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Americhe

Fonte: http://www.techcentralstation.com/index.html

Data : 24.02.04

L’ARRIVO DELL’UOMO DI KENNEWICK

Dopo quasi otto anni di contese e litigi il caso dell’Uomo di Kennewick si è concluso presso la Nona Corte d’Appello, e la scienza archeologica sembrerebbe avere vinto – almeno per adesso.

In una decisione del 4 febbraio, la Nona Corte ha stabilito che, non potendo essere stabilita una relazione tra indiano-americani e Uomo di Kennewick – fisicamente, contestualmente o altrimenti – la questione non ricade sotto la regolamentazione del NAGPR, l’Atto per la Protezione ed il Rimpatrio dei Seppellimenti dei Nativi Americani. Potrà essere piuttosto applicato l’Atto per la Protezione delle Risorse Archeologiche (ARPA) e le ossa potranno essere studiate dagli antropologi. Le tribù pretendono che ogni resto umano pre-colombiano sia considerato nativo americano, a prescindere dal fatto che la tribù o la cultura individuale esista ancora in tempi moderi, e proporranno certo appello alla decisione del tribunale.

L’Uomo di Kennewick è in realtà uno scheletro quasi completo trovato a Kennewick, Washington, nel 1996, da due studenti che esploravano il Fiume Columbia. Analisi di taglia – alto circa 5 piedi e 10 – struttura, forma del cranio ed altre caratteristiche lo differenziano dalle popolazioni di Nativi Americani. Test al radio carbonio hanno rivelato che deve essere morto tra 8,340 e 9,200 anni or sono (è certo un esemplare antichissimo, quindi, ma non il più antico; questo onore spetta allo scheletro dell’Idaho, datato a 10,600 anni or sono).

Tutto ciò ha attratto l’attenzione degli antropologi curiosi di scoprire come le Americhe furono popolate: se ad opera di membri di una singola cultura ed etnia, e per ondate successive. O se invece il Nuovo Mondo sia stato abitato da differenti popolazioni che penetrarono in tempi differenti. Se si provasse vera questa seconda teoria, forse l’Uomo di Kennewick potrebbe essere il rappresentante di uno di questi altri gruppi.

Gli esami sulle ossa sono stati però bruscamente interrotti quando il Corpo del Genio Militare degli Stati Uniti, che gestisce la proprietà federale dove sono state trovate, si è schierata con le tribù di Nativi Americani che reclamavano le ossa come proprie, e che pretendevano che “l’Antenato” fosse sepolto secondo quanto disposto dal NAGPRA – la legislazione che intende riportare al luogo di sepoltura originario le migliaia di resti di Nativi Americani custoditi nei musei, e prevenire nuove spoliazioni dei siti da parte di archeologi, abituati ad usare i sepolcri dei nativi americani come terreno di studio. Il Genio Militare ha sequestrato le ossa agli antropologi per restituire il Kennewick Man alle tribù che lo reclamavano. La questione però è finita davanti al giudice.

Il Kennewick Man è divenuto così un caso simbolo, non solo per quel che le ossa possono dirci circa l’arrivo umano nelle Americhe, ma primariamente per le sue implicazioni post-NAGPRA.

 

SALTARE IL PONTE DI TERRA

Chiunque abbia seguito per più di 30 minuti Discovery Channel conosce la teoria prevalente sul modo in cui le Americhe furono popolate: in qualche momento nel corso degli ultimi anni della glaciazione del Wisconsin, i Paleo-indiani emigrarono dall’Asia attraverso il ponte di terra dello stretto di Bering che collegava Siberia e Alaska, viaggiando attraverso un passaggio tra il Foglio di Ghiaccio Laurentide ad est ed il Ghiacciaio Cordigliera ad ovest. Ma qui abbiamo la teoria presenta una serie di lacune. In primis, le moderne mappature ed analisi hanno mostrato che esisteva un minimo incentivo a procedere sul “corridoio libero dal ghiaccio” – il terreno era impervio, privo di alberi, ventoso, ed a tratti bloccato dagli stessi fogli di ghiaccio, che riemergeva in alcuni punti. Così qualsiasi pioniere del Nuovo Mondo che percorresse una rotta di terra, vi arrivò probabilmente dopo il 13,000 a.C., quando i ghiacciai che componevano il Foglio di Laurentide erano in rapido ritiro. I primi siti abitativi in Alaska, datati al 11,700, lo evidenziano.

