Piero Melograni
Pio XII, silenzio preventivo
"Il Sole 24 ore"
13 marzo 2005, p. 35

Il diplomatico statunitense Harold H. Tittmann, incaricato di affari presso il Vaticano, ebbe il privilegio di osservare da vicino l'operato di Pio XII durante gli anni della Seconda guerra mondiale e tenne un diario oggi tradotto in italiano. La questione più complicata fu quella delle mancate proteste nei confronti dello sterminio messo in atto dai nazionalsocialisti contro gli ebrei. É un argomento che scotta e molti addebitano a Pio XII un contegno troppo prudente. Tittman, nel diario, assolve il papa da ogni colpa: <Personalmente non posso fare a meno di pensare che il Santo Padre, non protestando ufficialmente, abbia scelto la via migliore e abbia salvato in tal modo molte vite>.

Alla stessa conclusione arrivammo 26 anni fa recensendo i documenti diplomatici pubblicati da Ennio Di Nolfo (Vaticano e Stati Uniti dalle carte di Myron C. Taylor, Franco Angeli editore, ora ristampato dalla In-Edit-A con il titolo Dear Pope, Vaticano e Stati Uniti). Le ragioni in base alle quali Pio XII decise di non elevare proteste pubbliche sono quasi tutte rintracciabili in quei documenti e si trovano nuovamente illustrate nel diario di Tittmann.

Innanzi tutto le informazioni sullo sterminio arrivarono tardi. A ricordo di Tittmann le prime notizie certe sui massacri degli ebrei, a Varsavia o altrove, giunsero in Vaticano nel settembre del 1942. In secondo luogo Pio XII non poteva dimenticare quanto era accaduto nel 1939 allorché la Radio Vaticana, gestita dai gesuiti, aveva cominciato a denunciare le atrocità nazionalsocialiste in Polonia. I vescovi polacchi avevano fatto sapere che, dopo ogni trasmissione, le SS attuavano tremende rappresaglie e il superiore generale dei gesuiti, padre Ledochowski, polacco, aveva dovuto dare personalmente l'ordine di restare in silenzio.

In terzo luogo i maggiori esponenti della resistenza cattolica tedesca - come i vescovi polacchi appena citati - chiedevano di continuo al papa di <tenersi in disparte>. L'avvocato Joseph Muller, famoso esponente cattolico antinazista, dichiarò a Tittmann di aver sempre insistito <affinché il papa si astenesse da qualunque dichiarazione pubblica che sottolineasse il ruolo dei nazisti e nella fattispecie li condannasse>. Il papa doveva mantenersi sulle generali, altrimenti i cattolici tedeschi sarebbero stati perseguitati più violentemente di quanto già non lo fossero da anni.

In quarto luogo Pio XII ricordava che Benedetto XV, suo predecessore ai tempi della Prima guerra mondiale, era stato accusato di aver contribuito con le sue denunce alla sconfitta della Germania. La comunità cattolica tedesca ne aveva patito gravi danni e Pio XII, che aveva vissuto a lungo in Germania, voleva evitare il ripetersi di tale esperienza. Inoltre, se avesse denunciato le violenze dei tedeschi, il papa non avrebbe potuto restare in silenzio di fronte alle violenze compiute dai sovietici, tanto più che Hitler, dopo aver iniziato la guerra contro l'Urss, gli aveva chiesto di benedire la sua crociata anticomunista e il pontefice si era rifiutato.

Infine non fu mai del tutto escluso che gli Alleati rinunciassero a chiedere la resa incondizionata e il conflitto potesse concludersi con una pace negoziata. Non volendo creare ostacoli a un eventuale ruolo di mediatore, il Vaticano trovò una nuova ragione per essere rigorosamente imparziale.

Il diario di Tittman ci fornisce altre informazioni meritevoli di essere segnalate. Prima di intervenire in guerra, Mussolini temette che gli Stati Uniti, oltre al nazismo, volessero distruggere anche il regime fascista. Ma Roosevelt, il 18 aprile 1940, cercò di rassicurarlo. Fategli sapere, scrisse, che: <noi siamo in relazioni amichevoli con molti Paesi governati da un regime autoritario e non è affar nostro il tipo di regime al potere in altri Stati>. Anche Lord Halifax, per tenere l'Italia fuori dalla guerra, dichiarò che il governo inglese non aveva mai pensato di porre sullo stesso piano Hitler e Mussolini. Il 26 aprile 1940 lo stesso papa scrisse a Mussolini esortandolo alla neutralità.

Quando gli Alleati sbarcarono in Italia, nell'estate del 1943, il cardinale Maglione, segretario di Stato vaticano, rimase sconvolto e - ricordando quanto era accaduto ad Annibale secoli prima - previde che la loro marcia verso nord si sarebbe arrestata a Cassino. Dopo l'armistizio dell'8 settembre, quando i tedeschi occuparono Roma, collocarono sentinelle armate in Piazza San Pietro, ai confini dello Stato Vaticano. Alcuni temettero che Hitler, in vista della probabile avanzata angloamericana, decidesse di deportare Pio XII in Germania. Ma poi il Fuhrer e i suoi consiglieri capirono che avrebbero avuto molto più da perdere deportando il papa che non lasciandolo a Roma.

Dopo la dissoluzione dell'esercito regio nel settembre 1943, migliaia di prigionieri angloamericani fuggirono dai campi di concentramento, e i diplomatici Alleati in Vaticano crearono un'organizzazione clandestina per soccorrerli. Alcuni di questi ex prigionieri penetrarono in Vaticano dove rimasero nascosti fino al giugno 1944.

Il 5 novembre del 1943 un misterioso e piccolo aereo sganciò quattro bombe sul Vaticano, causando qualche danno. In quei giorni molti ritennero che si trattasse di una provocazione dovuta a un aereo tedesco o della repubblica di Mussolini. Il figlio di Tittmann, nelle note scritte a commento del diario paterno, tende a escluderlo. L'identità di quel velivolo resta avvolta nel mistero ma <la teoria più probabile è che le bombe fossero state sganciate da un aereo inglese in difficoltà>.

Harold H. Tittmann jr., Il Vaticano di Pio XII, Uno sguardo dall'interno, a cura di Harold H. Tittmann III, Corbaccio, Milano 2005, pp. 230.

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