Analisi dell'ottavo capitolo  

a cura di Shaira Gremito

 

 L'ottavo capitolo comincia con un'apertura molto ironica che mette in risalto l'ignoranza del curato. L'umorismo di questo capitolo continua col fatto che il lettore ignora chi sia Carneade. Carneade fu un filosofo stoico e oratore di Cirene vissuto nel 2° secolo a.C. Gli storici classici diranno poi, che sotto la sua guida ebbe un nuovo impulso l'accademia che, fondata da Platone ad Atene, da lui fu detta “nuova” o “media”. Il “ruminare”di don Abbondio nel chiedere chi sia costui, sta ad indicare la tardità della sua mente, oltre che all'ignoranza;infatti il verbo si riferisce agli animali, alla natura. “…mi par bene…”è la frase caratteristica delle persone che sanno le cose a metà, e che allo stesso tempo mostrano una superiorità nel non saperle con esattezza. Infatti continua il suo discorso frugando nella memoria e, appunto, “ruminando”;ma poiché non riesce a pescare qualcosa di più, la domanda torna a incalzare, con l'aggiunta di quel “diavolo”, che sta ad indicare un'impazienza stizzita nel non venirne a capo. Qui l'umorismo manzoniano non è bonario e indulgente, ma ha, anzi, una punta di acidità e di disprezzo. Le letture che ogni giorno don Abbondio fa, sono casuali o per svagare un po' la fantasia. Don Abbondio è detto, in modo sarcastico, convalescente dalla febbre:infatti con questa riflessione ironica, si capisce che la “febbre” del curato, non è altro che la paura,di cui il povero uomo non saprà mai come guarire del tutto. San Carlo , come vedremo, è lo zio del cardinale Federigo;la notazione molta enfasi, seguita da molta ammirazione, ha l'aggettivo molta che si ripete, infatti calca di più la critica a San Carlo,suggerendo che l'ammirazione era diretta all'enfasi. Infatti i discorsi panegirici tanto più erano ammirati quanto più erano enfatici. Nel discorso don Abbondio nomina Archimede,nello stesso modo in cui ricorda Carneade. Infatti rimembra che il matematico ha “fatto delle cose curiose”, anche in questo caso, Manzoni utilizza dell'ironia per evidenziare l'ignoranza del curato. Quando dialoga con Perpetua, don Abbondio prova della diffidenza e paura,quasi come se fosse naturale;infatti questa diffidenza è la seconda pelle del curato, e tale irrita e stupisce persino Perpetua, fino a renderla impaziente. “venne avanti anche Agnese…”con questa mossa comincia l'inganno,viene mossa la prima pedina della partita ideata da Agnese, studiata anche da Renzo, con la facile prestazione di Tonio, passiva collaborazione dello sciocco Gervaso, ma senza l'intimo consenso di Lucia. Quando Agnese comincia il suo discorso, Perpetua abbocca all'amo di colpo, e con tale curiosità, non esita a spingere i due fratelli a entrare in casa da soli, per poter essere più libera di ascoltare la chiacchiere di Agnese. Chiacchierando le due donne non fanno altro che battibeccare, Agnese fa delle battutine pungenti sul fatto che Perpetua sia rimasta celibe per aver rifiutato tutti gli uomini che li si erano offerti o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevano le sue amiche;mentre quest'ultima pronunciava in modo volgare i nomi dei due “promessi”, fino a portare il tono di commedia di questa scena ad un pettegolezzo. Infatti Agnese continua a ribattere con battute sarcastiche, come:”…non potete credere quanto mi sia dispiaciuto…”che, appunto, è la seconda critica penetrante che rivolge a Perpetua, e a sua volta, comincia a riscaldarsi e da principio ad una “narrazione appassionata”,tale da non accorgersi di ciò che la circonda. Arrivati i promessi alla porta del curato, Renzo fece coraggio a Lucia con una stretta di mano; sapendo quale sia lo stato d'animo della