I Tic dei Maestri

 

Agli occhi dei profani, i giocatori di scacchi appaiono una strana razza. Non pericolosa, beninteso, semplicemente stramba. Di sicuro, un uomo che fissa incessantemente una scacchiera e dei pezzetti di legno, e indulge ad ogni piè sospinto in mormorii strazianti e sospiri, intimidisce uno spettatore ignaro di scacchi e di scacchisti. Ma per gli autentici appassionati, quei suoni sono un spicchio integrante della partita.

In verità non tutti i Maestri gemono e sospirano. Non tutti i Maestri, peraltro, giocano alla stessa maniera, e dunque perché ci si dovrebbe attendere che si comportino allo stesso modo? Così non è, infatti.

Nell’ardore della lotta e nella tensione di un’imminente combinazione di sacrificio o di un finale vincente di Torri e Pedoni, ogni Maestro può esprimere il suo dolore, la sua delusione, la sua gioia, la sua speranza o la sua disperazione secondo la sua indole e la sua posizione. Questo è un indizio d’aiuto per gli spettatori, dacché spesso, con una sola occhiata in sala di torneo, possono senz’altro comprendere quale partita sia ormai agli sgoccioli.

Tuttavia, a volte nessuno può dire se il Maestro esprima gioia o tristezza. Winter, il Maestro inglese, siede curvo sulla scacchiera con una mano sul fianco e l’altra poggiata sul mento. Poi, senza preavviso, si fruga con nervosismo per una sigaretta, abbandona a metà la ricerca (saggia cosa, giacché le sigarette inglesi sono orripilanti), e si prende la testa fra le mani, intrecciandosele a tutto tondo mentre abbassa il capo sulla scacchiera, così da fruire di un conveniente ricettacolo qualora la testa rotolasse giù. A tutti i Congressi Scacchistici di Sua Maestà, piovono copiose scommesse sulla caduta della testa di Winter.

E naturalmente anche Alekhine intreccia. Egli si contenta però di una ciocca di capelli, restio a portare la croce (e la testa). Egli tossisce a mo’ di staccato durante il flusso di una partita, e di solito non a cagione di uno spiffero al petto. A Nottingham era facile spiegare la tosse se si soppesavano le cicche di sigaretta lasciate dal Dottore dopo una partita. (E per giunta cicche di sigarette inglesi).

C. H. "O’Death" Alexander, colui che realizzò il miglior risultato di tutti gli inglesi a Stoccolma, dondola sulla sedia avanti e indietro, mentre canticchia senza armonia col dondolio. Probabilmente il motivo non è "La Gran Bretagna Soprasta le Onde" poiché C. H. O’D. ha buon sangue irlandese nelle vene. C’è un’altra storiella sul suo conto che non può essere sottaciuta. Egli è a tutt’oggi il solo uomo ad aver mai giocato in un Congresso di Sua Maestà in calzoncini corti. (C. H. O’D., non Sua Maestà!).

Bogoljubov siede compiaciuto, a gambe larghe e stese, e contempla la scacchiera con bonomia, lanciando di quando in quando un’occhiata ironica all’avversario. Questo gli dà l’aspetto di un Buddha benevolo, una somiglianza accresciuta dal pancione figlio della sua brama di birra.

Capablanca arriccia filosoficamente le labbra, e scivola dalla sedia con la grazia di un daino, ciò che cela i suoi quaranta e passa anni, mentre cammina di scacchiera in scacchiera per adocchiare come se la passano i suoi colleghi.

Euwe si piega sulla scacchiera intentamente, mentre stringe le mani in grembo e flette le braccia. Talvolta si ravvia in fretta un ciuffo di capelli che gli è scivolato sulla tempia. Anch’egli cammina spedito di scacchiera in scacchiera, giacché il moto è un elemento del suo allenamento generale.

Flohr aggrotta le sopracciglia così ansiosamente che vien quasi da temere che scoppi in lacrime. Ma non appena ha raggiunto una posizione promettente, allora alza gli occhi al tutto circostante con un sorriso infantile e contagioso.

