Piero Melograni
Una diagnosi pessimista
"Mondo Economico"
30 settembre 2003

La Commissione d'indagine sulla povertà, presieduta da Ermanno Gorrieri, ha compiuto un lavoro encomiabile poiché ha richiamato l'attenzione del paese sulle situazioni di indigenza ancora diffuse. E tuttavia la relazione che la stessa Commissione ha presentato in questi giorni al presidente del Consiglio può far nascere alcune perplessità. La Commissione utilizza i dati sui consumi familiari che circa 2.700 capifamiglia inviano mensilmente all'Istat compilando un questionario e sottoponendosi a intervista. Nello stesso tempo la Commissione definisce poveri coloro i quali dichiarano all'Istat una spesa individuale (per consumi) pari o inferiore al 50% della spesa nazionale individuale. Da queste premesse la stessa Commissione deduce che "l'area della povertà" comprende l'11,1% degli italiani. La Commissione esprime i suoi dubbi sull'esattezza dei dati Istat, immaginando le reticenze dei dichiaranti. Ma poiché essa suppone che le reticenze siano equamente distribuite in tutte le classi di spesa, non se ne preoccupa. Il suo concetto di povertà, infatti, è relativo. La povertà è valutata come abbiamo visto in base a una media e non in base a un valore assoluto. Che significa povero? Le osservazioni che uno storico può fare al riguardo sono numerose. Innanzitutto esse concernono proprio questa relatività del concetto di povertà. Nelle società preindustriali erano e sono poveri i moltissimi che neppure riescono a sfamarsi. Nelle società del capitalismo industriale sono considerati poveri come ha dichiarato la Cee coloro "le cui risorse materiali, culturali e sociali sono così scarse da escluderli dal tenore di vita minimo accettabile nello Stato membro in cui vivono". La relatività del concetto può essere illustrata dal fatto che un cittadino considerato povero in Germania, non verrebbe considerato tale in Italia o in Grecia o in Portogallo. Diciamo pure che, con l'adozione di un criterio di relatività, la povertà è destinata a non finire mai, se non in una società egualitaria. Ma soltanto in teoria. In pratica gli abitanti della "egualitaria" Unione Sovietica sono ben più poveri degli italiani e dei francesi. Un'altra osservazione suggerita dalla storia riguarda il numero dei disagiati. L'inchiesta Gorrieri fa bene a insistere su quell'11,1% di cittadini inclusi nell' area della povertà. Ma il dato storicamente più impressionante è rappresentato da quell'89,9% di italiani che da tale area sono finalmente usciti. Nell'Italia preindustriale perfino i cittadini lombardi si nutrivano di segale e miglio.

La Commissione Gorrieri insiste sulla necessità di redistribuire le risorse. Ma la storia dimostra che il fattore decisivo per combattere la povertà è stato sempre rappresentato dalla crescita del prodotto nazionale lordo. Il fatto è che la Commissione condivide il pessimismo di coloro i quali ritengono che la rivoluzione tecnologica provocherà disoccupazione. Lo stesso pessimismo animò secoli or sono molti economisti quando previdero che la diffusione dei mulini a vento avrebbe provocato, anch'essa, disoccupazione.

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