UNA STORIA SEMPLICE

CREDITI

origine: Italia anno: 1991 durata: 94 m

regia: Emidio Greco

sceneggiatura: Andrea Barbato e Emidio Greco dall'omonimo libro di Leonardo Sciascia fotografia: Tonino Delli Colli musica: Luis Enrique Bacalov montaggio: Alfredo Muschietti scenografia: Amedeo Fago costumi: Lia Morandini suono: Gianni Zampagni

produzione: BBE International, Claudio Bonivento Production distribuzione: Columbia Tri-Star

 

CAST

Gian Maria Volonté, Ricky Tognazzi, Ennio Fantastichini, Massimo Dapporto, Massimo Ghini, Macha Méril, Gianmarco Tognazzi, Omero Antonutti, Tony Sperandeo, Paolo Graziosi

 

TRAMA

L'ultimo racconto di Leonardo Sciascia (1921-89), pubblicato pochi giorni prima che morisse, è una storia siciliana che del giallo ha il meccanismo: un apparente suicidio, seguito da un duplice delitto; un'inchiesta con un indiziato innocente e due colpevoli al di sopra di ogni sospetto. E una meditazione sulla giustizia che per Sciascia, siciliano e italiano del nostro tempo, è disperazione. Con l'aiuto di Andrea Barbato in sceneggiatura, E. Greco l'ha sceneggiato quasi alla lettera sullo sfondo di una Sicilia invernale senza concessioni al pittoresco e agli stereotipi. Per un eccesso di rispetto (era il caso raro in cui bisognava aggiungere invece di sottrarre come si deve fare in un film rispetto a un romanzo), il film è un po' anemico: indica invece di esprimere. Ma, oltre all'apparato figurativo, la direzione degli attori è ammirevole. C'è G.M. Volonté (1933-1994) fu il suo ultimo film italiano geniale nell'arte del sottrarre e nel mimare lo stesso Sciascia con allusiva sottigliezza e una parata dei nuovi attori del cinema italiano. "La parabola di Sciascia/Greco va dritta al cuore con rabbia tranquilla e (quasi) rassegnata commozione" (Giovanni Spagnoletti).

 

ANTOLOGIA CRITICA

Nero su nero. Il commissario di polizia è un assassino trafficante di droga. Il procuratore della Repubblica occulta i crimini anziché perseguirli. Il sacerdote è un delinquente pluriomicida. Questore e colonnello dei carabinieri sono due stupidi. Il giovane brigadiere che indaga su un delitto e crede nella giustizia deve uccidere il colpevole, il suo capo, per evitare di venir ucciso da lui. Il vecchio professore testimone lucido e desolato dei fatti, personaggio che allude a Leonardo Sciascia (Gian Maria Volontè è persino pettinato come lo scrittore, ne ha assunto i modi, i ritmi, la laconicità un poco oracolare, la lontananza di morente) si trova, davanti a una bara, anche di fronte alla propria ambiguità. Con una materia così incandescente, Una storia semplice di Emidio Greco che ha inaugurato la Mostra, tratto con grande fedeltà dall' ultimo racconto scritto da Sciascia prima della morte e pubblicato da Adelphi, è un film asciutto, pacato: senza urla né furore, senza auto della polizia ululanti e sgommanti, senza scenate drammatiche, senza il clamore dei colpi di scena, senza enfasi. In Sicilia è passato il tempo dello stupore e dell' invettiva per crimini e corruzioni anche delle istituzioni: il delitto senza castigo, le complicità e le coperture, sono fatti consueti, quotidiani, ai quali s' addicono i silenzi dello scetticismo, il pudore del dolore, il mutismo del disincanto, l' inerzia dell' abitudine. Questa idea dell' autore, del regista e dello sceneggiatore Andrea Barbato, questo stile fattuale, accurato e calmo con le immagini limpide immerse in un paesaggio siciliano immutabile e bellissimo, danno al film una forza, una profondità, una disperazione singolari: al confronto (ma sono confronti impropri) appaiono quasi consolatorii gli sdegni melodrammatici, la vitalità battagliera, anche la passionalità criminale de La piovra o del terzo Padrino. Un uomo di famiglia importante, ex diplomatico, viene trovato ucciso dopo l' imprevisto arrivo in una sua villa della campagna siciliana in cui non tornava da anni. Per ostinazione del giovane brigadiere (Ricky Tognazzi), l' ipotesi d' un impossibile suicidio viene alla fine scartata; le indagini proseguono rallentate e reiterate nella rivalità polizia carabinieri; un dettaglio tradisce il commissario di polizia assassino (Ennio Fantastichini). In una bellissima scena di duello burocratico, seduti in ufficio alle loro scrivanie contigue d' ogni giorno, con la mano sulla pistola, commissario colpevole e brigadiere investigatore si affrontano: sopravviverà chi spara per primo, e il brigadiere è più svelto. La versione ufficiale sarà incidente, la faccenda è chiusa e rimossa. Il commesso viaggiatore veneto coinvolto per caso nella vicenda, che all' ultimo momento riconoscerà nel prete (Omero Antonutti) l' assassino di due ferrovieri, preferirà lasciar perdere, girare la macchina e andarsene, partire dalla Sicilia. Gian Maria Volontè è magnifico, straordinariamente bravo; sono molto bravi Ennio Fantastichini, Gianluca Favilla che purtroppo non c' è più, Massimo Dapporto, Massimo Ghini. Ricky Tognazzi porta il peso della propria faccia (poca intensità, molto naso) e del personaggio più difficile, il brigadiere che nel film viene da altrove, dal Nord, mentre nel racconto di Sciascia era pure lui siciliano, un siciliano onesto, uno dei tanti siciliani che sperano nella possibilità d' un residuo di giustizia. (Lietta Tornabuoni)

