UOMINI CONTRO

CREDITI

origine: Italia/Jugoslavia anno:1970 durata: 101 m

regia: Francesco Rosi

sceneggiatura: Tonino Guerra, Francesco Rosi e Raffaele La Capria dal romanzo di Emilio Lussu Un anno sull'altopiano

fotografia (Technicolor): Pasqualino De Santis musica: Piero Piccioni montaggio: Ruggero Mastroianni scenografia: Andrea Crisanti costumi: Franco Carretti

produzione: Prima Cinematografica (Roma), Jadran Film (Zagabria)distribuzione: Euro International Film

CAST

Mark Frechette, Alain Cuny, Gian Maria Volonté, Franco Graziosi, Giampiero Albertini, Pier Paolo Capponi, Mario Feliciani, Daria Nicolodi

TRAMA

Sull'altopiano di Asiago tra il 1916 e il 1917 un giovane ufficiale italiano interventista scopre la follia della guerra: battaglie ed eroi sono molto diversi da come li immaginava. Dal bel libro Un anno sull'altipiano (1938) di Emilio Lussu (1890-1975) sceneggiato da Tonino Guerra e Raffaele La Capria un film che ne ha sfrondato la chiarezza politica a vantaggio di una polemica antiautoritaria e pacifista. L'indubbia efficacia spettacolare di molte pagine riscatta solo in parte la demagogia di fondo.(M. Morandini)
 

COMMENTI

Quando l'hanno dato in televisione, qualche tempo fa, Uomini contro è stato apprezzato anche da coloro che alla sua uscita non l'avevano amato. E' uno dei miei film che amo di più. C'era il libro di Emilio Lussu, bellissimo, di cui mi aveva attratto la scoperta che lui faceva della guerra come un fatto di classe: dentro la stessa trincea c'erano i contadini e i borghesi, e i contadini seguivano le vicende della guerra come se fosse una calamità naturale. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti. Così abbiamo costruito questa sceneggiatura mettendo in rilievo personaggi che dovevano rappresentare una diversa ottica di cinse, in fin dei conti tre: Volontè, Frechette, Cuny. Il generale Leone di Cuny é un personaggio che crede ciecamente nel potere e nel fatto di rappresentarlo, ed in questo ha una sua grandezza, perché è come costretto a essere coerente in fondo con la sua immagine. Tutti i personaggi finiscono per rappresentare un certo livello di coscienza politica: il socialista, il monarchico, il giovane borghese interventista. In questo mi sono spinto molto più avanti di Lussu, ho accentuato delle cose che nel suo libro c'erano, ma non così chiare, perché il film è fatto dopo tanti anni dal libro con una coscienza diversa degli avvenimenti. E poi, io non volevo fare l'illustrazione cinematografica del libro.

Per Uomini contro venni denunciato per vilipendio dell'esercito, ma sono stato assolto in istruttoria. Il film venne boicottato, per ammissione esplicita di chi lo fece: fu tolto dai cinema in cui passava con la scusa che arrivavano telefonate minatorie. Ebbe l'onore di essere oggetto dei comizi del generale De Lorenzo, abbondantemente riprodotti attraverso la televisione italiana, che a quell'epoca non si fece certo scrupolo di fare pubblicità a un film in questo modo. (Francesco Rosi)

 

Con Uomini contro si trattava di fare l'inverso di quello che volevo fare in C'era una volta e che purtroppo non si è fatto: si trattava di prendere un libro fatto di tanti episodi, di tante notazioni e dargli un'unità, una compattezza. Così dei personaggi dei generali ne abbiamo fatto una sintesi, un solo generale, e Rosi poi, col suo modo di lavorare per le sceneggiature, ha sempre questo bisogno di strutturare, di avere tutto chiaro, è uno proprio con uno spirito di chiarezza e di precisione che io invece non ho per niente. Lui è uno ordinato, io sono un disordinato, e allora è questo che funziona: siamo così diversi che ci si aiuta con questa diversità. Rosi ha un bisogno di documentarsi che è quasi un'ossessione, ha bisogno di questa sicurezza prima di affrontare la regia, e quando gira riesce a dare una forza a questo materiale perchè l'ha digerito talmente che è come se l'avesse scordato, ma avendolo tutto dentro. Rispetta la sceneggiatura, ha sempre questa struttura in mente e se fa qualche cambiamento è perchè ci sono ragioni molto precise che gli impongono di doverlo fare. (Tonino Guerra)