ragazza, questa stretta sta a significare un comando, ma anche un incoraggiamento. Tonio, il testimone, saluta il curato con un “deo gratias”a voce chiara, per dare a don Abbondio la certezza che fosse lui. Infatti il curato lo riconosce, ma non ne è proprio sicuro. “Una striscia di luce fece riscoter Lucia”:la vibratile sensibilità della ragazza, passa su un piano morale;il timore di essere scoperta era più forte dell'emozione per quello che stava per accadergli; e per questo la descrizione dice che il rumore più forte era quello del battito del suo cuore. Don Abbondio stava ravvolto in una vecchia zimarra su una vecchia seggiola, con in capo una vecchia papalina:con questo aggettivo “vecchio”che viene ripetuto, si evidenzia l'effetto umoristico che Manzoni vuole raggiungere con questa ripetizione. Manzoni, disegnando un ritratto in bianco e nero di don Abbondio, insiste nella stessa figura con l'aggettivo “folto”,che accresce l'effetto umoristico. Al quale si aggiunge un tocco ironico nella similitudine dei cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo, al chiaro di luna: è una similitudine che isola, nel quadro familiare, il volto di don Abbondio come se fosse proiettato in un paesaggio reale e lontano.un ritratto, dunque, visto in due posizioni:la prima reale, di don Abbondio nel calduccio autunnale della sua stanza;la seconda immaginaria, con don Abbondio in uno sfondo romantico, invernale. Dopo i benvenuti, il curato afferma che è tardi in tutte le maniere:per l'ora insolita e per il pagamento;e per questo fa ricorso alla sua malattia, in modo che si sappia che non sia ancora finita. Alla vista di Gervaso, don Abbondio chiede perchè mai se lo siano portato con loro,e nasconde un aggettivo, di certo negativo, nella pausa della sua domanda. Da qui nasce il suo sospetto, che Tonio corre subito a cancellare, e per essere ascoltato, gli offre venticinque berlinghe d'oro, parte del gruzzolo di Renzo. A questa offerta don Abbondio fa una lenta verifica, sottolineata dai verbi al passato remoto,perché è molto diffidente e meticoloso, com'è la sua indole di profittatore. Naturalmente in funzione ironica. Dopo che il curato ebbe ricevuto le venticinque berlinghe, Renzo gli domando se potesse avere Lucia in moglie;ma questa richiesta non la fece utilizzando il futuro prossimo,ma come se stesse chiedendo un favore che gli è dovuto, quindi mancando anche di rispetto a Don Abbondio. In questo punto del testo, don Abbondio è molto diffidente, infatti dice che sposare Renzo e Lucia sia giusto, ma si chiede se vada bene;poi si dirige ad un armadio guardandosi intorno, come per tener lontani gli spettatori. Il “va bene?”sigilla la silenziosa scenetta. Il discorso tra don Abbondio e Tonio continua con un continuo alternarsi di diffidenze da parte degli interlocutori:don Abbondio esige fiducia,ma si meraviglia e offende se non la riceve;mentre quella di Tonio è una diffidenza formale, quella che consente ai due promessi di sposarsi ed uscire dalla scena. Infatti Tonio cita un breve passo:”dalla vita alla morte”, per intendere al curato la necessità di una ricevuta;e a questa sollecitudine, don Abbondio comincia a scrivere, ripetendo ad alta voce le parole,e ad un gesto di Tonio e Gervaso, i promessi si mettono davanti allo scrittore in modo che questo non possa vedere l'uscio; inoltre Renzo ripete il gesto di incoraggiamento a Lucia, stringendola “tutta tremante” perché il suo animo riluttava quel passo fatale. Intanto don Abbondio…alzando il viso:tutte queste operazioni, sotto gli occhi di Tonio e Gervaso, sono descritte da Manzoni con una costante ironia che non esclude una punta di sarcasmo.”Gervaso ad un suo cenno…”questa frase