Fine e Reshevsky, benché con moderazione, sogliono ondeggiare, e tutt’e due sono assai concentrati, anche se Reshevsky riesce di solito a sembrare più serio. Fine abbozza un po’ di svolazzi con le nocche, e talvolta tratteggia in aria disegni geometrici con una matita. Kashdan indossa la più pensosa e deferente espressione che si sia mai vista sulla faccia di un Maestro, e talvolta sbatte le palpebre con frenesia per assicurarsi di possedere due Alfieri e non due Cavalli.

Botvinnik non svela alcun reale tic, tranne il suo sguardo fisso e attento di studioso, accresciuto dai larghi occhiali che gli danno un’apparenza professorale. Sorride con esitazione ed è estremamente modesto. Sembra senz’altro il più normale della brigata.

Tartakower è versatile, e persino coerente ai i suoi riti. Ondeggia, si toglie gli occhiali spessissimo e si stropiccia gli occhi, guarda fisso in avanti per assicurarsi che il suo avversario abbia finalmente scritto sul formulario la mossa eseguita prima, increspa le labbra, porta un dito alle sopracciglia per suffragare la sua concatenazione di pensiero (un rito in cui indulge anche Capablanca), e spesso si rimprovera in silenzio, scuotendo il capo e muovendo le labbra. Nella sconfitta è autoironico, irridente alla sua malasorte.

Lasker dardeggia le occhiate feroci di un leone, di cui egli è l’incarnazione scacchistica. Mentre fuma i suoi sigari, li maneggia con cautela. Non fuma con l’immoralità dissipatrice di un uomo senza qualità; anzi, egli il sigaro lo adora.

Miss Menchik è senz’altro la più placida di tutti i Maestri. Siede stolida, mentre scruta la scena schivando gli spettatori. È imperturbabile, a meno che qualche sventurato astante non bisbigli un po’ troppo forte. Allora ella si volge verso il colpevole e sibila un intenso "Ssssshhhh!!!". La sua rivale Sonia Graf è l’esatto contrario, per essere un maschiaccio tanto nel contegno quanto nell’abito. Ella dondola di sghembo, tamburella nervosa con una matita o una sigaretta, lancia occhiate impazienti per ogni dove.

I Maestri americani, abitanti di un paese dove la gente è sempre indaffarata e su di giri, hanno introdotto azione nei tic. Harold Morton siede di sghembo, con le gambe accavallate, e scalcia avanti e indietro con la gamba più alta. Poi, all’improvviso, si districa e cerca di tuffarsi nella scacchiera, alzando e abbassando gradatamente la testa, per sondare le reazioni dell’avversario. Reagisca o meno l’avversario, comunque Harold non perde lo smalto.

Jaffe guarda minaccioso l’avversario dalle palpebre abbassate, e ritma un alfabeto Morse con una matita o una sigaretta. Egli però tamburella la sigaretta un po’ più amorevolmente di quanto non faccia con la matita.

Mugridge è un porta-testa e un gratta-mento per eccellenza. Di indole più tranquilla di Winter, non gli interessa di scoprire se la testa possa esser girata su o giù. Cohen dondola il piede, mentre contempla benigno la scacchiera. Ma a differenza di Bogoljubov, il suo sguardo bonario è permeato da una latente aspettativa, come se stesse pregando che l’avversario non si avveda di un matto in due. A volte l’avversario non se ne avvede, e allora Cohen, da benigno, si tramuta in uomo d’azione.

Treysman piega le braccia innanzi al petto e abbassa il capo come se gli avessero appena letto la sentenza di morte. Anch’egli è un piede a dondolo. Ma egli dondola su e giù, ove invece altri dondolano da destra a sinistra.

Naturalmente ce ne sono altri. E sono una legione. Ci sono gratta-testa, spremi-naso, tira-orecchie, mordi-labbra. Tutti possono essere incontrati: non all’Ospedale di Stato per gli insani di mente, ma in una sala di torneo alla scacchiera.

 


 

 

 

 
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