Commento del capitolo ottavo - a cura di Alessia Dayan

Dell'ottavo capitolo dei “I Promessi Sposi” Manzoni ci presenta il mancato tentativo dei due protagonisti di sposarsi, attraverso un piccolo imbroglio e la loro fuga dal paese. Nel testo sono presenti numerose situazioni di ironia, contrastate da brevi paragrafi caratterizzati da momenti drammatici o malinconici come nell “Addio ai monti”. Lo scrittore inizia il brano con un lungo riferimento al linguaggio della   commedia. La frase iniziale “Carneade! Chi era costui?”, pronunciata da Don Abbondio è ironica poiché l'autore pone l'accento sull'ignoranza del curato e allo steso tempo si prende gioco di quei lettori che non conoscono il personaggio.  L'umorismo lascia poi spazio alla descrizione dei sentimenti di Lucia . La sua paura è più volte sottolineata dal Manzoni, come possiamo notare nella frase “il rumore più forte era il martellar che faceva il povero cuore di Lucia” e più avanti, dal paragone della protagonista con una statua in creta. Il testo continua poi con la descrizione del viso di Don Abbondio che può essere confrontata con quella di un vecchio e monotono sistema di vita, come si nota dalla ripetizione dell'aggettivo “vecchio”. Il riutilizzo di “folto”, invece, serve per introdurre il paragone con un paesaggio invernale, i cui cespugli, coperti di neve proprio come i baffi del curato sono bianchi, si trovano su un dirupo illuminati al chiaro di luna, proprio come il viso rugosoo e bruno del personaggio è rischiarato da “un lume scarso d'una piccola lucerna”. Il racconto dettagliato del parroco continua con il risalto di alcune caratteristiche del suo carattere, come la diffidenza e l'avarizia, attraverso la narrazione del suo controllo accurato delle monete restituitigli da Tonio. Questa frase inoltre è caratterizzata dalla numerosa presenza di verbi, usati per aumentare la velocità dell'azione. Nell'espressione “com'è diventato sospetto il mondo” è presente un ulteriore effetto satirico poiché questa è pronunciata dal curato subito dopo il suo controllo minuzioso dei denari. Nel rigo 116 Manzoni fa utilizzo di un climax, attraverso il quale rende il susseguirsi di azioni sempre più intense. Un'altra figura retorica da lui utilizzata è un'onomatopea  per rappresentare il suono delle campane. Nel momento cruciale della narrazione, lo scrittore decide di interrompere il racconto, per concentrarsi sullo scambio dei ruoli tra Renzo e il parroco, attraverso il quale i ragazzo passa per tiranno e Don Abbondio per martire. È in questo momento che Manzoni interviene in prima persone per affermare, attraverso una lieve ironia, che, anche nella vita, spesso l'oppressore passa per vittima e viceversa. Questo avviene anche nel momento in cui il parroco urla “tradimento” in cerca di aiuto come se lo dovessero uccidere. Il capitolo continua con un flashback dove è raccontata la lunga serie di  azioni dei bravi nella casa di Agnese, scena caratterizzata dalla presenza di circostanze di tensione e momenti drammatici, come quello che vede protagonista Menico. Manzoni attribuisce ai bravi una similitudine zoomorfa, con la quale influisce negativamente sull'opinione del lettore. L'autore rappresenta il suo affetto nei confronti di Lucia e Agnese assegnando alla loro casa diminutivi e aggettivi come “nostra” e “povera”. Il simbolo della casa è costantemente presente nel capitolo. Un'altra immagine che si può ritrovare in più di un'occasione nel testo è la luna. La sua descrizione e quella della sua luce rende i momenti descritti poetici e sereni. Il capitolo prosegue attraverso un secondo flashback con il racconto delle azioni di Perpetua e Agnese dalle quali si ritornerà alla contemporaneità attraverso l'uso di verbi all'indicativo presente. L'utilizzo di questo tempo serve a dare un'immediatezza alla scena. L'ultimo momento comico lo si può notare nella narrazione della fuga dei bravi nella casa di Agnese e nelle azioni umoristiche del console, al quale è attribuito il verbo “speculare”, di solito assegnato a un linguaggio filosofico. Egli inoltre è paragonato da Manzoni a un re di Francia.  Il resto del racconto mette in risalto le qualità di Fra Cristoforo e il sentimento di malinconia dei personaggi nel lasciare il loro paese natio. La breve descrizione di Fra Cristoforo può essere paragonata a quella di Don Abbondio. Il primo è caratterizzato da una faccia pallida e una barba argentea, aggettivo che rende l'idea di un uomo dal buon animo. Il secondo, invece, è distinto da un viso rugoso e bruno, attributo che contrasta con la faccia pallida del frate. Inoltre Manzoni fa pronunciare una frase in latino dal monaco, il quale non la utilizza per sottolineare la sua cultura e la sua superiorità come fa Don Abbondio, ma ne fa uso per sottolineare la presenza di Dio. Il latino, infatti, era la lingua usata dalla Chiesa. La triste scene dell “Addio ai monti” è una lunga descrizione del paesaggio, dove è messa in rilievo la bellezza del panorama. Questa narrazione, raccontata dalla voce del narratore, è attribuita al pensiero dei personaggi che stanno scappando per le acque dell'Adda, ma soprattutto a Lucia che guarda con sconforto “la sua casetta. In questa descrizione risalta l'amore che i protagonisti provano per il loro paesaggio che stanno lasciando, come due amanti che si separano. La parola chiave di questo brano è “ addio”, sostantivo ripetuto più volte e sempre posto all'inizio di una frase, in modo da risaltare sulle altre parole.

 

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