si ripete nel testo in poche righe, questo perché Gervaso è visto come una marionetta comandata da Tonio;e al dividersi della scena apparvero Renzo e Lucia:questa è u a frase adattissima, davanti ad una scena di commedia. Le persone continuano ad avere la fissità e mobilità di attori, come se fosse una rappresentazione teatrale. Don Abbondio vide confusamente…aiuto!:questo periodo è un climax che ha una gradazione che va dall'esterno all'interno con un movimento rapidissimo, tipico del Manzoni, che descrive il curato con un tono umoristico e i verbi si inseguono l'uno sull'altro:vide confusamente, poi vide chiaro, si spaventò, pensò, prese una risoluzione… La loro successione non può essere che quella che lui, dopo aver visto, prima si spaventa, poi si stupisce nel vedere Renzo e Lucia, poi capisce il motivo per il quale essi sono lì, e si infuria contro di loro e decide;solleva la lucerna e butta sgarbatamente il tappetino addosso a Lucia, prima che questa possa continuare la formula di rito. In questo episodio la scena che prima era diretta in modo preciso, ora si movimenta in modo disordinato, dove domina la figura del curato che grida “quanto aveva in canna” e non in gola, che suggerisce qualcosa di più aggressivo. Lucia, nel frattempo, è paragonata ad una statua avvolta da un panno umido, perché è impacciata e non riesce a liberarsi del tappeto, ma questa similitudine smorza il tono di comicità. Intanto nella stanza don Abbondio continua ad invocare Perpetua, ma nella sua mente sconvolta e non confusa battono queste parole riferite a Tonio e ai due sposi, che lo avevano tradito. Renzo cerca di calmare il curato, e dall'altra parte Lucia prega il suo promesso di uscire da questo imbroglio,mentre Tonio va a carponi in cerca della sua ricevuta e Gervaso saltella e grida,tutto come in una rappresentazione comica..infatti la scena del matrimonio a sorpresa si conclude con questo sfondo tragico-comico, il cui fallimento da il via ad altre vicende più gravi. Manzoni ancora non sposta l'attenzione su un'altra scena, ma fa una riflessione, che è ironicamente antifrastico, pensando che dopo questo trambusto le cose non siano cambiate. “era il più bel chiaro di luna…”secondo Manzoni questa descrizione crea un contrasto tra il grido disordinato del curato e la splendida e differente serenità lunare.la descrizione continua con un ritmo quasi pacifico,un'armonia vocale. In aiuto a don Abbondio corre il sagrestano che con occhi ancora assonnati(“con gli occhi tra' peli”)che trovò su due piedi un espediente,perché è un sagrestano premuroso, ma cauto. Quest'ultimo si veste velocemente, movendosi con comicità. In questa scena c'è un alternarsi di parti comiche, pause contemplative della luna, e riprende con un andante commediali. Al suono delle campane allarmanti, il paese si sveglia di botto come se fosse un formicaio;ed Manzoni descrive questi abitanti più pieni di egoismo personale e di diffidenza, che di paura. Anche i bravi, guidati dal Griso, sentirono l'allarme e arrivarono alla casetta nel momento in cui la “brigatella”,denominata in modo ironico,e che in tale maniera deve compiere quel “sopruso” provvidenziale. Mentre questi scappano, il Griso con i suoi aiutanti entra nella casa e ad un certo punto sente dei passi, credendo che fosse una spia.questa descrizione è molto veloce, a causa delle virgole, che elencano le varie azioni del Griso creando suspance. La persona che il Griso pensa sia una spia è Menico. Con l'apparire di quest'ultimo, i tre gruppi di scena(Agnese e perpetua che chiacchierano; don Abbondio e i promessi nel vortice della furia e i bravi intenti a metter sottosopra la casa di Lucia)sembra che entrino a far parte