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Miles Davis



Miles Davis - The Complete Jack Johnson

William Clayton - chi era costui? Non trovo il suo nome sui dizionari dei film, anche se so che girò un pregevole documentario sportivo sulla vita e i tempi di Jack Johnson, il grande pugile dei primi anni del Novecento, il padre di tutti gli Ali e Mike Tyson, primo uomo nero a fregiarsi del titolo di campione del mondo dei pesi massimi. Quel film è passato anche alla storia della musica moderna; perché a curarne la colonna sonora venne chiamato Miles Davis, che da giovane era stato un discreto pugile e venerava Johnson, le sue imprese ma anche il profondo orgoglio nero e la vita sfrontata e lussuosa, tra l'America e Parigi. Quell'album, per quanto bello, è un pulcino nero nella discografia di Miles, un lavoro da subito trascurato che con gli anni è finito proprio ai margini. Ora il destino gli offre una favolosa occasione di riscatto; perché, nella sua opera di sistemazione dell'archivio Davisiano, la Columbia Legacy ha appena pubblicato un Complete Jack Johnson che espande quei cinquanta scarni minuti in uno straordinario box quintuplo con oltre cinque ore di musica. Il «bombardiere» Johnson, va detto, è solo una scusa. In realtà il box va più in là di quel progetto e finisce per ricostruisce la storia in studio di Davis nei primi sei mesi del 1970, annus mirabilis, Miles ha appena pubblicato In A Silent Way e Bitches Brew e le sue «new directions in music», le sue formule di jazz elettrico ai confini con il rock fanno scalpore. Dice: «Il jazz è oggi più vicino alla musica classica di quanto non sia alla musica popolare; e io preferirei il contrario». All'inizio del 1970 è spesso in studio, una o due volte al mese, proprio per verificare quell'ipotesi. Non sono sedute tipiche, non si arriva in sala con carta di musica o anche solo le idee chiare. È piuttosto un grande laboratorio aperto dove i progetti nascono sul momento, a seconda degli umori e delle occasioni. Miles lavora con un nucleo-base di musicisti (Chick Corea, Dave Holland, Jack DeJohnette, Airto Moreira e Wayne Shorter, che a marzo lascia il posto a Steve Grossman), che però può cambiare e a cui si aggiungono di volta in volta altri ospiti. Il produttore Teo Macero è in cabina di regia e i tecnici hanno l'ordine di lasciar andare i nastri tutte le volte che i musicisti suonano, senza vincoli di takes. Billy Cobham, uno degli ospiti di quel laboratorio, ha un colorito ricordo di quelle sessions. «Una volta arrivò Herbie Hancock con la borsa della spesa. Era venuto lì giusto a salutare Miles e a dargli una copia del suo nuovo album per la Warner, che era Fat Albert Rotunda. Miles lo vide e gli indicò un organo Farfisa in un angolo della sala. Gli disse: ‘Suona!'. Herbie non poteva fermarsi ma Miles insisté: ‘Suona!'. Herbie provò a fare resistenza ma Miles fu irremovibile: ‘SUONA!'. Così Hancock dovette sedersi al Farfisa, ed era la prima volta che lo vedeva; non aveva la minima idea di come suonarlo. Armeggiò per un po', si fece aiutare dal tecnico Stanley Tonkel e alla fine cavò un lungo accordo dissonante: ‘Waaah!'. Da lì partì con un assolo di qualche minuto. Ecco, si lavorava così». La seduta che ricorda Cobham è quella del 7 aprile 1970, quando prende forma buona parte di quello che, dopo un ingegnoso montaggio, sarà appunto Jack Johnson. In sala, oltre a Hancock e Cobham, ci sono Miles, Steve Grossman, John McLaughlin e il nuovo bassista Mike Henderson, un diciannovenne considerato un prodigio nell'ambiente della black per i suoi lavori con Aretha e Stevie Wonder. Henderson passa alla storia perché quel pomeriggio stesso coglie, con rapidità e destrezza, un suggerimento di McLaughlin e con lui inventa uno dei più contagiosi temi della moderna storia jazz. McLaughlin: «Miles arrivava spesso in studio con degli accordi appuntati su un sacchetto, di quelli che ti danno al bar per metterci dentro la tazza di caffè o il bicchiere di spremuta. Quella volta non aveva neanche il sacchetto. Andò in cabina e si fermò a parlare con Macero. Dopo un quarto d'ora, ci stavamo annoiando. Allora accennai una frase blues che avevo elaborato con i Lifetime; un boogie in Mi, con divertenti accordi duri, taglienti. Con i Lifetime l'avevo lasciata a mezz'aria, poi sarebbe diventata The Noonward Race sul primo album Mahavishnu. Mi misi a suonarla in forma di shuffle e Michael mi venne dietro al