Lepopea di Gilgamesh
di Rosalba BuonfrateLepopea di Gilgamesh è uno dei più antichi poemi conosciuti. Fu composto in alcune sue parti presso i Sumeri, intorno al 2200 a.C. e fu poi completato e sistemato dai Babilonesi e dagli Assiri, tra il 1500 e il 600 a.C.
Lepopea di Gilgamesh ha un doppio, straordinario interesse. Per un lato ci dà notizie sul mondo dellantica Mesopotamia: parla di città, santuari, templi, lavori delluomo per controllare fiumi ed acque, guerre, popoli. Per un altro lato si fa ammirare come una delle più alte opere poetiche di ogni tempo.
Essa si fonda su sentimenti universali, sempre presenti nella storia dellumanità: lamicizia, lo sgomento di fronte alla morte delle persone care, il desiderio di gloria, la ricerca impossibile della vita eterna, la paura delloltretomba.
Questa in sintesi la vicenda. Gilgamesh per due terzi Dio e per un terzo uomo, ha costruito con le proprie mani la città di Uruk. Ma è crudele, e opprime a tal punto con la sua ferocia la popolazione che i sudditi si rivolgono alla dea Aruru, per chiedere aiuto.
Gli dei accolgono la richiesta, e modellano con largilla leroe Enkidu, che dovrà punire quel re crudele. Enkidu sfida Gilgamesh, lo vince ma non lo uccide: anzi, i due divengono grandissimi amici, e compiono insieme gesta straordinarie.Ma dopo tante prodezze Enkidu si ammala e muore.
Gilgamesh è disperato e non si rassegna, e si mette in cerca di Untnapishtim, lunico uomo a cui gli dei abbiano donato limmortalità. Ma questa ricerca non da i risultati sperati: Gilgamesh supera ogni sorta di disagi e avventure, ma il viaggio è inutile, perché gli dei non daranno a nessuno il privilegio di <non morire >, e tutto sarà vano.
Gilgamesh torna a Uruk. Riesce unicamente a richiamare dalloltretomba, per pochi attimi, lo spirito dellamico morto Enkidu, il quale narra con parole piene di disperazione lo squallore e lorrore del mondo dei morti.
Tuttavia il fallimento dellimpresa ha insegnato a Gilgamesh la saggezza: accettare la vita, coi suoi limiti e le sue responsabilità.
Il poema non è dunque uno sfiduciato invito alla rinuncia, alla fuga dalla vita e dalle proprie responsabilità, ma, al contrario, unesortazione al compimento del proprio dovere, con la responsabilità che dà unoggettiva e sicura visione della verità.
Luomo non è un dio, non è destinato allimmortalità, non è invulnerabile al dolore; mortalità e dolore devono essere accolti e trasformati poiché la conoscenza è sempre una conquista e una virtù piena e consapevole di sé.