di una “tarantella” comica. Al grido di aiuto di don Abbondio, fa quasi eco quello di Menico;che coincide con il tocco delle campane. Allora, come un balletto meccanico, le figure ritornano a muoversi presi dall'incredibile paura. L'azione riprende il suo ritmo e Menico riesce ad evitare che i promessi ritornino nella casa, e li spinge al convento. Menico è il personaggio che dà l'avvio al nuovo svolgimento del racconto. Dopo questo episodio Manzoni fa una similitudine zoomorfe riferita ai bravi. Sempre come se fosse una rappresentazione teatrale, la scena si sposta su Agnese e perpetua, alle quali viene appropriato un cicaleccio femminile. “nel vano immoto dell'aria,per l'ampio silenzio della notte: sono due frasi che si completano, me che, in quella notte placida, fanno da cassa sonora a quel grido sgangherato di don Abbondio, tutti con un'enfasi comica. In questo momento la scena ha un tono decisamente narrativo. I nostri fuggiaschi, scappati dai bravi e dai contadini del paese, camminarono per un tratto in modo tranquillo voltandosi indietro prima uno, poi l'altro;ripreso il fiato, Agnese, Renzo e Lucia accarezzano Menico in segno di ringraziamento, e Lucia, poi, lo riaccarezza:questo punto è molto dolce, con la ripetuta carezza di Lucia e l'intenerimento del ragazzo. Dopo questo momento dolce Lucia se ne stava abbracciata alla madre, provando imbarazzo nel silenzio di questo delicato attimo, dominati del pudore:il suo ritrarsi all'aiuto di Renzo, la vergogna e il rimpianto di non esser diventata sua moglie, cancellato dal pentimento di esser “andata troppo avanti”,sono i suoi stati d'animo di quella triste occasione. Ad essi se ne aggiunge un altro più intenso:il pudore;che innocente, il più puro e ingenuo paragonabile solo alla paura di una fanciulla che “trema nelle tenebre”. I fuggiaschi finalmente raggiungono la dimora di fra Cristoforo, che li saluta con un ringraziamento a Dio. La scena che segue, tra la diffidenza e il timore del sacrestano e la spiccia sicurezza di padre Cristoforo, sigillata dalla frase” Omnia munda mundis”, è seria, ma come percorsa da un'intima vibrazione di riso;descrivendo così umoristicamente fra Fazio, che non sa il latino. Padre Cristoforo, con le sue parole chiare e sciolte, rincuora i visitatori, queste parole non hanno solo il compito di rassicurare i promessi, ma hanno anche il preludio dell'”addio”. Infatti fra Cristoforo continua a fare discorsi rincuoranti e affettuosi, dicendo che dovranno recarsi a ***( che più avanti vedremo sarà Monza) da un altro padre Cristoforo. Prima di salutarsi, padre Cristoforo propone di pregare e, al silenzio di Renzo, Agnese e Lucia, il padre si commuove e dice che si rivedranno. “non tirava alito di vento…”è con queste parole, molto musicai, in cui ogni elemento descrittivo è imbevuto di commozione, che ha inizio il preludio romantico che precede l'”addio”. Le prime note sono dedicate al lago, e sembra che la sua distesa d'acqua dia scorrevolezza alle parole di Manzoni, quasi come se fossero parole di un poeta, che non lo descrive come all'inizio del romanzo, ma lo canta;questa “poesia” ha per tema i monti e il paesaggio che i passeggeri guardano silenziosi, con il cuore pieno di nostalgia. La protagonista di quest'addio è Lucia, che rabbrividisce;così il suo pianto è la cadenza finale di un preludio, prima che cominci la sinfonia. E la musica comincia col tema dei monti, intrecciato a quello della nostalgia che aumenta man mano che si toccano gli oggetti più cari a Lucia:la casa, la chiesa…ed è con questa immagine che la sinfonia si spegne con la parola”addio”, detta per l'ultima volta da Lucia.

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