conflitto etiopico). A questo fine provvedeva anche la Dante Alighieri, impegnata a propagare il prestigio italiano nel paese, facendo leva sulle suggestioni e gli spunti culturali più volte segnalati.

 

 

Conclusioni

Quasi ignorata sino ad oggi dalle ricerche, la politica italiana verso l'America Latina deve invece trovare uno spazio proprio nell'ambito degli studi sulla propagazione internazionale del fascismo. Il caso Messicano qui esaminato può apportare senza dubbio elementi per stimolare l'attenzione sull'area.

            Pur tenendo conto dei limiti di una ricerca condotta a partire da un solo caso (Messico) possiamo, in effetti, intravedere la presenza di un progetto geopolitico fascista per il continente, maturato negli anni venti-trenta nell'ambito del sistema di equilibri, rivalità ed ambizioni imperialiste che il regime di Mussolini sosteneva in diverse aree del mondo. Tale progetto risultava articolato nei campi della penetrazione culturale, politica e commerciale, nei quali l'Italia cercava di far fronte alla penetrazione delle altre potenze ed alle difficoltà e resistenze locali. In concreto, fu applicato un ampio programma d'espansione culturale, rafforzando i legami con le comunità italiane e propagando il mito della "latinità", mediante numerose pubblicazioni,[66] viaggi, imprese propagandistiche,[67] convegni e celebrazioni. Accanto ai temi culturali, vi furono tentativi di esercitare influenze politiche più dirette, facendo conoscere le conquiste del regime (nell'ambito di una "terza via" alla modernizzazione, corporativa e nazionalista), offrendo un punto di riferimento in funzione antibolscevica ed antimperialista, seguendo lo sviluppo di movimenti e fazioni all'interno dei singoli paesi, contattando intellettuali, uomini politici e governanti, e mediante la collaborazione militare.[68] In ambito economico, infine, vi fu un tentativo di apertura commerciale, alla ricerca di mercati e di materie prime, sostenuto per mezzo di missioni, esposizioni, pubblicità e trattati bilaterali.

Un riassunto della problematica fascista rispetto all'America Latina si può trovare in un'opera scritta nel 1933 da Oreste Villa, profondo conoscitore della realtà del continente, pubblicata dalla casa editrice romana "Nuova Europa".[69] In questa lunga ed articolata esposizione, Villa denuncia l'assenteismo europeo nel continente, il quale aveva inevitabilmente aperto la strada alla penetrazione nordamericana, asiatica e russa ("bolscevica"). Nel passare in rassegna le potenzialità ed i problemi del continente, l'autore metteva in rilievo le debolezze dei governi, l'indefinizione etnico-culturale, la scarsa programmazione dell'immigrazione e degli investimenti economici europei. Più di tutto lo preoccupava il panamericanismo di Washington -l'opera era stata scritta pochi mesi prima della Conferenza di Montevideo-, espressione del capitalismo monopolistico anglosassone che minacciava di sottrarre per sempre l'America Latina alla penetrazione delle nazioni "latine" del Vecchio continente. Anche in Villa, come già in Appelius, il Messico appare come "il grande baluardo intransigente [...], la pietra granitica contro la quale nulla poteva e potrà mai il cozzare degli S.U.".[70]

            Il Messico, bastione invalicabile alle frontiere della latinità, era per molti aspetti un caso atipico per la politica latino-americana del fascismo. La sua specificità era dovuta, prima di tutto, alla scarsità di immigranti italiani, che lo differenziava dagli altri "grandi paesi", l'Argentina ed il Brasile. La comunità italo-messicana non rappresentava, quindi, un mezzo di penetrazione efficace nel paese. L'Italia fascista era soprattutto attratta dagli aspetti già segnalati dell'esperienza nazional-rivoluzionaria del Messico, unica in America Latina.  Culturalmente, la rivoluzione messicana compiva sforzi notevoli per dotarsi di un mito nazionale con radici nel passato remoto, utilizzabile per costruire il futuro moderno del paese. Le speranze italiane di orientare tale processo mitopoetico verso Roma, e non verso gli Aztechi ed i Maya, urtarono inutilmente contro la muraglia dell'orgoglio nazionalista messicano. Persino l'"ispanismo" aveva più possibilità del "latinismo" nel Messico indigenista.[71]

Per quanto riguarda gli aspetti politici, se l'Italia nutrì qualche speranza di favorire l'evoluzione del regime rivoluzionario verso il modello fascista o impedire almeno che si orientasse verso un modello socialista, dovette ben presto assumere la pressoché nulla capacità di esercitare influenze in nessuna delle due direzioni, se di vere "influenze" pur si può parlare. Il regime messicano procedeva, infatti, su un cammino parallelo a quello italiano, con assoluta autonomia rispetto a questo (era anche, cronologicamente, anteriore). Le ispirazioni eclettiche al fascismo che lo caratterizzarono durante gli anni venti-trenta, non furono mai ammesse ufficialmente. Nell'ambito latinoamericano, in ultima analisi, era un regime autoritario sui generis, ben differente dalle dittature "caudilliste" del Sud America, che potevano offrire, in certi casi, più spazio alla penetrazione politica fascista.[72]

Scontrandosi, così, con ostacoli insormontabili, la politica fascista finì per limitarsi a tenere sotto osservazione le oscillazioni "bolscevizzanti" del regime, l'influenza di Washington e le attività sovietiche, che del Messico avevano fatto un trampolino di lancio diretto a tutta l'America Latina.[73] Quando insorse, alla fine, un momento davvero critico per gli interessi italiani, in occasione delle sanzioni per l'Etiopia, l'Italia fu del tutto impotente ad arginare la ferma presa di posizione messicana.

