Una generazione a tempo determinato
by Carlo Vercellone
Il senso e la posta in gioco del ciclo metropolitano di lotte aperto dai giovani precari cognitivi in Francia può essere interpretato, a livello europeo, come la prima grande crisi del modo di regolazione neo-liberale del capitalismo cognitivo.
La messa in opera di questo modo di regolazione, che
si ispira al modello anglosassone, é stata perseguita, pur tra tentennamenti e resistenze,
dai differenti governi che si sono succeduti in Francia negli ultimi
trent’anni. La sua logica, nel perseguimento del piano europeo di Lisbona, deriva
da una concezione iper-tecnologica e scientista della knowledge-based economy. Il suo obiettivo principale, sul piano
della regolazione del mercato del lavoro, é di condurre ad una segmentazione
artificiale della composizione di classe del lavoro cognitivo fondata sulla contrapposizione
di due settori e di due componenti della forza lavoro.
Secondo questa articolazione, in un primo settore, si
concentrerebbe una sorta di “elite” del lavoro intellettuale specializzata
nelle attività più redditizie dell’economia della conoscenza, in particolare
quelle orientate verso i servizi finanziari alle imprese, la ricerca applicate e
l’ottenimento di brevetti. Questa componente della forza lavoro vedrebbe la propria
remunerazione e le proprie competenze riconosciute. La remunerazione
integrerebbe sempre più una partecipazione ai dividendi del capitale
finanziario e costoro godrebbero delle forme di protezione di un sistema
integrativo di fondi di pensione e di un’assicurazione sanitaria privata.
In un secondo settore si concentrerebbe invece una
manodopera la cui qualifica non sarebbe riconosciuta. In tal modo questi
lavoratori subirebbero un massiccio fenomeno di “déclassement”, cioè una svalorizzazione delle condizioni di
remunerazione e di impiego rispetto alle competenze effettivamente utilizzate
nello svolgimento della propria attività lavorativa. Questa componente della
forza lavoro dovrebbe assicurare non solo le mansioni neotayloristiche dei settori
tradizionali e dei nuovi servizi standardizzati alla Mc Donald’s, ma anche e
soprattutto gli impieghi più precari della nuova divisione cognitiva del lavoro.
A prova di questo, il fatto che la formidabile diffusione del lavoro precario riguarda,
ancor più che il settore privato, il settore dell’insegnamento e della ricerca
pubblica.
In questo quadro, il CPE
(Contratto Primo Impiego) non é che l’ultimo tassello di una politica di progressiva
precarizzazione e deregolamentazione del mercato del lavoro che è andata, e
tuttora va, di pari passo con una riduzione delle garanzie legate al sistema di
Welfare.
Questa politica si é concretizzata innanzitutto in
una moltiplicazione di forme contrattuali precarie, in deroga allo statuto del
CDI (Contratto a Durata Indeterminata). A partire dagli anni ottanta le
differenti forme di contratto precario (contratto a durata determinata,
interim, d’apprendista, impieghi sussidiati, ecc,) si sono moltiplicate. Se il
CDI resta la norma per la maggioranza dei salariati, i contratti di lavoro
precario rappresentano oggi circa il 70% di nuovi posti di lavoro e circa il
14% degli occupati. Questa percentuale si avvicina al 20% se consideriamo come
lavoro precario anche i contratti a tempo parziale subiti anziché scelti. Inoltre
la precarietà del contratto di lavoro ed il fenomeno del “déclassement” si sono
in gran parte concentrati su una frazione della forza lavoro, costituita dalle
donne e dai giovani. Nel 2003 nel settore privato i lavoratori con un contratto
precario erano pari al 13% del totale, mentre per i giovani tra i 15 ed i 29
anni la percentuale era del 31%. Nel settore pubblico, la quota relativa ai
giovani era addirittura pari al 40%. La precarietà del contratto di lavoro va
inoltre di pari passo con delle crescenti disuguaglianze salariali tra
generazioni. Per esempio, nel 1975, i salariati di 50 anni guadagnavano in
media il 15% in più dei lavoratori con 30 anni di età. Oggi lo scarto é del
40%.