 

Una storia semplice è un breve romanzo di 66 pagine, scritto badando esclusivamente al meccanismo della narrazione, senza indugiare in descrizioni di ambienti e di personaggi, caratterizzati anche a livello psicologico con pochissimi cenni, puramente funzionali all'intreccio. La consueta scrittura di Sciascia, asciutta ed efficace, si è ulteriormente depurata, dando vita ad un perfetto esemplare di trattamento cinematografico, ideale supporto per il lavoro degli sceneggiatori […]. Nulla di meglio per un film che volesse rispettare la lettera del romanzo, proprio come se fosse un soggetto scritto appositamente per il cinema, senza avere la preoccupazione di violentare in qualche modo l'originale con il suo trasferimento in décor concreto, in corpi e volti di interpreti. Il cinema, infatti, non può narrare soltanto: nel momento stesso in cui mostra un uomo in azione, mostra un uomo concreto, in un luogo preciso, non può mai fare riferimento ad un uomo qualsiasi in una situazione indifferenziata. In fondo è proprio questo il fondamento di quel mimetismo cinematografico che è inevitabilmente più accentuato quando il referente sociale è più immediato. […] Ciò che l'opera letteraria evoca nella mente del lettore (ambienti, volti, corpi), quel mondo virtuale ma quanto mai ingombrante, si scontra inevitabilmente con l'eccessiva fisicità del film, troppo reale ed inevitabilmente altra da quella coltivata nell'intimità del rapporto di lettura. Il film di Greco evita quest'ultimo rischio, perché incarna in paesaggi, palazzi, uffici, case, facce e corpi ciò che era soltanto una mera funzione diegetica, pura indicazione. Così il rapporto con la pagina di Sciascia è di quasi assoluta fedeltà (a livello di trama e dialoghi) e insieme di notevole libertà inventiva (in tutti i dettagli concreti, profilmici e filmici, della messa in scena).

Quanto all'altro rischio, quello del mimetismo, occorre dire che il film anche in questo caso trae vantaggio dalla sobrietà di scrittura dell'autore siciliano, il cui sforzo è consistito anche nel puntare alla rarefazione, quasi all'astrazione simbolica, conferendo uno spessore metafisico alla diagnosi delle patologie sociali. Eliminando tutti i riferimenti che non fossero essenziali e persino i nomi dei personaggi e dei luoghi (tranne alcuni, indispensabili), evitando sistematicamente il didascalismo (e ne è un sintomo notevole la completa soppressione dal romanzo di riferimenti alla mafia e al traffico di droga, in un intrigo in cui entrambe le realtà hanno un ruolo determinante), Sciascia è riuscito a realizzare un rigoroso e potente apologo sulla genesi dell'omertà in un sistema politico-sociale in cui potere legale e criminalità organizzata hanno collusioni profondissime ed insospettabili. Il film ha saputo conservare questa tensione alla stilizzazione, quasi all'astrazione, fin dall'ambientazione in una Sicilia gelida e invernale, di interni quotidiani e di esterni antituristici, senza folklore e facile aneddotica. (Angelo Conforti)

 