Il "laboratorio" messicano per l'America Latina, in sintesi, indicava chiaramente i limiti che si frapponevano al raggiungimento degli obiettivi del progetto continentale del fascismo. Per quanto riguarda il continente in generale, infatti, possiamo osservare che l'influenza culturale e politica del modello italiano fu di gran lunga inferiore alle aspettative. Sul piano culturale non si riuscì a fomentare un robusto latinismo orientato verso Roma, sfruttando l'ostilità diffusa verso il panamericanismo yanqui. La "latinità" fascista, infatti, benché ammirata, suscitava molte diffidenze, dato che degradava la comune eredità iberica ad un livello secondario rispetto a quella romana, per non parlare di quella indigena, considerata primitiva e decaduta.

Di fronte alle limitazioni che abbiamo sin qui segnalato, infine, la politica continentale fascista dovette ripiegare su un programma minore rispetto alle ambizioni ed i progetti iniziali, formulati all'inizio degli anni venti e ripresi nei primi anni trenta. Fu data quindi priorità alla penetrazione nelle colonie italiane, alla vigilanza ideologica (contro i fuoriusciti) ed alla propaganda di sostegno internazionale alla politica italiana, con qualche riferimento alla grandezza rinnovata di "Roma". Più in generale, fu dato risalto al modello fascista in funzione anticomunista ed antimperialista, cercando di sfruttare il timore al "pericolo rosso" e la diffidenza anti-yanqui tradizionale in America Latina. In ambito economico, infine, non furono risparmiati gli sforzi per mantenere aperto il continente -unica estesa area del globo non soggetta al dominio coloniale diretto- agli scambi con l'area mediterranea.

 

Franco Savarino

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* Questo saggio raccoglie e sintetizza due relazioni, presentate nel "XII Congreso de AHILA", Oporto, 21-25 settembre 1999, e nel Convegno internazionale: "Fascism in International Context: Europe and America, 1919-1945", Roma, 20-23 giugno 2000.

[1] Gli studi sulla politica estera fascista raramente dedicano qualche attenzione all'area latino-americana. Si vedano, in generale, tra i "classici", Giampiero Carocci, La politica estera dell'Italia fascista (1925-1928), Bari, Laterza, 1969 e, soprattutto, Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso. 1929-1936, Torino, Einaudi, 1996 (prima edizione 1974), capitolo IV. Tra gli studi recenti, MacGregor Knox, "Il fascismo e la politica estera italiana", in Richard J. B. Bosworth e Sergio Romano (coords.), La politica estera italiana, 1880-1985, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 287-330 e Pietro Pastorelli, "La politica estera di Mussolini", in Rivista di Studi Internazionali, nº 255, Anno LXIV, nº 3, luglio-settembre 1997, pp. 390-400; si veda anche Enzo Collotti, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939, Milano, La Nuova Italia, 2000. Sui fasci all'estero si veda Emilio Gentile, "La politica estera del Partito Fascista", in Storia Contemporanea, anno XXVI, nº6, dicembre 1995, pp.897-956.

[2] Si veda, per esempio, una valutazione comparativa contemporanea:  "[In Latin America] There are the Pan-Hispanic aspirations of Spain, the cultural affinity, the sentimental predisposition and melancholy rankling of France, the economic competion of England and Germany, and possibly Italy's interests in its trade and its millions of sons who have gone out to Brazil, Uruguay and Argentina": Fred Rippy, Latin America in World Politics. An Outline Survey, New York, Alfred A. Knopf, 1928, p. 266.

[3] Aldo Albonico, per esempio, sostiene, che Mussolini "non ebbe mai piani di espansione" nel continente, e che "non ci fu, con rispetto all'America Latina, un vero sistema di precetti", al di là delle manifestazioni retoriche ed i "giudizi personali" di alcuni scrittori:  Aldo Albonico, Italia y América, Madrid, MAPFRE, 1994, pp. 165-167. Un sintomo della scarsa attenzione prestata al continente è anche la minima presenza di documenti relativi all'America Latina nella VII e VIII serie deila collezione dei Documenti Diplomatici Italiani.

