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La Conca dell'Aquila costituiva nel Pleistocene un
bacino chiuso nella cerchia dei monti che si erano formati nelle ultime fasi
dell'orogenesi alpina nel complesso della catena appenninica. Era
caratterizzata perci� dalla presenza di un grande lago che andava, nel
momento di massima estensione, da Cagnano Amiterno fino a Molina e alla
Piana di Navelli. La situazione generale del Quaternario e quella
climatologica particolare, determinata dalla presenza del lago, favorivano
il fiorire di una fauna e di una flora diverse dalle attuali: vi erano
l'elefante, il rinoceronte, l'ippopotamo, il cervo e il cinghiale ed altri
animali che oggi non ci sono pi� oltre a quelli che sono sopravvissuti al
mutamento delle condizioni climatologiche e alla caccia dell'uomo.
Della fauna che frequentava le rive dell'antico lago sono stati trovati in
diverse localit� numerosi avanzi fossili: di Elephas Antiquus, Rinoceros
Merckii, Hippopotamus Amphibius, Cervus Elaphus, Equus, Sus. Alcuni di
questi reperti si conservano nel Museo di Scienze Naturali del Convento di
San Giuliano.
Ma il ritrovamento pi� importante � certamente quello annunciato con tanto
rilievo sui giornali del 25 marzo 1954: si tratta dello scheletro
quasi completo di un Mammout, come fu scritto erroneamente allora e come
molti continuano a credere, ma di un Elephas Meridionalis Nesti.
Questa specie, originaria dell'Asia Meridionale, entr� in Europa nel
Villafranchiano, circa due milioni di anni fa, e fu molto diffusa nel
territorio della penisola italiana all'inizio del Quaternario, prima dei
fenomeni glaciali, come testimoniano i numerosi ritrovamenti. Le dimensioni,
anche se non sono le massime del genere Elephas, erano abbastanza rilevanti,
potendo oltrepassare i 4 metri di altezza ed i 6 di lunghezza. L'aspetto,
nelle linee generali, era abbastanza simile a quello degli elefanti asiatici
attuali, con alcune notevoli differenze, quali la diversa lunghezza e
curvatura delle zanne, la sporgenza della regione della bocca, la robustezza
e la brevit� degli arti posteriori, l'obliquit� del profilo del dorso ecc.
L'Elephas Meridionalis non va assolutamente
confuso con altre specie di elefanti fossili, come l'Elephas Antiquus, pi�
alto e con le zanne rivolte verso il basso, vissuto in epoca pi� recente
(dopo la fine del Villafranchiano) ed estinto nel corso dell'ultima
glaciazione, e l'Elephas Primigenius, il notissimo Mammouth, dal corpo
peloso e dalle zanne ricurve, vissuto durante l'ultima glaciazione ed
estinto circa 10.000 anni fa.
L'esemplare dell'Aquila, Archidiskodon Meridionalis Vestinus,
proviene dalla localit� Madonna della Strada nel comune di
Scoppito, lungo la statale appenninico-abruzzese a 14 Km dal capoluogo.
Il ritrovamento avvenne durante lo sbancamento di una collinetta argillosa
eseguita per l'estrazione del materiale necessario ad una fornace di
laterizi.
Dello scavo e del restauro del reperto fu incaricato l'Istituto di Geologia
e Paleontologia dell'Universit� di Roma, che vi provvide sotto la direzione
della prof. Angiola Maria Maccagno. Le operazioni di recupero
iniziarono il 26 marzo 1954 e si conclusero il 15 maggio.
Lo studio ed il restauro delle singole ossa richiesero due anni di lavoro.
Nel 1958 il fossile fu montato nel bastione orientale del Castello
dell'Aquila ed esposto al pubblico. Lo scheletro � quasi completo, in
perfetto stato di fossilizzazione; manca solo la zanna sinistra (ritrovata
anni dopo a qualche chilometro di distanza), la parte
posteriore destra del cranio, frammenti dei piedi.
L'altezza � di circa 3.75 m. al garrese e 4.40 al
vertice del cranio; la lunghezza, dalla punta della zanna superstite
all'estremit� della coda, � di circa 6.50 m. Il peso dell'animale vivo
doveva superare le 16 tonnellate: circa il doppio di quello degli elefanti
attuali.
Si tratta di un esemplare di sesso maschile - come si ricava da diversi
elementi, quali le grandi dimensioni dello scheletro e della zanna
superstite, i potenti attacchi muscolari, la forma del Foramen magnum
(un'apertura nella regione occipitale del cranio) e la grande cavit� del
bacino -, di et� molto avanzata - come si ricava dalla forte usura dei
molari.
I numerosissimi reperti riferibili dell'Elephas Meridionalis provenienti da
terreni italiani consistono per lo pi� in molari, zanne incomplete, ossa
isolate; due crani in buono stato di conservazione trovati nel 1825 nel
Valdarno si conservano nel Museo di Geologia e Paleontologia
dell'Universit� di Firenze. Nel medesimo Museo si conservano anche altri
importanti ma incompleti reperti provenienti dal Valdarno e dalla
Valdichiana. Quello aquilano � dunque il primo individuo completo recuperato
in terreni italiani. Esistono al mondo, oltre a quello dell'Aquila tre
soli esemplari pi� o meno completi, conservati rispettivamente a Parigi,
Leningrado e negli Usa, nel "Colorado Museum". L'elefante
aquilano � per� di gran lunga il pi� completo.
Esaurito in breve l'argomento del ritrovamento, del recupero e del restauro,
esposti sommariamente alcuni dei risultati a cui sono giunti gli studiosi
esaminando i particolari dello scheletro, � ora il momento di cercare di
dare una risposta agli altri interrogativi, riguardanti le circostanze della
morte dell'animale, le cause che hanno permesso la conservazione del suo
scheletro, il periodo e l'ambiente naturale nel quale esso vive.
