Storia dell'aeroporto di Ghedi

Storia dell'aeroporto di Ghedi

L'inizio dell'attività aeronautica in Ghedi si ebbe nel 1909 allorché nella brughiera al confine con Montichiari fu organizzata una manifestazione aeronautica di rilevanza internazionale a cui parteciparono aviatori come Wright, Calderara, Cobianchi, Cagno, Rougier, Curtiss, Moucher, Lebland, Anzani e Blériot, che vinse il “Gran Premio Brescia” percorrendo 50 Km. di volo in 49.24” con apparecchio biplano, mentre Curtiss vinse la gara in altezza raggiungendo i 92 metri. Fra gli spettatori si annoverano la principessa Letizia Savoia Bonaparte, Franz Kafka, che fu corrispondente di un giornale straniero, e Gabriele d’Annunzio, che volò come passeggero sull’aereo di Wright e che più tardi avrebbe fatto dell’aviazione una delle sue più grandi passioni (famosissimo è rimasto il suo “Volo su Vienna”).
D'Annunzio sull'aereo di Wright Con lo scoppio della Grande Guerra, l’aeroporto di Ghedi divenne un’importante base di difesa aerea contro gli aerei austriaci che, partendo dalle loro basi in Trentino, attaccarono a più riprese Brescia e i centri della provincia (accadde per la prima volta il 25 agosto 1915 quando un aereo austriaco sganciò quattro bombe sullo stabilimento Tempini di Brescia uccidendo quattro operai). Ghedi, insieme a Ganfardine (Verona) servì anche da trampolino di lancio per i ricognitori SVA e Pomilio destinati a penetrare in territorio ostile e fotografare le principali installazioni nemiche (trincee, aeroporti, stazioni ferroviarie). In particolare, il 21 maggio 1918, due SVA al comando dei Ten. Francesco Ferrarin e Antonio Locatelli (87^ Squadriglia) compirono un raid bellico di oltre 780 chilometri sorvolando le Alpi e la Valle del Reno, il Lago di Costanza e le città di Bregenz e di Lindau giungendo sino a Friedrichshafen, importante centro aeronautico nemico, per una ricognizione sugli stabilimenti Zeppelin.

Dopo il periodo di relativa tranquillità del primo dopoguerra (nonostante l’impiego delle FF.AA. in Etiopia e Spagna) si giunse al secondo conflitto mondiale, in cui il campo d’aviazione di Ghedi fu sede della Scuola di Pilotaggio di 2° periodo per il bombardamento, equipaggiata con bombardieri BR.20 e CANT Z.1007, fino a quando, per l’invasione del territorio nazionale da parte degli Angloamericani, si trovò ancora una volta ad ospitare reparti da caccia con compiti di difesa aerea nei cieli della Valle Padana, con i colori dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana.