volo, e presto si unì anche Billy, creammo in fretta un profondo solco ritmico. E a quel punto, si accese la luce verde dello studio ed ecco Miles con la sua tromba. Suonò da dio; uno degli assoli più ispirati che io abbia mai ascoltato in vita». Right Off, andò a chiamarsi quel pezzo, con il numero 10 di archivio. Il nuovo box lo riporta nella sua forma originale, assieme ad altri tre nastri della medesima seduta; in uno (il numero 12) si coglie una precisa citazione di una tema di Sly Stone (Sing A Simple Song, la facciata B di Everyday People), che Miles avrebbe ripreso altre volte in carriera. Davis in quei giorni era molto attento alla musica che girava intorno, aveva orecchie sensibili e voglia di cambiare. Amava il nuovo R&B che cominciava a chiamarsi funk, amava Hendrix e la sua psichedelia venata di nero profondo, così tanto da dichiarare: «Ho deciso di usare il wah wah con il mio strumento per avvicinarmi al suono di Jimi. Voglio che la mia tromba suoni come la sua chitarra». In un altro tema del cofanetto (Ali, i nomi sono spesso quelli di pugili famosi) si ascolta un riff di basso preso da una canzone della Band Of Gypsys, Who Knows. Il batterista di quella formazione era Buddy Miles e Davis non nascose mai di aver pensato a lui varie volte per la sua musica di quel periodo. «Andavamo in giro insieme sulla sua Lamborghini - ricorda Jack DeJohnette - e metteva sempre su dischi di Buddy. A un certo punto mangiai la foglia. ‘Okay, ho capito. Tu vuoi un groove come quello di Buddy con la mia tecnica, è così?' Gli si spalancò un sorriso enorme. Mi rispose: ‘Sì!'». Sulle prime Davis aveva pensato di decorare Jack Johnson con In A Silent Way, ma Zawinul non fu d'accordo a spartire i diritti di quella sua composizione e si fece altrimenti. Macero pescò nel grande archivio di queste sedute e si inventò due di quei cut-and-paste per cui si è guadagnato con merito il Regno dei Cieli. I due montaggi chiudono il box così come vennero concepiti trentadue anni fa, uno per facciata (l'album uscì all'inizio del 1971). Right Off usa come base la session del 7 aprile con un intermezzo di Miles da un nastro del novembre 1969. Yesternow mescola invece un pezzo di Shhh/ Peaceful con frammenti sempre del novembre 1969 sulla base di una free session del febbraio 1970. Non c'è Cobham ma DeJohnette, e il chitarrista è Sonny Sharrock; un grande reietto della musica black che purtroppo solcherà solo quella volta i cieli Davisiani, anche se la sua chitarra cruda scura lacerante, non-Jim Hall e non-Kenny Burrell, aveva tutte le caratteristiche che Miles richiedeva in quei giorni ai suoi stringmen. Per quanto belli e importanti siano questi nastri (ma anche logorroici, acerbi dispersivi, sia ben chiaro, vista la loro natura e la «germinazione spontanea»), all'epoca non se ne fece granché. Jack Johnson fu l'unico disco organico a venir pubblicato, e senza fortuna; subì la feroce concorrenza di Live At Fillmore, uscito a distanza di pochissimo con curiosa scelta commerciale, e come si diceva fu dimenticato in fretta. Il resto del materiale venne affossato negli archivi o disperso. Un piccolo capolavoro come Go Ahead John, con uno straordinario McLaughlin distorto & mutante, apparve in un angolo del doppio Big Fun; un frammento di Honky Tonk finì incastrato in Get Up With It; Little Church in Live-Evil; e tre takes di Willie Nelson, Duran e Konda, vennero ripescate nel 1980 nella raccolta di Directions. Oggi, tanti anni dopo, ecco la collezione completa, per i dovuti raffronti e studi e considerazioni. Non è solo un cervellotico archivio, è un pezzo di storia. Con la seduta del 7 giugno 1970, e le due takes di Little Church che ne vengono, si chiude uno dei periodi più intensi e influenti non solo di Miles ma della intera storia jazz. Tutto era cominciato nel settembre 1968, con la dissoluzione dello storico quintetto degli anni Sessanta e l'avvento di Chick Corea, Dave Holland, poi Joe Zawinul e DeJohnette. Dopo due anni di furioso impeto creativo, Miles si prende una pausa. Tornerà in studio solo nel giugno 1972, con una formazione completamente diversa e altre idee per un'altra stagione - perché non era solo una frase a effetto di Bob Dylan ma davvero in quei giorni, e non una volta sola, «the times they were a-changin'».

(riccardo bertoncelli)

Miles Davis - The Complete Jack Johnson (Columbia Legacy, 5cd)****

 
 
 


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