CRISTO SI E' FERMATO AD EBOLI

 

CREDITI

Anno: 1979 Nazione: Italia-Francia Durata: 150 m (270 m)

Regia: Francesco Rosi

Soggetto: dal romanzo omonimo di Carlo Levi Sceneggiatura: Tonino Guerra, Raffaele La Capria, Francesco Rosi Direttore della fotografia: Pasquale De Santis Montaggio: Ruggero Mastroianni Musica: Piero Piccioni

Produzione: RaiTV, Vides (Roma), Action Film (Paris) Distribuzione: Titanus

 

CAST

Gian Maria Volonté, Lea Massari, Paolo Bonacelli, Irene Papas, Alain Cuny, François Simon, Tommaso Polgar, Accursio di Leo, Antonio Allocca, Vincenzo Vitale, Vincenzo Licata

TRAMA

Dal romanzo (1945) di Carlo Levi (1902-75): un intellettuale torinese, medico e scrittore antifascista a contatto con l'antica civiltà contadina della Lucania dov'è confinato intorno al 1935. F. Rosi mette la sordina alla dimensione antropologica e magica del bel libro di Levi e l'accento su quella sociale e politica. Un po' raggelato nei paesaggi o lirici o didattici, ma ammirevole per l'intensità della sua delicatezza. Accanto a un G.M. Volonté introspettivo e sommesso e ad attori naturali ben guidati c'è un ottimo P. Bonacelli. La versione televisiva dura 270 minuti. (M. Morandini)
 

COMMENTI

 

Il mio accostamento a Levi risale a molti anni fa, al momento della lettura del Cristo. Molti anni dopo, mentre giravo Salvatore Giuliano, Levi venne a trovarmi a Montelepre e si cominciò a parlare della possibilità di fare un film dal Cristo. Questo progetto è rimasto lì, non sono mai riuscito a realizzarlo fino a quando la televisione non mi ha chiesto se avessi potuto fare qualcosa. L'allora direttore della Rete due, Fichera, fu entusiasta dell'idea, e il progetto poté finalmente partire. lo ho cercato di rendere quello che secondo me è formidabile in quel libro, cioè la coesistenza sul piano narrativo di due linee: da una parte la narrazione dell'incontro tra questo intellettuale del Nord e i contadini del Sud, e dall'altra le riflessioni di Levi sulle ragioni per cui il Sud è come gli appare, cercando di fare narrazione concreta anche delle parti saggistiche del libro. Il racconto di un uomo a contatto con altri uomini, e parallelamente l'analisi che lui fa delle ragioni storiche, economiche, politiche, culturali per cui il Sud è quello che è.

Il libro è stato uno dei primi ad aver funzionato come strumento di vera conoscenza del Sud per tutti gli italiani, e il suo successo dimostra la forza della sua chiave di penetrazione, che a mio parere sta proprio nell'approfondimento conoscitivo che passa attraverso l'amore, la simpatia, la solidarietà di uno venuto da fuori che scopre una società, e cerca di capirla con tutti gli strumenti storici e culturali che può avere a disposizione.

Naturalmente la mia lettura del libro è la lettura di uno del Sud, rispetto a quella che può averne dato uno dei Nord come era Levi. C'è una scelta precisa in questo senso. Addirittura nel paesaggio. Levi per esempio descrive la Lucania nei suoi aspetti più aridi e desolati, io invece mi sono preoccupato di mostrarla nella sua complessa e multiforme immagine, perché non ci sono solo i calanchi e le frane, ma anche vallate verdissime, perfino brandelli di foreste che fanno ricordare come doveva essere un tempo. Mi sembrava giusto far capire che quelle regioni contengono risorse che potrebbero essere sviluppate, non c'è solo desolazione. Allo stesso modo ho attenuato la parte legata alla magia, alla religione, perché se avessi portato avanti quel discorso c'era il rischio di tipicízzare troppo, forse autorizzando lo spettatore non tanto avvertito a cadere nel solito cliché del Sud e della sua cultura. Poi... nella figura dei prete, tipo di intellettuale fallito nel suo sforzo un po' illuminista, Levi indulge forse nel pittoresco e io invece ho accentuato gli aspetti tragici di questo fallimento. (Francesco Rosi)

 

Certo, Rosi ha perso quell'aggressività che aveva ed è subentrata una certa malinconia, un maggiore distacco. Non so da cosa nasca, credo dipenda dai processi veramente intimi di una persona. Nel Cristo si è fermato a Eboli alla base di tutto c'era il testo dì Levi, con tutto quello che ha significato per questa terra e per questa gente. Franco ha voluto rivisitare la Lucania con i materiali di Levi, e penso che abbia affrontato con molto rispetto il rapporto tra immagine e parola scritta. In Lucania alcune cose erano rimaste abbastanza le stesse del libro, altre no, ma i problemi di fondo restano più o meno gli stessi. A mio parere gli aspetti più deteriori sono lo stato di abbandono, i guasti che sono stati fatti, l'emigrazione al Nord, e poi la politica di assistenza, che è proprio la più odiosa perché modifica la testa della gente, la abitua alla passività...

