La dematerializzazione del capitale fisso e il trasferimento delle sue
funzioni produttive e organizzative nel corpo vivo della forza-lavoro è
all’origine di uno dei paradossi del nuovo capitalismo, ossia la contraddizione
tra l’aumento di importanza del lavoro cognitivo quale leva della produzione di
ricchezza e, contemporaneamente, la sua svalorizzazione in termini sia
salariali che occupazionali.
Emerge il carattere antropogenico della produzione capitalistica
contemporanea : un modello cioè di produzione dell’uomo attraverso l’uomo,
in cui la possibilità della crescita endogena e cumulativa è data soprattutto
dallo sviluppo del settore educativo (investimento nel capitale umano), del
settore della sanità (evoluzione demografica, biotecnologie) e di quello della
cultura (innovazione, comunicazione e creatività). E’ bene insistere su questa
trasposizione delle funzioni del capitale fisso macchinico nel corpo del
vivente
Nel nuovo capitalismo, nel modello antropogenetico emergente che lo
contraddistingue, il vivente contiene in sé entrambe le funzioni di capitale
fisso e di capitale variabile, cioè di materiale e strumenti di lavoro passato
e di lavoro vivo presente.
Il corpo della forza-lavoro, oltre a contenere la facoltà di lavoro, funge
anche da contenitore delle funzioni tipiche del capitale fisso, dei mezzi di
produzione in quanto sedimentazione di saperi codificati, conoscenze
storicamente acquisite, grammatiche produttive, esperienze, insomma lavoro
passato.
La formazione della forza-lavoro come investimento si pone quale questione
centrale per almeno due ragioni. In primo luogo, nel modello antropogenetico
del nuovo capitalismo, lavoro e formazione costituiscono un tutt’uno lungo
tutto il periodo della vita attiva. Non si tratta solo di un investimento una
tantum, coincidente con gli anni della formazione scolastica, ma di
investimento ricorrente negli anni della vita attiva che deve quindi prevedere
l’ammortamento, esattamente come quando si investe in una macchina per avviare
un processo di produzione prevedendo che, alla fine del suo utilizzo
ricorrente, andrà sostituita con una nuova macchina. In secondo luogo, se si
parla della formazione come investimento è anche per evidenziare il fatto che,
dal punto di vista della contabilità nazionale, la formazione è a tutt’oggi una
spesa di gestione corrente, un’uscita che dipende dall’andamento annuale del
reddito fiscale, a sua volta fortemente condizionato dall’ammortamento degli
investimenti. Si crea in tal modo uno squilibrio tra politiche d’investimento
ereditate dal fordismo, in cui le spese in infrastrutture (nell’hardware
pubblico) giocavano un ruolo strategico di primaria importanza, e politiche di
spesa per la formazione. La privatizzazione dei cicli formativi sono il
tentativo di risolvere questo squilibrio, benché il loro effetto sia solo
quello di aggravare l’altro squilibrio, altrettanto fondamentale, quello tra la
natura sociale del capitale umano e l’esclusione di una parte crescente di
forza-lavoro dai processi di formazione continua.
La finanziarizzazione maschera l’esistenza di un eccesso, uno scarto tra
"sistema di valori", di sentimenti, pensieri ed esperienze
sedimentati nel corpo della forza-lavoro, e uso capitalistico delle capacità
lavorative. Questo "di più", questo eccesso, è il capitale fisso
umano.
Il lavoro vivo riproduttivo della forza-lavoro permette di ridurre il costo
della forza-lavoro per il capitale e, quindi, di aumentare il plusvalore. Si
potrebbe sostenere che la quantità di lavoro vivo riproduttivo è quello che
permette di ammortizzare il capitale fisso perché, riproducendo il valore d’uso
della forza-lavoro, riproduce nel medesimo tempo la sua capacità di consumare
il capitale. Come dire che il lavoro vivo delle donne è quel lavoro vivo che
gli uomini non possono aggiungere lungo tutto il processo lavorativo per
ammortizzare il capitale fisso.
Si pone qui il problema del reddito di cittadinanza intorno al quale da
molti anni stanno ragionando i movimenti, soprattutto quelli che esprimono la
nuova realtà del precariato e del precariato cognitivo. L’idea del reddito di
cittadinanza deve essere fondata su una analisi degli effetti della trasformazione
reticolare dei processi di lavoro. Il problema del reddito va collegato al
problema di un riconoscimento di una integrazione del vivente come
bio-macchinario.
Keynesianamente si può inoltre sostenere che, senza un riconoscimento in
termini di reddito monetario, il lavoro riproduttivo femminile, se da una parte
aumenta i profitti in termini di valore, dall’altra accresce il rischio di
crisi nella misura in cui la domanda effettiva risulta ancora più insufficiente
per acquistare la totalità dei beni prodotti.
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