Piero Melograni
13 agosto 1975, nasce la cultura antimoderna
"Il Mondo"
sabato, 30 marzo 1996, p. 98

Una nazione non può progredire senza facilitare il movimento delle persone e delle merci. Ma gli italiani sembrano poco consapevoli di questa necessità. Da circa vent'anni non costruiscono strade. E da circa ottanta anni non estendono neppure la loro rete ferroviaria. I chilometri di autostrade, che nel ventennio 1955 - 75 crebbero del mille per cento, sono aumentati nell'ultimo ventennio soltanto del 18 % . Il totale generale delle strade, che nel ventennio 1955 - 75 quasi si raddoppiò arrivando a 291 mila km, non supera oggi i 305 mila km. Le ferrovie in esercizio, dopo aver raggiunto i 16 mila km ai tempi della prima guerra mondiale, sono rimaste ferme a tale cifra. Per capire le dimensioni del ritardo italiano in tema di strade basta ricordare che, con i suoi 32 milioni di autoveicoli, l'Italia e' quarta nel mondo subito dopo gli Stati Uniti d'America, il Giappone e la Germania. Nel rapporto autoveicoli - abitanti (pari a un autoveicolo ogni 1,5 abitanti)l'Italia si trova addirittura al terzo posto nel mondo, insieme con Austria e Nuova Zelanda, subito dopo Stati Uniti e Canada. Il fatto grave e' che l'Italia, pur collocandosi ai vertici del parco automezzi, occupa l'ultimissimo posto, insieme con Singapore e Hong Kong, nel rapporto tra gli automezzi e i chilometri stradali. Nella nostra penisola, difatti, circolano ben 106 automezzi per chilometro, mentre in Francia ne circolano 32, negli Stati Uniti 31 e in Canada appena 22. Per dare respiro ai suoi commerci e al suo turismo l'Italia dovrebbe urgentemente riaprire i cantieri, dalle Alpi alla Sicilia. Le ragioni per le quali da circa vent'anni l'Italia si e' paralizzata sono varie. E una di esse va cercata nel diffondersi di quella cultura antimoderna che trovò espressione assai evidente nel decreto del 13 agosto 1975, grazie al quale fu deciso il blocco a tempo indeterminato di tutte le opere autostradali. La crisi petrolifera del 1973 aveva indotto molti italiani a sognare un'eliminazione del traffico e delle automobili. Molti dissero che strade e autostrade deturpavano il passaggio e inquinavano l'ambiente. Molti sostennero che quasi tutto il traffico passeggeri e merci avrebbe potuto essere assai più utilmente dirottato verso le ferrovie. Non capirono che le ferrovie erano già in declino in tutto il mondo e che l'obiettivo di sostituirle alle strade era sostanzialmente utopistico. Da trent'anni a questa parte le quantità di merci trasportate per ferrovia sono diminuite non soltanto in Italia, ma pure in Francia, Germania, Danimarca, Olanda. Anche il numero dei passeggeri trasportati per ferrovia ha cominciato a declinare dal 1921 negli Stati Uniti d'America e in Gran Bretagna, dal 1946 in Norvegia, dal 1948 in Svezia, dal 1962 nella stessa Italia. In tutta Europa e' viceversa in continua crescita il traffico su strada, perché ciò e' imposto dalle logiche del mondo produttivo, per ragioni di tempo e di economia. E' vero che una legge del 1982 mise in moto una serie di interventi diretti a completare opere autostradali, che consentirono di costruire l'utilissima bretella Fiano - San Cesareo, nei pressi di Roma, e di portare a termine terze corsie in vari luoghi della penisola. Ma l'Autostrada del Sole continua a trovarsi sull'orlo del collasso. I lavori per la variante appenninica, tra Barberino di Mugello e Sasso Marconi, non sono iniziati. E le opposizioni di carattere politico e culturale sono state rafforzate dalle difficoltà finanziarie, dato che il costo delle opere e' notevolmente cresciuto mentre le finanze pubbliche si sono assai indebolite. Vogliamo infine sottolineare che la questione stradale (e ferroviaria) non riguarda soltanto il territorio nazionale, bensì anche le connessioni con gli stati confinanti. Sarebbe urgente disporre di nuove vie di comunicazione al di qua e al di là dei valichi alpini, attraverso i quali transitano quantità sempre più ingenti di merci. Ma si tratta di opere di grande impegno per le quali, oltre alla difficoltà dei costi, si pone quella dei tempi di realizzazione. Se i cantieri fossero aperti oggi, bisognerebbe pur sempre attendere anni prima di vedere i risultati. Esiste il rischio che l'Italia, frattanto, finisca soffocata.

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