La lavorazione del film è stata lunga e faticosa, ogni giorno per andare e tornare da Matera ai paesi dove giravamo che erano privi di alberghi facevamo duecentoquaranta chilometri. Un tragitto pesante, specie dopo nove-dieci ore di lavoro, e di un lavoro fatto con quell'accuratezza. Con la gente abbiamo avuto un rapporto bellissimo. Abbiamo trovato persone straordinarie, di grande comunicativa, e con un interesse vero per quello che facevamo. Levi, in quella zona, è una cosa ben precisa, è ricordato, è amato. Il libro di Levi ha proprio agito in profondità, ha lasciato un grosso segno, e stando lì si sente anche maggiormente che è proprio la sintesi di un'esperienza molto profonda.

D'accordo con Franco, il mio sforzo non è stato fatto nella direzione di entrare nei panni di Levi. Quello che a Rosi interessava, e anche a me, era la mediazione che questo personaggio poteva fare fra l'occhio di Franco, che era quello della macchina da presa, e il mondo contadino che pian piano si andava scoprendo: quindi un rapporto di mediazione continua. E cì interessavano a grandi linee non tanto i segni esteriori di Levi ma l'idea di un intellettuale di tipo europeo, cresciuto e formatosi in uno spazio culturale come quello di Torino di quegli anni. (Gian Maria Volonté)

 

Già in Lucky Luciano c'erano parti in cui Volonté esprimeva il personaggio con la sua mimica straordinaria, invece che con le parole e l'azione. Qui, per tutta la prima parte, egli parla pochissimo, il pubblico deve identificarsi con lui nell'osservazione, nella scoperta del Sud. E' uno stranìero, uno del Nord, di fronte a una società enormemente diversa da quella da cui proviene, e che gli suscita curiosità, emozioni, sottili ironie e a volte anche soprassalti di commozione drammatica. Per tutta la prima parte del film è quasi muto, e Volontè è bravissimo a esprimere quello che non dice, il pubblico partecipa alla sua scoperta e alle sue emozioni, ed è disposto a sentirlo parlare, a tirare delle conclusioni, a partire anche dai suoi ragionamenti.

A parte la sua serietà professionale, Volonté ha una sua inventiva su come modificarsi, e aiuta la scena a definirsi meglio. Come capita anche con l'attore non professionista. Nel Cristo c'è l'attore che fa l'agente delle imposte che suona il clarino: è un netturbino di Matera che mi sono coltivato a lungo sentivo che il personaggio con certi attori sarebbe diventato falso, sarebbe di ventato una "macchietta" (era un altro di quei personaggi di Levi che volevo rendere in modo più drammatico di quanto Levi non avesse fatto). Al momento di girare gli ho detto le battute e poi ho cercato di farlo esprimere secondo quelli che erano i suoi sentimenti e qui sta il lavoro del regista. Lui ha fatto suoi i concetti, ha fatto sue certe parole, ma io gli ho dato una libertà (in realtà una libertà fittizia, perchè sapevo che così lo portava a dare quello di cui avevo bisogno, che io desideravo). Volonté, poi, é bravissimo a lavorare assieme ai gente non professionista, cosa che invece crea difficoltà, abitualmente, nei professionisti (Francesco Rosi)

 

Cristo si è fermato ad Eboli é stato per me un film della maturità. Ho girato in uno stato d'animo particolare, avevo perduto delle persone che mi erano care. Ho rivisto in quei luoghi la mia giovinezza, i contadini, le pietre che avevano segnato i miei ricordi, i cieli che mi avevano dato le prime sensazioni. Anche Rosi, col rigore che lo caratterizza, cercava in quei luoghi l'immagine del passato, della vita di Levi.

Ogni mattina passavamo attraverso le colline durante le due ore di viaggio per raggiungere il luogo dove stavamo girando. E Rosi mi spiegava come avremmo fatto la lunga carrellata che poi abbiamo girato. L'ultimo giorno di permanenza in Lucania abbiamo equipaggiato una camionetta con un supporto articolato. Rosi preparò coi suoi collaboratori i movimenti dei contadini con un'atmosfera cosiì vera che mi sembrava di vivere davvero la scena. Cristo resterà a lungo nella mia memoria per i momenti difficli che passato nei quali, come sempre, Rosi mi ha aiutato ad avere la forza ed il coraggio per poterli superare. (Pasquale De Santis)

 

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