Commento ottavo capitolo Promessi Sposi - F. Cataudella

L'ottavo capitolo è uno dei più belli,e giustamente famosi di tutti i Promessi Sposi. E già lo si nota dall'inizio: "Carneade,chi era costui?",quest'espressione costituisce uno degli inizi più noti di tutto il romanzo,per il modo originale e imprevedibile col quale si presenta.Ormai è diventato un proverbio usato per indicare meraviglia davanti ad uno sconosciuto.Questa frase è ormai famosa anche per me dato che,essendo piaciuta molto a mia madre, ce la ripete da quando eravamo bambini. Anche quel "ruminava"indica in modo perfetto il faticoso ed inutile annaspare nella mente di Don Abbondio per cercare di ricordare chi fosse questo Carneade. "......che burrasca gli si addensasse sul capo!",al povero curato le più grosse burrasche cadono addosso proprio quando meno se lo aspetta.Come quell'incontro coi bravi. Da questo punto inizia l'ironia del Manzoni:"si dilettava...",ogni parola ha un suo preciso valore ironico.Con questo "si dilettava"il Manzoni vuol far capire che Don Abbondio non pensava affatto ad istruirsi per l'attività sacerdotale.Questi inoltre leggeva "un pochino", e quindi senza fatica e forse annoiandosi presto;"ogni giorno"perché tutto in lui,come già si sa,è consuetudine;"gli prestava un libro...",perché il buon curato un po' di libreria non l'aveva neppure.Ma per me il tocco più sarcastico del quadro arriva quando si dice che Don Abbondio era "convalescente della febbre dello spavento,anzi più guarito (quanto alla febbre)..."E' molto maliziosa quell'ultima aggiunta poiché vorrebbe far pensare a noi lettori che non è ancora guarito dallo spavento.

Agnese aggancia Perpetua secondo il piano prestabilito dicendo:"non vi siete maritata..."(ricordandoci che la donna era celibe per aver rifiutato tutti i partiti...come diceva lei o per non aver mai trovato un cane che la volesse,come dicevano le amiche.) perché sapeva che questo è il suo debole e lei quindi,vogliosa di sapere segue la cospiratrice lasciando incustodita la porta che permette a Renzo e Lucia di entrare di soppiatto. E' un periodo in cui il Manzoni ha saputo creare una forte atmosfera di sospensione,di angoscia e di avventura. Don Abbondio, sulla vecchia seggiola, in una vecchia zimarra, con una vecchia papalina, con due folte ciocche, due folti baffi. Ecco qua un altro ritratto caricaturale fatto dal Manzoni:tutte quelle cose vecchie, tutta quella foltezza di peli creano un'immagine grottesca di persona sprofondata nel suo guscio. Nelle righe subito seguenti il Manzoni è abilissimo nel trovare delle serie di verbi che insieme scandiscono il movimento dell'azione:”contò….voltò….rivoltò….trovò”. La frase “come al dividersi di una scena” dà nettissima l'impressione dell'improvvisa comparsa dei due giovani e accresce veramente la sensazione del lettore ad assistere allo svolgimento di una commedia. “Renzo….Lucia….Tonio….Gervaso”:ognuno agisce in perfetta coerenza coi propri interessi e col proprio carattere. E tutte queste azioni sono descritte in maniera tale che il lettore si immagini la velocità della cosa, come davanti al palco di un teatro. “Vengo subito” risponde il sacrestano Ambrogio che con i pantaloni (l'arnese)sotto il braccio va a suonare le campane: questa è per me una delle scene più vivaci e più ricche di comicità di tutto il romanzo fin qui letto. Ma nel comportamento del sacrestano si può osservare qualcosa di meno gioioso: la preoccupazione egoista di non correre rischi e di togliersi dai guai nel modo più sbrigativo possibile. Il ton ton delle campane crea un fuggi fuggi : dagli sposi “rimasti promessi” ai bravi dalla casa di Lucia. Infatti proprio quella sera il Griso aveva organizzato di rapire Lucia. Al primo tocco (chi è in difetto è in sospetto) i bravi, che si sentono chiamati per nome e cognome, si confondono, si scompigliano: ci vuole tutta l'autorità del Griso, arrabbiato per l'insuccesso, che come cane ringhioso, li raduna, balordi e sbandati tali e quali a dei porci. Don Abbondio, però, non tanto per salvare Renzo e Lucia, quanto per salvare se stesso dall'ira di Don Rodrigo, bisbiglia la bugia:”Cattiva gente, gente che gira di notte…”e così involontariamente anche Don Abbondio ha fatto il suo, seppur piccolo, atto di eroismo. La folla, “lo sciame confuso”, arrivata a casa di Lucia, si lascia convincere a tornare a letto da “uno”. Chi? Un bravo travestito, uno di Don Rodrigo o uno della folla che aveva solo voglia di andarsene a casa? È piuttosto difficile indovinarlo anche perché lo scrittore stesso afferma che “non si seppe mai chi fosse stato”. “…..moriron negli sbadigli.”così, in bellissime e rapide righe, si acquieta tutta la lunga tempesta notturna. Con “i nostri fuggiaschi… “il racconto prende un tono nuovo: più lento, più sommesso e più elegiaco fino al famosissimo addio ai monti di Lucia. La frase “la notte degli imbrogli e de'sotterfugi” si addice perfettamente alla grande confusione di questa arruffata notte del villaggio. Tra le ultime pagine c'è un momento veramente alto e intensamente religioso e sarebbe quando fra Cristoforo dice:”vi preghiamo……per quel poveretto.” Dopo questo capitolo la vicenda, fino adesso rimasta chiusa fra le cerchia del villaggio, si allargherà su un più vasto scenario. In questo capitolo il Manzoni ha saputo perfettamente come creare in una commedia degli equivoci, una vivace scena teatrale: l'azione dei personaggi, lo spostarsi delle scene, l'intrecciarsi alla cieca e l'allargarsi infine dei riflessi della trama fino a coinvolgere tutte le reazioni di un'intera folla. E proprio per questo lo definisco il miglior capitolo finora letto.

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