[4] Gli studi sul Brasile e l'Argentina sono già abbastanza numerosi: si vedano, tra gli altri, Emilio Gentile, "L'emigrazione italiana in Argentina nella politica di espansione del nazionalismo e del fascismo", Storia Contemporanea, anno XVII, nº3, giugno 1986, pp. 355-396; Angelo Trento, "Il fascismo e gli emigrati in Brasile", in Latinoamerica, IX, 1988, pp. 49-56; id., "Il Brasile, gli immigrati e il fenomeno fascista", in Belenguino Vanni (ed.), La riscoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell'emigrazione italiana in America Latina, 1970-1970, Milano, Teti Editore, 1994, pp.250-264; Ronald C. Newton, "Ducini, Prominenti, Antifascisti. Italian Fascism and the Italo-Argentine Collectivity", The Americas, 51, 1, luglio 1994, pp. 41-66; Joao Fabio Bertonha, "O antifascismo no mundo da diaspora italiana: elementos para uma analise comparativa do caso brasileiro", Altreitalie, nº17 (gennaio-giugno), 1998, pp. 16-30. Su altre aree, si vedano: Orazio Ciccarelli, "Fascism and Politics in Peru during the Benavides regime, 1933-39: The Italian Perspective", Hispanic American Historical Review, LXX, 3, August 1990, pp. 405-32 e Lucilla Briganti, "I rapporti tra Italia e Bolivia dall'epoca del primo 'socialismo militare' alla rottura delle relazioni diplomátiche (1936-1942)", Africana, 1998, pp. 71-96. Uno studio generale, più attento ai temi culturali, è invece Pietro Rinaldo Fanesi, "Le interpretazioni storiografiche e politiche dell'America Latina nel periodo fascista", in Alberto Filippi (ed.), Ruggiero Romano, l'Italia, l'Europa, l'America, Camerino, Università di Camerino, 1999, pp. 395-405.

[5] Cfr. Barrington Moore, Le origini sociali della dittatura e della democrazia, Torino, Einaudi, 1992. (1966).

[6] Cfr. un confronto tra le due rivoluzioni in John Mason Hart, El México revolucionario, México, Alianza, 1992 (1987).

[7] Nella sterminata letteratura sul fascismo risaltano le suggestive interpretazioni di George Mosse e Zeev Sternhell, le quali coincidono grosso modo nell'evidenziare l'aspetto di "rivoluzione culturale" del fascismo, sullo sfondo della trasformazione delle correnti del pensiero europeo (includendo quella socialista) a partire dalla fine del XIX secolo (G. Mosse, The Fascist Revolution. Toward a General Teory of Fascism, New York, Howard Fertig, 1999; Z. Sternhell, Né destra né sinistra. L'ideologia fascista in Francia, Milano, Baldini&Castoldi, 1997).  Un'eccellente guida al fascismo internazionale è Stanley G. Payne, Fascism. Comparison and Definition, Madison, The University of Wisconsin Press, 1980. Per il fascismo italiano rimane imprescindibile il più classico, monumentale, lavoro di Renzo De Felice (op. cit.), che, com'è noto, caratterizza il fascismo, sotto il profilo sociologico, come una "rivoluzione della classe media". Recentemente hanno acquisito importanza le ricerche di Emilio Gentile, vicine alle prospettive di Mosse (tra le altre: Il culto del littorio, Roma/Bari, Laterza, 1998).

[8] Nani Mocenigo a Benito Mussolini, Messico, 25/11/1922, ASMAE (Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri), AP.1919-30, Messico, P.1438.

[9] Cfr. un esame della nascita del Partito in Javier MacGregor, "'Orden y justicia': El Partido Fascista Mexicano 1922-1923", in Signos Históricos, nº 1, enero-junio 1999, pp. 150-180.

[10] Carleton Beals, Mexico. An Interpretation, New York, B.W., 1923, p. 141. Sáenz de Sicilia fondarà, nel 1936, un'altra organizzazione similare, la "Confederación de la Clase Media", dichiaratamente anticomunista.

[11] "Gli hacendados, organizzati nel "Sindicato de Agricultores" per lanciare un'offensiva contro la riforma agraria del governo, si sono uniti alla fine, nella maggior parte delle località, con i fascisti", ibid., p. 141.

[12] Carleton Beals, "The Mexican Fascisti", Current History, Vol. XIX, october 1923, p. 261.

[13] Nani Mocenigo a Benito Mussolini, Messico, 25/11/1922, ASMAE, AP.1919-30, Messico, P.1438.

[14] Già Deputato, Ministro del Tesoro durante la rivoluzione, e Governatore di San Luís Potosí, Rafael Nieto fu poi ambasciatore del Messico in Svezia, dove ebbe modo di esaminare la situazione dell'Europa postbellica, e quindi ambasciatore in Italia nel 1925-26. In Italia mantenne contatti con capi sindacali e leader politici dell'opposizione, in particolare con Filippo Turati, da cui la ricchezza di dati che Nieto disponeva per esaminare la situazione interna dell'Italia. Prima di Nieto, il Ministro messicano Julio Madero -che simpatizzava per i fascisti- aveva invece adottato l'interpretazione delle classi medie e del Partito Fascista, scrivendo che il fascismo aveva posto fine all'anarchia bolscevica, grazie all'azione energica di Mussolini: Informe di Julio Madero a SRE, Roma, 3/07/1924, Archivo Historico de la Secretaría de Relaciones Exteriores (AHSRE), 21-26-34.

[15] Informe del Ministro de México en Italia, Rafael Nieto, Roma, 15/03/1925, Fideicomiso Archivo Plutarco Elías Calles y Fernando Torreblanca (FAPECyFT), PEC, 73-55-3998-2/3.