 

Per Uomini contro ci sono state difficoltà molto grosse. Una cosa per esempio non arrivavo a risolvere è quella delle riprese notturne. Finalmente ci l'idea di illuminarle al magnesio, proprio come si faceva ai tempi della guerra. Fu un film molto tormentato. Rosi s'era fatto costruire con amore dall'architetto una trincea di ottocento metri e tutti i giorni andava a guardarsela. Dopo un certo periodo di riprese, una notte ci fu una grossa ta che coprì tutto: la trincea era scomparsa. La mattina non avemmo he il coraggio di guardare le reazioni di Rosi... Prima del film avevamo rivisto Orizzonti di gloria, ma io mi ricordavo di un film di guerra molto più bello, Attack di Aldrich.

Il nostro film aveva la novità del colore, c'erano straordinari effetti di profondità di campo nella nebbia... Ricordo che per tagliare di più, per non appiattire la fotografia, utilizzavamo gli obiettivi a focale corta, i grandi angolari, mai i teleobiettivi. Ma ci fu una sequenza che facemmo cosi, presa al volo, rubata. Avevamo finito, stavamo per partire, nevicava, c'erano raggi di e era possibile ottenere solo in montagna, e cosi abbiamo girato di corsa scena del soldato che viene avanti e grida: "Compagni!".

Uomini contro è uno dei film che amo di più. Io che non ho fatto la guerra, in questo film, grazie a Rosi, ho fatto tutto, il soldato, la battaglia... E' difficile da spiegare: la fotografia di Uomini contro è come venisse direttamente dal cuore, dimenticai il mezzo tecnico, forse lavoravamo solo con la sensibilità, l'entusiasmo... (Pasquale De Santis)

 

Frechette era un ragazzo molto strano, un ragazzo bellissimo. Nel film passa dall'esperienza dell'interventista al rifiuto, attraverso la conoscenza della guerra. Un'esperienza da intellettuale. Quando Antonioni l'aveva scoperto in Zabriskie Point, questo ragazzo faceva un lavoro da carpentiere in una comune hippy, aveva quest'incredibile nobiltà di tratti e di sguardo, nel fisico oltre nel volto e nell'espressione. Molto intelligente e molto sensibile, molto io. Non ci sono state difficoltà, né tra noi, né tra lui e gli altri, perché a suo aveva una disciplina, derivata anche dal rapporto diretto con me, che gli spiegavo bene le cose, e lui era molto contento che io gli dicessi che doveva fare. Così aveva l'impressione di partecipare alla creazione del personaggio, e si impegnava moltissimo. Viveva il suo ruolo con una notevole ità che direi proprio professionale. Poi purtroppo, poco tempo dopo la del film, è morto. (Francesco Rosi)

 

Mi è capitato spesso di lavorare con Alain Cuny. Che personaggio! C'è in luila teatralità francese, sembra un pezzo di Comédie Frangaise, e probabilmente è molto legato a certe tradizioni. E poi ha una sua grande riservatezza, i suoi approcci sono sempre molto formali, ma è anche divertente, a suo modo. Frechette era stato scoperto da Antonioni per Zabriskie Point. Era una persona dolcissima. Lui e la sua ragazza, tutti e due straordinari. Avevo molto affetto per loro. Quando morì, in quel modo così tragico, mi dispiacque proprio. Per come lo ricordo io, era un ragazzo mite, molto caro. (Gian Maria Volontè)

 

Il mestiere del regista consiste proprio nella possibilità di capire quando frenare e quando lasciare all'attore la briglia sciolta. Ma prima di tutto devi amare gli attori, se un attore non lo ami non riesci a ottenerne niente, devi amarlo e capire che l'attore è un essere che quando recita, specialmente al cinema, può passare attraverso insicurezze giustificatissime. La macchina da presa, specialmente per chi si pone il problema non del mestiere ma della creatività, non n lascia tregua. In teatro ha una verifica, ogni sera, e può costruire un personaggio modificandolo giorno per giorno; al cinema no. E allora il regista deve essere capace di capire la personalità dell'attore che gli sta davanti. Deve capire se ha bisogno di molte prove, o se invece dà il meglio di sé nella improvvisa2ione, o se è di quelli che si preparano molto prima ma non possono andare oltre il terzo ciak...

