Piero Melograni
Rathenau, il capitalista "rosso"
"Corriere della sera"
11 novembre 1995

Walther Rathenau nacque in una famiglia ebraica di Berlino nel 1867. Ereditò dal padre il controllo di una fra le più potenti imprese tedesche, la AEG, e, all'età di 40 anni, cominciò a occuparsi attivamente di politica assumendo incarichi governativi. La sua biografia potrà interessare quegli italiani che oggi discutono sulle commistioni fra politica e imprese. Rathenau, difatti, fu un imprenditore-politico che pagò con la vita il suo impegno. Responsabile dell'approvvigionamento delle materie prime durante la grande guerra, ministro della ricostruzione nel 1921 e ministro degli esteri nel 1922, fu assassinato in quello stesso anno da estremisti di destra.

Contrariamente a quanto gli schemi classisti farebbero pensare, Rathenau non fu affatto un uomo di destra. Aveva ereditato una grande impresa, ma predicava l'abolizione dei diritti di successione. Era ricchissimo, ma invocava un'imposta progressiva sui redditi che espropriasse gradualmente tutti i patrimoni. Guidava col pugno di ferro la sua azienda, ma vagheggiava la liberazione del proletariato e l'avvento della società senza classi.

Rathenau era un personaggio pieno di contraddizioni che, pur vivendo nell'industria, soffriva perché gli sembrava dhe l'industrializzazione soffocasse il mondo. Riteneva che la meccanizzazione possedesse un'infernale capacità omologante, distruggesse la vita interiore, trascinasse gli uomini fuori dalle loro anime. D'altra parte era abbastanza lucido per capire che il progresso tecnologico costituiva una strada obbligata, priva di alternativa.

Credette che la statalizzazione delle imprese e la regolamentazione dei consumi potessero offrire una soluzione ai problemi dell'umanità. E, quando scoppiò la prima guerra mondiale, vide in questa guerra un'ottima occasione per estendere l'intervento pubblico in economia. Anche per questo chiese ed ottenne di diventare il capo dell'ufficio preposto all'approvvigionamento delle materie prime, rivelandosi un abilissimo organizzatore.

Commise un'imprudenza, nel settembre 1914, allorché scrisse che sotto la guida della sua classe dirigente, la Germania non avrebbe potuto vincere. Le sue parole furono più tardi considerate quelle di un disfattista. Commise un'altra imprudenza nel 1916, allorché approvò per iscritto la deportazione di settecentomila lavoratori belgi. Ciò gli fece temere, dopo la sconfitta tedesca, di essere incluso nella lista dei criminali di guerra predisposta dagli Alleati.

Come ministro degli esteri Rathenau viene ricordato soprattutto per aver firmato a Rapallo, nell'aprile 1922, un accordo con l'Unione Sovietica. E'probabile che egli vi fosse sospinto anche da motivi ideali. Ma quell'accordo corrispondeva alla Ragion di Stato e avrebbe potuto essere sottoscritto anche da un ministro conservatore. Due mesi più tardi Rathenau fu assassinato a Berlino da chi vedeva in lui un ebreo filo-bolscevico. Non c'è dubbio che egli veniva odiato proprio perché non era un politico qualunque, bensì un grande imprenditore capitalista, datosi alla politica per passione.

L'autore della biografia, Harry Kessler, era un diplomatico che aveva conosciuto molto bene Rathenau. Pubblicò questa biografia quasi settant'anni fa e non disse tutto quello che realmente pensava.

Harry Kessler, Walther Rathenau, Il Mulino, 334 pagine, 45.000 lire.
 

 

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