[16] Tra gli economisti messicani, alla ricerca di un modello anti-depressione, c'era un grande interesse per la politica economica fascista. Il famoso economista C. Díaz Dufoo, per esempio, descrisse con ammirazione i successi economici italiani, concludendo: "Peccato che questo regime sia fondato sulle rovine delle libertà!": C. Díaz Dufoo, Vida y ritmo de la economía, México, Librería Navarro, 1934, p. 445.

[17] "Programa que la comisión [...] nombrada por el 'Bloque Juventud Revolucionaria' desarrolllará en su viaje de estudio a Italia (México, 1933), ASMAE, AP 1931-45,  Messico,  b.2.

[18] Rapporto di D. Rogeri a MAE, Messico, 1/02/1934, ASMAE, AP 1931-45,  Messico,  b.3. Due mesi dopo scriveva ancora che "per il problema sociale, il Governo ed il Partito si interessano molto dei nostri orientamenti corporativi e seguono con attenzione il nostro lavoro ed il nostro sviluppo, dimostrandosi entusiasti dei nostri principi, ed hanno una grande considerazione per la politica Mussoliniana...", Messico, 19/04/1934, ASMAE, AP 1931-45,  Messico,  b.3.

[19] Rapporto di E. Vasconcelos (Roma, 1935), FAPECyFT, PEC 76-32-5800.

[20] Più volte segnalate da diversi storici, le ispirazioni "fasciste" nella politica messicana tra il 1928 ed il 1934 non sono state oggetto di studi e, allo stato attuale del conoscimento, non hanno riscontro esplicito in nessun documento ufficiale. Se vi furon inflenze, queste furono indirette, generiche, non dichiarate o volutamente occultate dalla classe dirigente messicana.

[21] Per esempio, i comunisti tacciarono di "fascista" il progetto della nuova Legge Federale del Lavoro presentato al principio del 1931, paragonandolo alla "Carta del Lavoro" di Mussolini: El Machete, 1ª quindicina di febbraio 1931.

[22] Nell'autunno del 1935 si verificarono vari episodi di protesta contro l'aggressione all'Etiopia. Il 2 ottobre vi fu una manifestazione, organizzata dal "Frente Popular Antiimperialista", di fronte della Legazione d'Italia; in un'alta manifestazione, il 19 dello stesso mese, fu distrutta la sede del periodico "El Correo de Italia".

[23] Il fascismo divise il mondo intellettuale messicano: José Vasconcelos e Gerardo Murillo si convertirono in accesi pro-fascisti, mentre Diego Rivera, V. L. Toledano e D. A. Siqueiros furono attivamente antifascisti.

[24] È il caso del famoso gruppo "Acción Revolucionaria Mexicanista", i cui membri erano meglio conosciuti come "Los Dorados" o "Camisas Doradas", per il colore delle uniformi, che ricbiamava il famoso corpo di cavalleria di Pancho Villa. Fondate nel marzo del 1934, le Camicie Dorate si organizzarono in squadre d'assalto anticomuniste che attaccavano le manifestazioni operaie e le sedi dei sindacati. Si ispiravano -anche se non lo ammettevano apertamente- al modello delle S.A. tedesche e delle camicie nere italiane: cfr. Hugh G. Campbell, La derecha radical en México, 1929-1949, México, SEP, 1976, pp. 50-61. A partire dal 1935, inoltre, l'ambasciata italiana a Città del Messico ricevette sempre più spesso richieste d'aiuto da parte di persone ed organizzazioni contrarie alla svolta "bolscevizzante" intrapresa dal regime cardenista.

[25] Una pubblicazione del maggio 1922, Italia e Messico (Roma), riporta titoli come: "Dimostrazioni... messicane punite dalla Questura", "le gesta messicane del Maggio radioso", "... manifestazioni messicane", riferentisi a fatti accaduti in Italia. Nel 1919 l'incaricato d'affari italiano in Messico aveva scritto che "Lo stato normale del paese è, è stato e sarà la rivoluzione...", A. Cantoni Marca a Sidney Sonnino, Messico, 2/06/1919, ASMAE, AP 1919-30, Messico,  p.1438.

[26] Un osservatore privilegiato di entrambi i fenomeni fu il conte G. Battista Nani Mocenigo che, ambasciatore italiano a San Pietroburgo durante la rivoluzione socialdemocratica del '17, fu poi trasferito in Messico, potendo raffrontare direttamente le due esperienze rivoluzionarie. Nel 1922 rilevava infatti come "fra le due grandi rivoluzioni contemporanee messicana e russa  vi è una grande analogia non solo nel loro significato [...] ma altresì per gli eccessi a cui esse rivoluzioni giunsero": Nani Mocenigo a Carlo Schanzer, Messico, 9/05/1922, ASMAE, AP 1919-30, Messico,  P. 1438.

[27] L'immagine di Calles come "bolscevico" era alimentata in gran parte da scritti (articoli e libri-denuncia) di origine anglosassone.

[28] Cfr. anche il rapporto dell'ambasciata a Dino Grandi del 6/01/1931, nel quale si definiva la riforma agraria messicana un "...capolavoro di balordaggine radico-socialista, che ha tolto le terre a chi le lavorava per darle a chi di lavorarle non ha generalmente nè la voglia nè i mezzi", ASMAE, AP 1931-45, Messico, b.1.