Per completare questo quadro sintetico della
situazione del giovane precariato cognitivo non bisogna infine dimenticare
quattro altri fattori di grande importanza.
i ) Ogni anno, in Francia, i giovani in formazione o
appena usciti dal sistema
universitario effettuano all’incirca 800.000 stage generalmente non pagati o, se retribuiti,
con remunerazioni irrisorie, allorché le attività svolte sono spesso le stesse
che potrebbe cpmpiere un dipendente impiegato con un normale contratto di
lavoro. La rivolta contro questa forma di autentico schiavismo del lavoro cognitivo
é stata recentemente all’origine della formazione spontanea, a partire di un semplice
blog, del movimento génération précaire
che usa forme di lotte e ricorre ad una simbologia simili a quelle degli invisibili in Italia.
ii ) Per finanziare i propri studi e per vivere, la
maggioranza degli studenti deve lavorare in modo saltuario e, nel 20% dei casi,
questa attività lavorativa corrisponde all’equivalente di un tempo parziale svolto
per tutto l’anno.
iii ) La costrizione al lavoro salariato é accentuata
dal fatto che i giovani che hanno un’età inferiore ai 25 anni sono esclusi dal
RMI (Reddito Minimo di Inserimento, pari a 433 € per una persona sola). Questa
misura discriminatoria trova la sua principale ragione nell’esigenza di assicurare
un abbondate serbatoio di manodopera precaria e intermittente ai settori
dell’economia dei servizi industrializzati (alla “Mc Donald’s”)
consumatori di una grande quantità di forza lavoro composta da
studenti-lavoratori.
iiii) Infine, l’entrata relativamente tardiva sul
mercato del lavoro e la discontinuità della carriera professionale dei giovani,
ritmata dall’alternanza di periodi di formazione, di lavori a tempo determinato,
di stage non pagati, rendono molto più difficile l’accesso alle garanzie del
sistema di protezione sociale, come ad esempio l’indennità di disoccupazione e compromettono
per la maggior parte dei giovani anche la possibilità di godere in futuro di
una pensione normale.
E in questo quadro che si sono
inserite le ultime misure prese dal governo, non solo con l’instaurazione del CPE,
ma anche con il suo fratello gemello: il CNE (Contratto Nuovo Impiego).
Contrariamente ad un’idea diffusa,
l’impatto sociale di queste riforme, non risiede solo nell’aggravare le
condizioni di precarietà dei giovani, ma costituisce il tentativo di compiere un
vero e proprio salto di qualità verso un sistema di precarizzazione generalizzata
e di deregolamentazione del diritto del lavoro
L’elemento comune al CPE ed al CNE
é infatti di smantellare il principio della giusta causa inserendo un periodo
di due anni di prova, durante il
quale il contratto di lavoro può essere rescisso in qualsiasi momento, sulla
base di una semplice lettera raccomandata, senza alcuna giustificazione e
possibilità di ricorso. Insomma, il licenziamento per un motivo illecito secondo
il diritto tradizionale del lavoro (discriminazione d’ogni tipo, partecipazione
ad uno sciopero, comportamento nella vita privata, rifiuto di effettuare delle
ore supplementari, ecc) é ormai legalizzato in quanto il datore di lavoro, per
un periodo di due anni, non ha l’obbligo di giustificare il licenziamento con
una “ragione reale e seria” ed, in ogni caso, non può essere perseguito
in tribunale dal salariato licenziato. Da questo punto di vista, le sole
differenze tra il CNE ed il CPE riguardano i settori e la forza lavoro a cui
possono essere applicati.
IL CNE, entrato in vigore il 2/08/05,
é applicabile potenzialmente a tutti i dipendenti, senza restrizioni di età,
delle imprese con meno di 20 addetti, che in Francia equivale attualmente a circa
4,5 milioni di persone, ovvero un quarto dei salariati del settore privato
Il campo di applicazione del CPE riguarda
invece i giovani con un età inferiore ai 26 anni nelle imprese con più di venti
addetti e concerne dunque potenzialmente 2,6 milioni di attivi. Esso prevede
inoltre, per un periodo di tre anni, un esonero totale dal versamento dei
contributi sociali per il datore di lavoro che impiega un giovane disoccupato
da più di sei mesi. Questa misura, estesa anche ai contratti in CNE e in CDI,
verrebbe così ad aggiungersi alla pletora di misure di sovvenzione all’impiego
che hanno già permesso alle imprese di beneficiare di esoneri dai contributi
sociali per un valore di 25 miliardi di €, senza aver d’altronde avuto
alcun effetto positivo provato sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sulla
diminuzione della disoccupazione. Si tratta di uno spreco di risorse tanto più impressionante
se si pensa, per esempio, che queste risorse permetterebbe di finanziare un
reddito garantito di circa 700€ al mese per circa tre milioni di persone.