Gianmaria Volontè è il solo Grande Attore di questa giornata inaugurale di festival. Bianco e severo, la bella faccia segnata da rughe che s' immagina più di pensieri che di età, avanza della hall dell' Excelsior seguito da un' Angelica Ippolito, sua compagna da anni, regale e consunta. Perfino i paparazzi, categoria per mestiere che non conosce il rispetto, lo bersagliano di lampi educati che non turbano né scalfiscono quell' alone sacro nel quale ormai Volontè pare muoversi. A differenza degli altri, che si concedono abbondantemente alla stampa e alla televisione, con atteggiamento certamente divistico ma altrettanto certamente aristocratico accetta di parlare di Una storia semplice<, il film da Sciascia di Emidio Greco con cui s' è inaugurato il concorso, solo in conferenza stampa: <Non sarebbe democratico fare diversamente, dice, riportando all' improvviso d' attualità una parola come democrazia su cui la storia di questi tempi ha aperto un concettuoso dibattito. Però, quando finalmente la sua voce profonda e calda, tanto diversa da una bella voce qualunque, si leva per parlare, si avverte un brivido nell' anima perché il Grande Attore Volontè sa passare i pensieri attraverso i sensi e un lungo applauso si leva alla fine del suo lungo monologo. Chiaro che era preparato. Chiaro che era studiato a tavolino. Chiaro che a quel che doveva dire aveva riflettuto a lungo. Ma la recita è perfetta e l' emozione è collettiva. Applaudono tutti. Massimo Ghini, Ennio Fantastichini, Ricky Tognazzi e Massimo Dapporto, quattro dei molti attori, giovani e non, comunque italiani, che hanno lavorato a quest' impresa e che Volontè definisce: Un gruppo al quale, in una vita di solitudine nella quale non ho avuto appartenenze, m' ha dato contentezza il poter essere. Applaude il regista Emidio Greco, signore di mezza età con un percorso alle spalle da eterno esordiente. Applaude il produttore Claudio Bonivento, finanziatore di opere giovanili e popolari come gli ultimi film di Marco Risi, qui alle prese con una pellicola senza grossi effetti. Applaude la sala liberata dall' obbligo di registrare sempre e solo dichiarazioni minimali, come se i grandi concetti ormai facessero soltanto paura. Ne Una storia semplice, più che negli altri film di Volontè ispirati da vicino o da lontano a Sciascia come A ciascuno il suo di Petri, Il caso Moro di Ferrara, Porte aperte di Amelio, è l' alter ego letterario dell' autore, il professor Franzò, osservatore implacabile di fatti tremendi. E da questa identificazione dissociazione parte Volontè per la sua orazione sul cinema di impegno civile. Nel personaggio di Franzò esordisce Sciascia ha messo tre cose sue: l' amore odio per i siciliani, un rompicapo che l' ha tormentato tutta la vita; la malattia fisica come segno del dolore provato da chi pensa e schivato da chi invece non pensa; l' atteggiamento di opposizione radicale contro ogni forma di potere. La cifra stilistica è quella dell' ambiguità pirandelliana, dell' essere e dell' apparire. Per questo, per portare Franzò sullo schermo, ho fatto ricorso alla <condensazione, quel particolare fenomeno per cui nel sogno una persona ci appare insieme conosciuta e sconosciuta, riconoscibile ma misteriosa>. Poi Volontè passa a parlare dei giorni nostri. Dell' assassinio di Libero Grassi, l' imprenditore che aveva rifiutato di pagare la tangente e che è stato ucciso perché servisse da monito agli altri. E' un caso, il suo, perfetto per Leonardo Sciascia perché Grassi aveva rifiutato tanto la protezione del racket come quella delle forze dell' ordine: voleva essere un uomo libero. In questo paradosso di doppia oppressione, sia pure di segno opposto, Sciascia vi avrebbe colto la sua verità . Parla della Unione Sovietica, che il mancato golpe sembra star disfacendo. Come il professor Franzò anch' io sono diventato un cultore del dubbio. Di fronte alle tante notizie che arrivano in questi giorni dall' Urss mi sono scoperto un ammiratore di Shevardnadze perché è stato il primo a sollevare un interrogativo di fronte a una versione dei fatti che voleva avere la chiarezza della geometria. Parla della Sicilia e di quello che è diventata. I mali che affliggono la Sicilia non sono i carretti o le coppole, come dice Tornatore nei suoi film. Sciascia è stato accusato perfino di aver inventato la mafia. Se l' avesse fatto sarebbe il genio del secolo perché in una parola sola ha concentrato tutti i guai che affliggono non solo la Sicilia ma il nostro intero Paese. Inevitabile che a questo punto l' applauso sia esploso. Pochi minuti dopo il Grande Attore, adducendo un impegno, spariva nei corridoi dell' albergo. (Simonetta Robiony)

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