[29] I primi riferimenti di epoca fascista al Messico furono il prodotto della visita della nave "Italia" nel 1924: Piero Belli, Al di là dei mari..., Firenze, Vallecchi, 1925; Enrico Carrara, Ventotto porti dell'America Latina tra Atlantico e Pacifico con la R. Nave "Italia", Torino, Alberto Giani, 1925; Manlio Miserocchi, La crociera della Nave Italia. L'America Latina attraverso il mio oblò, Pistoia, G. Franzini, 1928; Enrico Rocca, Avventura Sudamericana, Milano, Alpes, 1926: tutti diari di viaggio scritti da altrettanti giornalisti e scrittori partecipanti alla missione.

[30] Arnaldo Cipolla, Montezuma contro Cristo: viaggio al Messico, Milano, Agnelli, 1927 (viaggio: 1926); Mario Appelius, L'Aquila di Chapultepec (Messico), Milano, Alpes, 1929 (viaggio: 1928); Emilio Cecchi, Messico, Milano-Roma, Treves, 1932 (viaggio: 1930). Negli stessi anni viaggiò in Messico, per motivi scientifici, l'archeologo Guido Callegari (nel 1923 e 1927), pubblicando poi una pregevole monografia: Messico, Milano, Vallardi, 1931.

[31] Appelius, op. cit., p. 9.

[32] Vi sono, nell'opera di Appelius, molti altri temi che attraevano ed affascinavano il fascista autentico, ideologico: dagli atteggiamenti di virilità spartana e sfida alla morte che si osservano nella cultura popolare messicana (antitesi dell'aborrita cultura borghese) al cesarismo dei grandi capi della rivoluzione, che ovviamente richiamava quello tributato al Duce o al "Comandante" in Italia. Álvaro Obregón, e persino il "socialmassonico" Calles, sono talvolta elogiati ed ammirati per le qualità di condottieri audaci alla guida di un popolo vitale e risoluto. La rivoluzione messicana, in quest'ottica, diventava una manifestazione dell'élan vitale del paese, che i fascisti potevano apprezzare, in contrapposizione alla "decadente" e "giolittiana" dittatura di Porfirio Díaz, che quella aveva rovesciato.

[33] Appelius, op. cit., p 106.

[34] In realtà la relazione con il prestigioso passato delle civiltà precolombiane del Messico è più articolata, anche all'interno della stessa opera dello scrittore. Non si mette in discussione il valore di quel passato le cui rovine erano oggetto, in quegli anni, di intensi studi archeologici (si vedano anche le ricerche del già ricordato Guido Callegari), pur subordinandolo alla preminenza delle antiche civiltà del Mediterraneo. Ma con la Conquista spagnola, quel passato era ormai morto, sterile per costruire un futuro.

[35] La "latinità" aveva due obiettivi principali: ravvivare l'orgoglio nazionale degli italiani emigrati, e lanciare un ponte culturale verso i paesi latinoamericani in generale. Il Messico, quasi privo di emigrati, è un esempio del secondo obiettivo. Su questo terreno, tuttavia, il "latinismo" promosso dall'Italia doveva confrontarsi con l'"ispanismo" (hispanidad) della Spagna, più radicato nel sedimento storico-culturale del continente. Si trattava, in effetti, di due richiami differenti dal punto di vista della modernità, perché l'ispanismo si caratterizzava come decisamente conservatore, mentre il latinismo era tendenzialmente progressista. Al "latinismo" si sommava poi il "bolivarismo", cioè il culto al libertador  Simón Bolívar, assurto a simbolo di unità latinomericana contrapposta a quella panamericana promossa dagli Stati Uniti ("monroismo"). L'Italia fascista promosse un attivo culto a Bolívar, capo carismatico che faceva pensare naturalmente a un "duce" di stile italiano: si veda Alberto Filippi, "Las interpretaciones cesaristas y fascistas de Bolívar en la cultura europea" in Latinoamérica. Anuario de Estudios Latinoamericanos, nº 17, 1995, pp. 165-204.

[36] Nel 1930 Macchioro sottolineava come in generale "l'Italia ha molti interessi da tutelare in Messico, mentre nessun interesse messicano esiste in Italia, G. Macchioro a MAE, Messico, 1930, AP 1919-30, Messico, P. 1441.

[37] Si veda Il Messico. Sviluppo economico e relazioni commerciali con l'Italia, Roma, Istituto Nazionale per l'Esportazione,1929.

[38] La speranza era di poter captare un maggior flusso di petrolio verso l'Italia. Gli idrocarburi messicani erano diretti, allora, quasi completamente, verso gli Stati Uniti, e poi verso l'Impero Britannico, Cuba, l'Argentina, Panama, il Cile ed i Paesi Bassi. L'interesse italiano per gli idrocarburi messicani diminuì verso la fine degli anni venti, in concomitanza con la discesa -relativa ed assoluta- della produzione pettrolifera del paese.