Considerato questo contesto, é più
facile capire perché il movimento degli studenti e dei precari cognitivi contro
il CPE é stato il motore di un potente processo di ricomposizione sociale, al
tempo stesso territoriale e intergenerazionale.
Sul piano territoriale in quanto
il movimento contro il CPE, partito dalle Università, si é rapidamente diffuso
nei licei delle banlieux recuperando anche alcune delle forme di lotte metropolitane
che avevano caratterizzato l’autunno caldo delle banlieux. In questo modo, ha
anche sfatato una delle principali giustificazioni con cui il governo aveva
cercato di legittimare il CPE come una misura diretta a ridurre la disoccupazione
giovanile nei quartieri più sfavoriti delle banlieux in cui si troverebbe la
grande massa di forza lavoro senza qualifiche, esclusa, situata comunque ai
margini del nuovo capitalismo della conoscenza. D’altronde se questo argomento
fosse vero, non si capisce allora perché il CPE si rivolge all’insieme dei
giovani con un età inferiore ai 26 anni, e non a una componente specifica del proletariato
giovanile, uscita dal sistema scolastico senza diplomi e qualifica.
Sul piano intergenerazionale questo processo di
ricomposizione é in parte legato allo stretto legame tra le condizioni sociali
di vita dei genitori e dei giovani, per i quali, costretti in un orizzonte di precarietà
e d’incertezza permanente, è sempre più difficile, anche Francia, la costruzione
di un percorso autonomo al di fuori della famiglia. Come ottenere infatti un mutuo o poter semplicemente affittare
un alloggio, allorché, per definizione, un contratto di lavoro precario o un
CPE non offre alcuna garanzia di una continuità di reddito? Ma ancor più fondamentale,
é la presa di coscienza che lo stesso CDI protegge sempre meno dal
licenziamento, dalla riduzione del salario e dal peggiorare delle condizioni di
lavoro. Ne testimonia la moltiplicazione del numero di lavoratori poveri che
pur dispongono di un CDI a tempo pieno pagato al Salario Minimo ( lo SMIC di circa
mille euro netti) come il fatto che il salario mediano (per i lavoratori a
tempo pieno), quello che dovrebbe corrispondere ai famosi ceti medi, è
attualmente pari a 1420 €., mentre in una città come Parigi, per esempio, il
minimo vitale per un individuo è stimato pari a circa 1300€.
Tutti questi
fattori contribuiscono dunque a spiegare l’intensità di una crisi sociale la
cui posta in gioco va ben oltre l’esito dell’attuale braccio di ferro
sull’abrogazione del CPE. Quel che é certo é che l’uscita da questa crisi non
potrà comunque venire da un ipotetico ritorno a un modo di regolazione fordista
dell’impiego, come lo propone, pur con sfumature differenti, una gran parte
delle sinistra e dell’estrema sinistra istituzionale francese. Il nodo
principale che la lotta degli studenti e dei precari cognitivi pone all’ordine
del giorno, in Francia ed in Europa, é piuttosto quello dell’elaborazione di un
nuovo diritto del lavoro e di un sistema di protezione sociale capaci di conciliare
sicurezza del reddito e mobilità del lavoro e di favorire la mobilità scelta a
discapito della mobilità imposta legata alla precarietà.
In questo
quadro, diventa, secondo me, essenziale sviluppare la rivendicazione di un
reddito sociale garantito indipendente dall’impiego e di un montante tale da
permettere un effetiva libertà di scelta della forza lavoro. Tale reddito, dal
punto di vista di un’economia fondata sulla conoscenza, potrebbe essere
considerato al tempo stesso come un investimento colletivo nel sapere e un
reddito primario per gli individui. In opposizione al CPE, la sua instaurazione
potrebbe essere graduale e cominciare giustamente dalla proposta di un reddito
garantito, di un montante eguale a almeno la metà del salario mediano (710€)
per tutti i giovani tra i 18 e i 26 anni.