Un sito ancora più antico è Monte Verde. Situato in un terreno attualmente paludoso nel Cile meridionale, Monte Verde è un insediamento dove ossa e manufatti di legno sono stati consistentemente datati al radio-carbonio tra l’11,800 ed il 12,000 a.C. Vi sono altri siti che rivendicano la prima occupazione (più notevolmente Meadowcroft Rock Shelter in Pennsylvania), ma fino ad ora Monte Verde ha superato lo scrutinio. Così è possibile che i popoli camminarono energicamente dall’Asia all’estremità del Sud America, attraverso terreni impervi, entro un millennio dalla recessione del Laurentide?

 

UNO PER TERRA, DUE PER MARE

Gli archeologi hanno a lungo dato per assunto che queste prime culture immigrate avessero basi terrestri, dal momento che non sono state rinvenute evidenze di canoe o altri manufatti marittimi in associazione ad esse. Ma una delle premesse si basa su un notevole gap nella documentazione; tutto sommato, è abbastanza improbabile che qualcuno possa trovare kayak e arpioni nelle Grandi Pianure, dove si trova la maggior parte dei siti paleo-indiani. Perfino molti dei siti “costieri” scavati in tempi moderni si trovavano nell’entroterra alla fine dell’ultima era glaciale, quando l’acqua intrappolata nei fogli di ghiaccio abbassò i livelli del mare di circa 330 piedi.

Forse invece di viaggiare nell’entroterra, gli umani entrarono nel Nuovo Mondo lungo le coste del Ponte di Terra di Bering e giù lungo la costa occidentale del Nord America. Forse queste popolazioni cacciavano i grandi mammiferi marini lungo la via, e forse utilizzavano canoe o altre piccole imbarcazioni che avrebbero permesso loro di superare aree in cui i ghiacciai correvano nel mare, bloccando l’accesso alla terra. Se così fosse, allora le teorie riguardanti un corridoio libero dai ghiacci diverrebbero dubitabili.

Le domande circa l’entrata nelle Americhe prima del 13,000 a.C.,quindi, si fanno più interessanti.

La sola ragione per cui la possibilità di migrazioni costiere è finora stata ignorata è perché ogni rilevante evidenza si trova lungo l’antica linea di costa, e non sotto acqua. Recentemente, invece progressi hanno permesso ai programmi archeologici sottomarini di studio della Texas A&M, della Florida State University di estendere le ricerche oltre i naufragi e sviluppare una vera e propria archeologia preistorica. I “progressi” sono essenzialmente “maggiori finanziamenti” poiché lo sviluppo dei programmi ha molto a che fare con le forniture di materiale, di equipaggiamenti subacquei e di continui aggiornamenti tecnologici. Molte delle tecniche applicate all’archeologia terrestre – mappatura e survey con sofisticate strumentazioni - possono ora essere utilizzate perfino a 20,000 leghe sotto i mari.

Nessuna prova concreta è risultata da queste indagini, ma il recupero di punte di proiettile, scaglie, ed altre evidenze di tecnologie di pietra hanno generato supposizioni che gli antichi americani fossero attivi lungo i piani continentali sommersi. Così è solo questione di tempo prima che qualcuno recuperi uno scheletro da sotto l’acqua.

E che, naturalmente, qualcuno chieda che sia riseppellito.

Una tale scoperta non può provare né confutare la teoria della migrazione, che va, infatti, valutata attentamente. In attesa di evidenze tangibili, è già una buona cosa avere ottenuto il precedente legale.

  

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