[39] D'Annunzio scrisse anche un motto per la nuova società: "Studium In Motu/Suscipit Impellit Movet/Splendet Innexum Munus/Sub Ipsa Matre", e patrocinò direttamente una delle due missioni del 1923, quella del giornalista amico suo Arturo Norcia. Nell'ambito di queste iniziative per promuovere l'interscambio tra i due paesi, va anche segnalata la pubblicazione, nel 1924, di uno studio -di carattere descrittivo- sul paese:  Mario D'Arpi, Messico, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1924.

[40] "There is no doubt that Mexico is very widely regarded as the leader of Latin America against Yankee America": J. W. Brown, Modern Mexico and its Problems, London, Unwin Brothers, 1927, p. 96.

[41] Entrambe i principi erano sorti per effetto dell'interventismo degli Stati Uniti in Messico: nel 1914 e nel 1916, nel pieno della guerra civile, il paese soffrì due parziali occupazioni da parte di truppe nordamericane e, durante lo svolgimento del processo rivoluzionario, furono continue le ingerenze ed i riconoscimenti condizionati (o disconoscimenti) dei successivi governi.

[42] I diplomatici italiani ebbero spesso a lamentare il cambiamento di fondo che si era verificato tra il 1910 e il 1920, quando il paese passò, a tappe successive -con l'eccezione della politica pro-germaniica di Carranza durante la Guerra- dall'orbita politico-economica europea (britannica, francese e tedesca) a quella nordamericana.

[43] Una delle differenze più importanti tra l'Italia fascista ed il Messico nazionalista è proprio la politica espansionista della prima, che è del tutto assente nel secondo (nemmeno sotto forma di nazionalismo irredentistico o revanscistico verso gli Stati Uniti, padroni di vaste terre sottratte al paese nel 1848).

[44] Informe del Ministro de México en Italia, Rafael Nieto, Roma, 15/03/1925, FAPECyFT, PEC, 73-55-3998-2/3.

[45] Arnaldo Córdova, La Revolución en crisis. La aventura del maximato, México, Cal y Arena, 1995, pp. 171-185.

[46] La percentuale fu pressochè identica o anche minore nelle altre commissioni bilaterali. Il rappresentante del Messico nella commissione italiana fu, dal 1928 al 1932, il celebre internazionalista ed ex-Ministro degli Esteri, Isidro Fabela.

[47] G. Macchioro a MAE, Messico, 1930, AP 1919-30, Messico, P. 1441.

[48] Cit. in Genaro Estrada, Un siglo de relaciones internacionales de México, México, SRE, 1935, p. 411.

[49] Sulla questione dell'arbitrato, si veda Miguel González Alvear, Clipperton, isla mexicana, México, FCE, 1992.

[50] Calles si faceva chiamare allora "Jefe Máximo" -cioè "capo supremo"- della Rivolluzione. Da qui il nome di Maximato per il periodo del suo dominio sulla politica messicana

[51] Ezequiel Padilla a Calles, Roma, 7/11/1931, FAPECyFT, PEC 58-7-4283-1. Degli ambasciatori messicani in Italia in quel periodo, Julio Madero (1923-24) fu profascista, mentre mentre invece Rafael Nieto (1925-26), Carlos Puig Casauranc (1926-27), Bernardo Gastélum (1929-30), Ezequiel Padilla (1930-32) e Manuel C. Téllez (1933-35) ebbero un atteggiamento di osservazione critica verso l'Italia fascista. Nieto, in particolare, fu un critico attento e severo degli aspetti autoritari del regime. A partire dal 1936 il tono dei rapporti diplomatici cambia bruscamente, con critiche sempre più spesso esplicitamente antifasciste.

[52] Ignacio Uribe a SRE, Roma, 31/10/1934, AHSRE, 34-5-12(IV).

[53] Il cambiamento dei rapporti diplomatici fu a carico del Ministro degli Esteri Eduardo Hay (1935-40), che, per ironia del destino, era stato ambasciatore del Messico in Italia dal 1918 al 1923, e, quindi, il primo osservatore messicano della nascita del fascismo (per il quale non nutriva, a quanto sembra, nè avversione nè ammirazione).

[54] Il Messico fu uno dei sostegni più validi del fronte sanzionista. Il primo rappresentante messicano alla S.d.N., Marte R. Gómez, fece parte della Commissione dei Diciotto (incaricata di stabilire le sanzioni) e fu Presidente del Comitato incaricato di esaminare l'embargo petrolifero: in tale ambito, fece rilevare che, seppure il Messico era disposto, per parte sua, a cessare le esportazioni di greggio, la non partecipazione degli Stati Uniti rendeva inutile lo sforzo per effettuare l'embargo petrolifero.

[55] Altamirano (Deputato per lo Stato di Veracruz), presentò in Parlamento una mozione di protesta per l'invasione dell'Etiopia, esclamando: "Alziamo la nostra voce di rivoluzionari contro il nuovo massacro che compie la borghesia organizzata": Alfonso Taracena, La verdadera revolución mexicana (1935-1936), México, Porrúa, 1992, pp. 161-162.