Occorre dunque fare riferimento innanzitutto alle caratteristiche geologiche
dei terreni nei quali il fossile si � conservato; anche dal modo di
giacitura, cio� dalla posizione dello scheletro al momento del ritrovamento,
gli studiosi hanno tratto preziose indicazioni. Altri fossili animali e
vegetali trovati nel medesimo giacimento gettano altrettanti spiragli di
luce sulla fauna e la flora contemporanee ed aiutano ad inquadrare
l'elefante in un pi� preciso contesto ecologico.
Attestano gli geologi che "il fossile giaceva nelle sabbie immediatamente
sottostanti ad una formazione deltizia - lacustre di argille villafranchiane
a tratti lignifere". Cerchiamo di spiegare con parole pi� semplici, anche a
costo di qualche piccola imprecisione terminologica, questa espressione un
p� difficile. Lo scheletro era adagiato sul fondo dell'antico bacino
lacustre, in un banco di sabbie rossastre. In quel punto il lago riceveva un
torrente immissario. Il torrente, depositando nel corso dei millenni i
materiali trasportati in sospensione dalle acque, aveva costituito al di
sopra delle sabbie, uno spessore di circa 20 metri di argilla alternate a
banchi di lignite, un carbon fossile originatosi dalla decomposizione di
alberi finiti nella acque del lago. Sia le sabbie nelle quali giaceva l'Elephas
che le argille soprastanti si sono formate, come vedremo meglio in seguito,
nel Villafranchiano superiore, cio� nella fase iniziale del Quaternario.
Lo scheletro era adagiato nelle sabbie sul lato sinistro, con il bacino
ruotato di 90� in posizione supina. L'animale deve essere morto nelle acque
del lago, o lungo il corso del torrente immissario. � probabile che dopo la
morte, spinto dalla corrente, esso sia scivolato e semiaffondato nel fondo
del bacino lacustre. La zanna sinistra, se non � stata perduta in vita pu�
essersi staccata dalla carcassa nel tratto in cui essa � scivolata sul
fondo. Quando inizi� la putrefazione, la parte posteriore del corpo,
rigonfia di gas, riaffior� e galleggi� per qualche tempo: questo spiega la
posizione supina e divaricata delle zampe posteriore. Quindi il corpo fu
sommerso definitivamente. La pelle spessa dell'animale, macerando molto
lentamente, protesse a lungo lo scheletro impedendone lo smembramento.
Durante la decomposizione le sostanze minerali disciolte nelle acque
sostiturono la sostanza organica delle ossa: in questo modo, sepolte dai
sedimenti che nel corso delle centinaia di millenni si andavano accumulando
sul fondo del lago, esse hanno potuto conservarsi fino a noi.
L'affondamento nelle acque del lago � avvenuto certamente quando l'animale
era gi� morto: � stato dedotto dalla posizione della testa, che non era
rovesciata, come negli animali morti per annegamento, ma reclinata sul lato
sinistro. Quale pu� essere stata allora la causa della morte dell'elefante?
L'ipotesi pi� attendibile � che l'esemplare sia morto di vecchiaia, come
accade, in condizioni naturali, alla maggior parte degli elefanti. Un
elefante adulto infatti, grazie alla mole, � al riparo dalle insidie della
maggior parte dei predatori. Oggi come nei tempi preistorici, questi
pachidermi, se non finiscono preda dell'uomo, vivono molto a lungo e
soccombono solo quando la loro dentatura � talmente consumata da non
permettere loro di alimentarsi. � possibile che questa sia stata la sorte
dell'Elephas dell'Aquila: si tratta infatti, come abbiamo detto, di un
esemplare di et� molto avanzata, con gli ultimi molari piuttosto consumati.
Poco dopo la morte la carcassa, ancora integra, fu trascinata da una piena
nelle acque del lago.
Secondo la prof. Maccagno l'associazione di mammiferi e la fauna di
molluschi presenti nelle sabbie del lago sono tipiche " di un ambiente di
colline boscose, ricche di corsi d'acqua, a clima temperato fresco, come �
confermato anche dalla flora e dalla fauna presenti nelle argille
immediatamente sovrastanti ". I medesimi elementi, e anche lo stato
evoluzionale abbastanza primitivo dell'Elephas Meridionalis dell'Aquila,
concordano nel suggerire una datazione al Villafranchiano superiore,
all'inizio del Pleistocene Antico (attorno a 1.500.000 anni fa).
Proviamo dunque ad immaginare quale poteva essere l'aspetto della Conca
dell'Aquila in quei tempi. Le montagne che racchiudevano il grande lago,
cio� i gruppi del Gran Sasso, del Velino Sirente e le propaggini orientali
dei Monti Reatini, erano molto meno alte e scoscese di quanto lo siano oggi.
Le linee del rilievo dovevano essere pi� dolci. Maestose foreste di conifere
e latifoglie coprivano queste alture: vi crescevano anche alberi che i
mutamenti climatici successivi avrebbero allontanato dalle nostre regioni.
Nelle zone scoperte, ricche di vegetazione erbacea, pascolavano mandrie di
primitivi bovidi e piccoli gruppi di rinoceronti. Vi andavano a nutrirsi,
durante la notte, anche grandi ippopotami, che di giorno trovavano un sicuro
rifugio nelle acque del lago. Ad esse uscendo dalle foreste scendevano ad
abbeverarsi e a bagnarsi le mandrie di elefanti. Un paesaggio, dunque,
completamente diverso dall'attuale. E l'uomo,
probabilmente, non vi era ancora giunto.
Dal sito:
http://h1.ath.cx/muvi/museonazionaledabruzzo/archidisk.html
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