L'attore va protetto, e molte volte va strapazzato. E' un rapporto molto complicato, ma anche molto stimolante. Ci sono quelli che arrivano e sanno tutto, come Volontè, ma che vanno messi nel personaggio piano piano, tocco per tocco, perché hanno bisogno di maturare una trasformazione. Quando arnva sul set è quel personaggio, sa tutto quello che deve dire... L'attore professíonista si prepara, non improvvisa. Ho avuto attori straordinari, in questo senso: Volontè, Steiger, Ventura, Noiret... Francamente non ho avuto mai difficoltà con gli attori, perché credo di capirli, credo di conoscere la strada attraverso la quale poter arrivare, a seconda della loro personalità, essendo una cosa con l'uno e una cosa con l'altro. L'attore sente se lo capisci, se sei in grado di dirgli qualche cosa, se sei in grado di pretendere da lui molto, e anche quando magari non è personalmente convinto, deve sentire che dall'altra parte c'è una decisione, una fermezza. E' come nei rapporti con un figlio, se gli do l'impressione che quello che gli sto dicendo corrisponde a un mio dubbio fortissimo, allora... Devo essere convinto. Posso anche sbagliare, ma devo pretendere qualcosa di preciso, mi devo far seguire. (Francesco Rosi)

LA CRITICA

Francesco Rosi insistendo sulla spontanea alleanza che durante la "grande guerra" si formò tra soldati che spesso non sapevano leggere e scrivere e ufficiali di molte letture e di altrettanti tormenti ("letterati" sono sia il tenente Sassu che il tenente Ottolenghi, i protagonisti di Uomini contro), non fa che levare via le incrostazioni retoriche depositate nei capitoli dei libri scolastici riguardanti il conflitto 1915-18. E avvia un colloquio schietto, su cose che lo riguardano parecchio da vicino (quale è il ruolo dell'intellettuale in una stagione che costringe a delle scelte, e fin dove e fino a quanto egli è libero di scegliere?), con i primi testimoni di quel che avvenne nei mesi passati dai "dannati della terra" sull'altopiano. L'occasione gli consente (cosa che non si comprese alla prima uscita del film) di dire qualcosa, anche di sgradito, sulle pratiche della repressione che si credeva di poter rimuovere a suon di slogan e, nel contempo, sui limiti di una ribellione sostenuta da una élite che, con le masse, intratteneva un rapporto fideistico, molto più "letterario" ed evasivo di quanto allora si sospettasse. (E se ne sono viste, poi, le conseguenze…).

Lo scenario del primo conflitto mondiale, così come ci è consegnato nella pagina diaristica pacata e asciutta di Emilio Lussu (il quale scrisse il suo diario venti anni dopo la fine della guerra nell'esilio antifascista parigino), consentiva, intanto, a Rosi di sottolineare un'altra volta, e in questo caso con il massimo di evidenza possibile, la differenza esistente fra la condizione di suddito e la condizione di uomo di potere. Di rado, quanto nell'anno sull'altopiano (i fatti descritti nel libro di Lussu e ripresi, per sintesi, da Rosi nel film vanno dal maggio del 1916 all'estate del '17), la divisione per classi nella società italiana fu tanto netta, tanto evidente il formarsi di "una nuova mentalità di rivolta e di insofferenza". (Curzio Malaparte)

Il film, probabilmente, è danneggiato da un eccesso di applicazione. Fin dall'inizio, Uomini contro procede lungo il binario delle "scene forti". Rinuncia alle osservazioni minute che erano uno dei punti di forza del libro di Lussu. L'efficacia dell'insieme, tuttavia, a mano a mano che la narrazione procede, diminuisce invece che accrescersi. (Francesco Bolzoni)

 

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