www.infoghedi.com E fu proprio con l’Aeronautica Repubblicana che l’aerobase di Ghedi conobbe momenti di incessante attività. Infatti, subito dopo l'Armistizio vi transitarono varie squadriglie da caccia, equipaggiate con aeroplani Fiat G.55 recuperati su vari aeroporti in mano tedesca o prodotti ex-novo (più tardi affiancati dai Macchi 205 Veltro). Nei primi mesi del 1944 l’aeroporto fu sottoposto ad una completa ristrutturazione da parte dell’ Organizzazione Todt: furono costruiti 65 chilometri di piste, raccordi, piazzole, paraschegge, officine e bunker. Le due piste di Ghedi e Montichiari, ciascuna lunga 1950 metri e larga 60, furono collegate tra loro da quello che ancor oggi è conosciuto come “raccordo tedesco”, costituito da lastroni in calcestruzzo non armato. Inoltre furono aggiunte diverse mitragliere e postazioni antiaeree per migliorare la difesa dell’aeroporto. Nello stesso periodo nacquero voci sull'impiego dei nuovi velivoli a reazione tedeschi proprio a Ghedi, e addirittura una struttura in cemento armato dell'area aeroportuale relativa a "Ghedi II", veniva indicata come base di lancio per le V-1. Tale ultima voce giunse alle orecchie degli stessi tedeschi che, incuriositi, ordinarono un sorvolo di un proprio apparecchio sul campo per verificare cosa si potesse rilevare tale da dar adito a simili ipotesi... si scoprì che si trattava di un effetto ottico che venne lasciato inalterato per creare ulteriore confusione (come risulta dal diario del comando del campo conservato presso il Bundesarchiv di Friburgo).
Nel contempo giunsero a Ghedi reparti della Luftwaffe, come la 1° Squadriglia dello Stabgruppe I, dotata di Junker 88, o il Nachtschlachtgruppe 9 (Gruppo da combattimento notturno 9) dotato di Junkers 87D. E' invece pura invenzione l'utilizzo della base da parte dei bireattori Me 262.
La dislocazione, nell’estate del 1944 del Comando Caccia ANR a Custoza (Verona), e il termine dell’offensiva estiva alleata, spinsero il comando tedesco della 2° Luftflotte a trasferire a Ghedi due squadriglie di Bf109 tedeschi, dove rimasero da giugno a settembre, per poi essere ritirati a causa dell’impellente necessità di difendere la madrepatria.
E fu così che i piloti italiani furono lasciati soli ad affrontare le incursioni nemiche, combattendo ad armi pari, ma in schiacciante inferiorità numerica (1 a 10 nel migliore dei casi) contro l’aviazione alleata.
Nel giugno ’44, a causa del logoramento delle macchine di produzione nazionale e dei gravi danni subiti dalle fabbriche, fu assegnata alle squadriglie una cinquantina di caccia Messerschmitt Bf109G di fabbricazione germanica, mentre i G.55 venivano ceduti al 1° Gruppo Caccia a quel tempo basato a Reggio Emilia. Il 2 Luglio il reparto si trasferì in volo a Villafranca.
Il loro battesimo del fuoco era arrivato pochi giorni prima, il 24 giugno, quando si scontrarono nell'entroterra ligure con P47 francesi del Groupe de Chasse II/5 "LAFAYETTE". Fu rivendicato dai cacciatori italiani l'abbattimento di due P47, ma i francesi non subirono in effetti nessuna perdita. Il 26 Luglio 1944 11 Bf109 del 2° Gruppo affrontarono 12 P47 dell'86th FS, 79th FG USAAF, che attaccavano un ponte a Nord-Ovest di Brescia. Nonostante gli abbattimenti dichiarati da entrambe le parti (tre i nostri, ben sei gli americani!), solo un velivolo venne abbattuto, il Bf109 del Serg.Magg. Rolando Ancillotti, che si lanciò con il paracadute. Il comando del Gruppo (forte di 80 piloti e 522 ufficiali e sottufficiali) elesse a propria sede Villa Portalupi a Valeggio Sul Mincio (Verona).
La rinumerazione delle squadriglie 2° Gruppo Caccia ebbe luogo nel febbraio 1945, al momento cioè del rientro dalla Germania del 1° Gruppo che aveva sostenuto l'addestramento ed il riequipaggiamento con il Bf109: la 1^ divenne 4^; la 2^ divenne la 5^ dei “Diavoli Rossi” e la 3^ divenne 6^ “Gamba di Ferro”. Queste furono dislocate a Villafranca (5^ e 6^) e a Ghedi (4^). Il comandante del Gruppo fu inizialmente il Ten. Col. Aldo Alessandrini, sostituito nel gennaio ’45 dal Magg. Carlo Miani. Comandante della 5^ Squadriglia fu il Cap. Mario Bellagambi, asso con 12 abbattimenti al suo attivo, l’ultimo dei quali fu uno Spitfire abbattuto nei pressi di Isola della Scala (Verona) verso la fine della guerra.Altro importante asso della caccia italiana fu Luigi Gorrini, che con l’ANR conseguì quattro vittorie aeree portando il proprio totale a 22. Egli è tuttora l'unico portatore di MOVM vivente.
Il Cap. Bellagambi [foto di K. Arnold] Dalle basi di Villafranca e Ghedi i caccia italiani decollavano quotidianamente (e spesso più di una volta al giorno) per affrontare le orde di aerei nemici, per poi atterrare e sparire sotto i rifugi, protetti e mimetizzati sotto gli alberi. Ricevevano il carburante da autobotti giunte all’aeroporto di notte, a fari schermati, per poter tornare a volare il giorno dopo. Certamente l’importanza della base non sfuggì ai comandi alleati che vi condussero più di trenta attacchi. I danni furono comunque contenuti grazie ad alcuni accorgimenti al limite del ridicolo ma molto efficaci. Gli aeroplani erano parcheggiati sotto gli alberi nella zona di decentramento, e mimetizzati con reti mimetiche e frasche, o posti negli angoli di aviorimesse già semidistrutte, rimanendo al sicuro da nuovi attacchi. Vicino alle piste e ai raccordi erano sistemate delle sagome di legno e cartone. Gruppi di avieri si nascondevano nei bunker vicini, e quando gli aerei civetta erano colpiti, appiccavano il fuoco a bidoni pieni di stracci per simulare il loro incendio.
Il Comando Caccia dell'ANR era a Villa Portalupi, presso Valeggio sul Mincio, mentre il “cervello” della difesa aerea era a Custoza, a Villa Pignatti. Il sistema era costituito da una rete di avvistamento dei bombardieri angloamericani dotata di radar ed aerofoni, batterie contraeree di vario tipo e vari reparti da caccia, tra cui quelli elencati.
Gli “occhi elettronici” dei piloti italiani erano i radar Freya e Würzburg, i primi aventi una portata di 130 Km ed i secondi di 50 Km, tutti collegati con i comandi dell’artiglieria contraerea. Il loro uso equivaleva all’adozione di una “scientificità” organizzativa già allora consueta in Germania ma praticamente sconosciuta ai nostri aviatori, che si affidavano ancora alla “caccia libera” fatta di lunghe e faticose crociere, in cui persino l’utilizzo della radio di bordo era una rara eventualità. Fu adottato anche uno speciale codice per il frasario convenzionale: il nominativo dei caccia nemici era “rondini”, quello dei bombardieri “aquile”. “Primula” era quello della 5^ Squadriglia e “Petunia”, seguito dal numero, quello dei “Diavoli Rossi”.
Nonostante la sproporzione di forze, i reparti dell’ANR non tardarono a destare serie preoccupazioni all’aviazione alleata. Il ritiro della Luftwaffe dal territorio italiano fece pensare agli Alleati che i cacciatori italiani non fossero più in grado di opporre resistenza. In un tranquillizzante rapporto ufficiale dell’USAAF, si sottolineava che l’impossibilità per il nemico di rimpiazzare gli aerei perduti e l’assenza di sufficienti equipaggiamenti e rifornimenti escludevano ogni eventuale azione offensiva contro le formazioni di bombardieri alleati, nella loro attività sopra l’intera valle del Po.
Dopo il riequipaggiamento del 2 ottobre, verso la metà del mese si ebbero i primi scontri, descritti dai servizi di informazione alleati come attacchi condotti da piccole formazioni isolate e non eccessivamente aggressive. Già il mese successivo, però, i rapporti cambiarono tono e definirono le forze di intercettazione italiane come grosse ed agguerrite formazioni di 15-20 velivoli, e nonostante l’adozione di consistenti misure di protezione, il rateo delle perdite anglo-americane non accennò a diminuire. All’intensificazione dell’offensiva aerea alleata i piloti italiani risposero con 114 vittorie aeree confermate contro 42 piloti perduti. Alla fine della guerra il campo di Ghedi era in condizioni piuttosto precarie, a causa degli attacchi aerei e dei tedeschi in ritirata che vi avevano fatto brillare alcune mine, si contavano 10 crateri del diametro di 8 metri ed altri 25 già precedentemente riempiti. Il campo fu occupato il 29 aprile 1945 dalla V Armata americana e riattivato soltanto nel 1951, quando divenne sede del 6° Stormo dell’Aeronautica Militare, dapprima equipaggiato con i P51 Mustang, poi con i nuovissimi jet inglesi “Vampire” che prestarono servizio fino al 1952.
P51 sull'aeroporto di Ghedi [www.aeronautica.difesa.it]
Dal 1952 al ’62 l’aeroporto ospitò gli F84, nelle versioni G ed F, sostituiti poi dagli F104 (conosciuti anche come “bare volanti”).