[56] Nonostante l'importanza della missione della Nave Italia in America Latina, non si sono fatti, sino ad oggi, studi approfonditi su di questa. Dati per studiare più a fondo il tema esistono nell'Archivio Giuriati (soprattutto la relazione ufficiale della missione), nelle opere pubblicate dai partecipanti al viaggio (i libri già citati di Belli, Carrara, Miserocchi e Rocca e quello scritto da G. Giuriati, La crociera italiana nell'America Latina, Roma, Istituto Cristoforo Colombo, 1925), in opuscoli pubblicitari (cfr. Crociera Italiana nell'America Latina. Anno 1924. Catalogo Ufficiale, Milano, Casa Editrice di Pubblicità F. De Rio, 1924; per la tappa messicana: La R. Nave Italia, México, Scuola Tipografica Salesiana, 1924), negli archivi diplomatici e nella stampa. Si veda anche un accenno in Emilio Gentile, "L'emigrazione...", op. cit., pp. 379-381 e vari articoli in un album di recente pubblicazione: Sartorio 1924. Crociera della Regia nave "Italia" nell'America Latina, Roma, Ist. Italo-Latinoamericano, 1999/2000.

[57] El Machete, comunista, fu il più aggressivo. La stampa conservatrice, invece, elogiò negli italiani i campioni della lotta contro il "bolscevismo". Le critiche anti-italiane cessarono quando fu pubblicato un brano del discorso di Matteotti del 30/05/1924, dove il deputato aveva paragonato i fascisti ai "messicani", per le violenze che perpetravano.

[58] A. Obregón a Juan A. Almazán, Mexico, 11/08/1924, FAPECyFT, FFT, 28-795-1/2.

[59] Le descrizioni dell'accoglienza alla delegazione italiana sottolineano entusiasticamente il sincero fervore per l'incontro e la sorprendente "italianità" conservata da quegli sperduti coloni. Gli italiani furono anche compìaciuti nel constatare la situazione di prosperità di cui questi godevano, ed il "dominio" che esercitavano sugli elementi naturali e sulle popolazioni indigene circostanti: cfr. P. Belli, op. cit., p.297.  Chipilo si sarebbe convertita, per Giuriati ed i successivi visitanti, nella colonia-modello italiana in America Latina: orgogliosa e gelosa custode delle migliori tradizioni italiche e romane contro la "minaccia delle turbe di indii bolscevizzati".

[60] Macchioro, di origini venete, diplomatico abile e consumato, aveva iniziato la sua carriera nel 1896, svolgendo importanti missioni in Africa, Brasile ed Europa: nel 1919 fu il rappresentante italiano nella Commissione d'Armistizio che preparò il Trattato di Saint-Germain; fu poi ambasciatore in Lettonia-Lituania ed in Etiopia. Al momento della nomina per il Messico, era Direttore dell'Ufficio Cifra del MAE. I successori di Macchioro rappresentavano invece un fascismo più superficiale, burocratico, e tendenzialmente conservatore: il conte Gianfranco Viganotti Giusti (1931-32), milanese; il piemontese Delfino Rogeri dei Conti di Villanova (1932-35) ed il conte Alberto Marchetti di Muriaglio (1935-42), torinese.

[61] A Monterrey, Guadalajara, Tampico, Puebla, Orizaba, Córdoba, Veracruz e Mérida. Il fascio di Puebla-Chipilo -il più importante fuori dalla capitale- fu fondato il 19 dicembre 1927 con 87 iscritti, raggiungendo il numero di 106 membri sei mesi più tardi. Sui fasci messicani si veda la documentazione (non abbondante) nell'ASMAE, AP. 1919-30 e 1931-35, Messico; cfr. anche i pochi numeri superstiti della rivista del fascio, Italia Nuova, ed articoli sporadici sulla rivista Il Legionario. La scarsa documentazione scritta è stata integrata con interviste alla famiglia Lodigiani ed altre, discendenti di italiani.

[62] Uno degli aspetti forse più intensi della partecipazione comunitaria italiana fu quello della commemorazione patriottica della Guerra. Guerra non vissuta direttamente se non da pochi volontari, e quindi trasfigurata in una specie di mito; riletta anche attraverso l'esperienza della difesa comunitaria durante la rivoluzione nel villaggio italiano di Chipilo (nel 1914 e nel 1916 questo fu attaccato da forze zapatiste).  Risulta anche qui, a tanta distanza, la forza e l'efficacia di quella specie di religione civile, religione della Patria, fondata sul culto ai caduti, che aveva alimentato l'immaginario nazionalista e fascista in Italia. Si veda, su questo tema, Emilio Gentile, Il culto…, op. cit..

[63] Su questa intensa spinta propagandistica si noti, per esempio, un comunicato di Macchioro alla comunità italiana in Messico in occasione della festa del XXI aprile (natale di Roma); "La ragione suprema, ed il principale motivo d'essere, del Fascismo è la valorizzazione della Nazione, la quale dovrà essere ricondotta alla sua antica grandezza e ricollegata alle tradizioni di Roma", Messico, 21/04/1927, ASMAE, AP 1919-30, Messico,  p. 1440.

