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Note verso una definizione del concetto di bio-reddito

 

by Christian Marazzi

La dematerializzazione del capitale fisso e il trasferimento delle sue funzioni produttive e organizzative nel corpo vivo della forza-lavoro è all’origine di uno dei paradossi del nuovo capitalismo, ossia la contraddizione tra l’aumento di importanza del lavoro cognitivo quale leva della produzione di ricchezza e, contemporaneamente, la sua svalorizzazione in termini sia salariali che occupazionali.

Emerge il carattere antropogenico della produzione capitalistica contemporanea : un modello cioè di produzione dell’uomo attraverso l’uomo, in cui la possibilità della crescita endogena e cumulativa è data soprattutto dallo sviluppo del settore educativo (investimento nel capitale umano), del settore della sanità (evoluzione demografica, biotecnologie) e di quello della cultura (innovazione, comunicazione e creatività). E’ bene insistere su questa trasposizione delle funzioni del capitale fisso macchinico nel corpo del vivente

Nel nuovo capitalismo, nel modello antropogenetico emergente che lo contraddistingue, il vivente contiene in sé entrambe le funzioni di capitale fisso e di capitale variabile, cioè di materiale e strumenti di lavoro passato e di lavoro vivo presente.

Il corpo della forza-lavoro, oltre a contenere la facoltà di lavoro, funge anche da contenitore delle funzioni tipiche del capitale fisso, dei mezzi di produzione in quanto sedimentazione di saperi codificati, conoscenze storicamente acquisite, grammatiche produttive, esperienze, insomma lavoro passato.

La formazione della forza-lavoro come investimento si pone quale questione centrale per almeno due ragioni. In primo luogo, nel modello antropogenetico del nuovo capitalismo, lavoro e formazione costituiscono un tutt’uno lungo tutto il periodo della vita attiva. Non si tratta solo di un investimento una tantum, coincidente con gli anni della formazione scolastica, ma di investimento ricorrente negli anni della vita attiva che deve quindi prevedere l’ammortamento, esattamente come quando si investe in una macchina per avviare un processo di produzione prevedendo che, alla fine del suo utilizzo ricorrente, andrà sostituita con una nuova macchina. In secondo luogo, se si parla della formazione come investimento è anche per evidenziare il fatto che, dal punto di vista della contabilità nazionale, la formazione è a tutt’oggi una spesa di gestione corrente, un’uscita che dipende dall’andamento annuale del reddito fiscale, a sua volta fortemente condizionato dall’ammortamento degli investimenti. Si crea in tal modo uno squilibrio tra politiche d’investimento ereditate dal fordismo, in cui le spese in infrastrutture (nell’hardware pubblico) giocavano un ruolo strategico di primaria importanza, e politiche di spesa per la formazione. La privatizzazione dei cicli formativi sono il tentativo di risolvere questo squilibrio, benché il loro effetto sia solo quello di aggravare l’altro squilibrio, altrettanto fondamentale, quello tra la natura sociale del capitale umano e l’esclusione di una parte crescente di forza-lavoro dai processi di formazione continua.

La finanziarizzazione maschera l’esistenza di un eccesso, uno scarto tra "sistema di valori", di sentimenti, pensieri ed esperienze sedimentati nel corpo della forza-lavoro, e uso capitalistico delle capacità lavorative. Questo "di più", questo eccesso, è il capitale fisso umano.

Il lavoro vivo riproduttivo della forza-lavoro permette di ridurre il costo della forza-lavoro per il capitale e, quindi, di aumentare il plusvalore. Si potrebbe sostenere che la quantità di lavoro vivo riproduttivo è quello che permette di ammortizzare il capitale fisso perché, riproducendo il valore d’uso della forza-lavoro, riproduce nel medesimo tempo la sua capacità di consumare il capitale. Come dire che il lavoro vivo delle donne è quel lavoro vivo che gli uomini non possono aggiungere lungo tutto il processo lavorativo per ammortizzare il capitale fisso.

Si pone qui il problema del reddito di cittadinanza intorno al quale da molti anni stanno ragionando i movimenti, soprattutto quelli che esprimono la nuova realtà del precariato e del precariato cognitivo. L’idea del reddito di cittadinanza deve essere fondata su una analisi degli effetti della trasformazione reticolare dei processi di lavoro. Il problema del reddito va collegato al problema di un riconoscimento di una integrazione del vivente come bio-macchinario.

Keynesianamente si può inoltre sostenere che, senza un riconoscimento in termini di reddito monetario, il lavoro riproduttivo femminile, se da una parte aumenta i profitti in termini di valore, dall’altra accresce il rischio di crisi nella misura in cui la domanda effettiva risulta ancora più insufficiente per acquistare la totalità dei beni prodotti.



 

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