Piero Melograni
L'Italia è in rivolta e Gino la placa...
"TV Sorrisi e Canzoni"
13 marzo 2006, n. 17, p. 40.

Gino Bartali vinse per la prima volta il Giro d'Italia nel 1936, quando aveva 22 anni, essendo nato nel 1914 a Ponte a Ema (Firenze). Nel 1937 vinse di nuovo il Giro e diventò subito un mito anche perché a quel tempo la bicicletta era assai più in voga di oggi.

Le biciclette erano prodotte da famose marche come la Legnano, la Bianchi o l'Atala. Gli operai non erano abbastanza ricchi da acquistare un'automobile ma, grazie ai faticati risparmi, potevano comprarsi una bicicletta magari di seconda mano e molto vecchia, sulla quale percorrere i chilometri dall’abitazione all'officina. Riparavano le biciclette da soli e incollavano molte toppe sulle camere d'aria delle ruote. D’inverno si proteggevano dal freddo infilando i giornali sotto la camicia e pedalando in fretta. Ecco perché l'instancabile Bartali, che macinava chilometri, scalava le montagne e volava nelle discese, diventava un mito popolare.

Nel 1940, l'anno in cui l'Italia entrò in guerra, il Giro fu vinto da Fausto Coppi, ex gregario di Bartali. Tra i due campioni ebbe inizio una rivalità destinata a durare anni. Bartali vinse di nuovo nel 1946, nel primo Giro organizzato dopo la guerra. Coppi si aggiudicò la vittoria altre quattro volte negli anni seguenti. E la competizione tra i due si estese al Tour de France, che entrambi vinsero due volte. Bartali nel '38 e nel '48. Coppi nel '49 e nel '52.

L'antagonismo tra i due campioni assunse una colorazione politica, poiché Bartali era terziario carmelitano e politicamente un democristiano, mentre Coppi era più ribelle e piaceva alle sinistre. Anche la sua relazione extra-matrimoniale con la «Dama Bianca», che tanto scandalo suscitò nell'Italia del dopoguerra, contribuì a renderlo molto diverso da Bartali.

Grande significato assunse la partecipazione di Bartali al Tour de France nel luglio del 1948 poiché le sue vittorie di tappa, che lo avvicinarono al trionfo finale, coincisero con i movimenti insurrezionali che ebbero luogo in Italia dopo che Palmiro Togliatti, il segretario del Partito comunista italiano, fu gravemente ferito - nella tarda mattinata del 14 luglio - da due colpi di rivoltella che gli furono sparati all'uscita di Montecitorio da uno studente siciliano.

Alcuni sostengono che furono le vittorie di Bartali a calmare gli insorti, ma non lo credo. Quelle vittorie contribuirono certamente a placare gli animi e a distrarli, ma le vere ragioni per le quali l'insurrezione non si sviluppò furono altre. Innanzitutto il fatto che l'ambasciatore sovietico in Italia fece sapere che, se i moti si fossero estesi, nessun sostegno politico o militare sarebbe stato dato a essi dall'Unione Sovietica. Prevedendo questo comportamento dei sovietici, lo stesso Togliatti, dalla barella che lo trasportava al Policlinico, ordinò ai suoi compagni di stare calmi. In secondo luogo agì il fatto che Togliatti fu ben curato e sopravvisse, tanto che il 19 luglio venne dichiarato fuori pericolo. Se fosse morto, sarebbe risultato molto difficile frenare gli insorti.

 

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