[64] Castelli rappresentava in Messico l'antifascista "Unione Democratica Italiana". Il suo approdo al fuoriuscitismo era stato tortuoso. Già anarchico, fiumano, poi aderente al fascio di Bologna, era in seguito espatriato negli Stati Uniti, dove collaborò per qualche tempo con Luigi Barzini nel Corriere d'America. Passò poi in Canada, dove diresse i giornali "L'Italia" e "Fiamme d'Italia", e quindi, nel 1926, in Messico. Qui svolse una virulenta attività pubblicistica antifascista (tra cui il periodico Italia Libre), sovvenzionata in parte dallo stesso governo messicano, che si serviva di Castelli per fare pressioni sulla Legazione italiana.

[65] La penetrazione dell'immaginario e della simbologia fascista tra i coloni di Chipilo fu notevole. Questi celebravano tutte le ricorrenze del calendario nazionale indossando uniformi della Milizia (MVSN) e cantando inni nazionalisti e fascisti. I bambini del villaggio erano "balilla" e "piccole italiane", e frequentavano una scuola italiana, vigilati dal ritratto del Duce. Nel 1932 il fascio di Puebla-Chipilo, con sede nella città di Puebla, fondò una "casa d'Italia" anche nel piccolo paese, dove risiedeva la maggioranza degli iscritti.

[66] Abbiamo fin qui segnalato, in particolare, le opere riferentisi al Messico. Un numero ancora maggiore di libri furono scritti sull'America meridionale. Furono poi pubblicate, in quegli anni, alcune riviste specializzate sull'area: Rivista d'Italia e d'America (1923-28), Le Vie d'Italia e dell'America Latina (1924-32) e Colombo (1926-31).

[67] Si ricordi l'avventurosa trasvolata atlantica di De Pinedo, nel 1927, e quella diretta da Balbo nel 1930-31.

[68] Sulle missioni militari -con particolare riguardo a quella dell'Equador- si veda la tesi di laurea di Cristina Cavaglià,"Stormi d'Italia sul mondo: America Latina e Italia fascista tra propaganda e politica estera", Torino, Università di Torino, 1994-95. Cfr. il caso boliviano in L. Briganti, op. cit.

[69] Oreste Villa, L’America Latina, problema fascista, Roma, Nuova Europa, 1933. Villa era Consigliere dell'Istituto Fascista di Propaganda Nazionale, per incarico del quale, nel 1925, diresse una missione commerciale in America Latina. Posteriormente fu addetto commerciale italiano in Messico nel 1939-40. Si veda anche il saggio storico di Piero Pieri, L'America Latina dal 1900 al 1930, Napoli, Tipomeccanica, 1934. Cfr., inoltre, un intervento, più breve, di Gioacchino Volpe al Primo Convegno Nazionale per gli Studi di Politica Estera (Milano, 15-17/10/1936) dal titolo "Le relazioni politiche, economiche, spirituali tra l'ltalia e L'America Latina" (Milano, Ist. di Studi Politici Internazionali, 1936), incentrato sull'emigrazione italiana.

[70] Villa, op. cit., p. 71. Sul panamericanismo anche Pieri precisava che "Da una simile invadenza degli Stati Uniti, l'Italia non ha nulla da guadagnare; ed essa ha troppi interessi laggiù, (e maggiori potrebbe averne in seguito), per disinteressarsi della cosa": Pieri, op. cit., p. 46.

[71] Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il "primato" di Roma era estensibile al di là delle differenze etniche di cui il Messico, paese al 90% meticcio ed indio, era un eccellente esempio. Il meticciato, infatti, era benvenuto se si orientava "spiritualmente" verso la latinità. In tal caso, tuttavia, si sarebbero dovute subordinare le componenti africane ed indigene, le prime incapaci di civiltà, e le seconde ormai decadute. In polemica con l'indigenismo ufficiale messicano, Appelius sosteneva che "...L'indianismo non è [...] una bandiera etnica e storica da inalberare da un popolo dinamico e promettente come il popolo messicano, quando per fare ciò deve ammainare la più gran bandiera etnica e storica del mondo -quella di Roma- alla quale ha diritto": op. cit., pp. 354-355. L'indio, comunque, era talvolta esaltato come l'archetipo vitale di una forza etnica primordiale o come una specie di "buon selvaggio" romantico.

[72] Sulle dittature sudamericane si veda Ludovico Incisa di Camerana, I caudillos. Biografia di un continente, Milano, Corbaccio, 1994, pp. 195-245. Non si deve, però, concludere che i regimi militari latinoamericani fossero troppo permeabili alle influenze fasciste: per esempio, S. Payne esclude la presenza di autentiche tendenze "fasciste" in America Latina, indicando come una delle cause principali proprio l'incompatibilità tra militarismo strictu sensu e fascismo: Payne, op. cit., p. 19 e pp. 167-175.

[73] Il Messico ebbe un piccolo ma attivo Partito Comunista pro-sovietico sin dal 1919 e, soprattutto, mantenne relazioni diplomatiche con l'URSS tra il 1924 ed il 1930. L'ambasciata sovietica a Città del Messico era, notoriamente, una centrale di propaganda che sosteneva l'attività del Komintern in tutto il continente (per questo motivo furono rotte le relazioni tra i due paesi nel '30). Sulle relazioni messicano-sovietiche si veda Daniela Spenser, El triángulo imposible. México, Rusia Soviética y Estados Unidos en los años veinte, México, Ciesas/M.A.Porrúa, 1998.

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