Luigi Gorrini dopo la guerra, vicino a un F84F [Foto di Ken Arnold] CLICCA PER ALLARGARE F84G















Nell’82 arrivarono i Tornado che sono anche stati gli unici aerei ad essere impiegati in azioni belliche dalla fine del II conflitto mondiale. Infatti otto di essi partirono da Ghedi diretti nel Golfo Persico per partecipare all’operazione “Tempesta nel Deserto”. Durante la prima missione, sette aerei furono costretti a rientrare per esaurimento del carburante e l’aereo con a bordo il Cap. Maurizio Cocciolone ed il Magg. Gianmarco Bellini fu abbattuto. Cocciolone fu catturato e torturato: l’immagine del suo volto coperto di ecchimosi fu trasmessa dalla TV irachena fece il giro del mondo. Bellini, dato per disperso, fu rintracciato solo alla fine della guerra. Questi ha continuato il proprio servizio nell’Arma Azzurra ed ha sostituito il Col. Nordio alla guida dell’aeroporto a partire dalla metà di settembre 2001. Tra l'altro, il 9 Settembre 1995 due Tornado partirono da Ghedi per colpire postazioni militari Serbe che stavano bombardando Sarajevo. Uno era pilotato dal Ten. Col. Mario Bellini (coadiuvato dal Magg. Stefano Micheli, veterano della Guerra del Golfo); l'equipaggio del secondo aereo era formato dal Ten. Alessandro Soldati e dal Cap. Alessio Rossi (veterano della Guerra del Golfo). Non ho molte notizie sulla partecipazione alla Campagna di Serbia del 1999 di reparti NATO basati a Ghedi. Lo stesso vale per la presenza di bombe nucleari all’interno della base che sembra certa, come riportato dal Corriere della Sera del 26 maggio 2002 a cui ha fatto eco Sandro Curzi in un'intervista al TG3 nella tarda sera del 28 maggio. I vertici della base tendono comunque a rassicurare la popolazione civile dato che gli ordigni sono sotto stretta sorveglianza.
Clicca qui per scaricare l'articolo del Corriere.

9-9-95: i due aerei sulla pista di rullaggio [Foto di G. Scaglione, ex 'Diavolo Rosso']





















Fonti

Per il periodo antecedente alla I GM: Ugo Vaglia, Memorie illustri bresciane Brescia 1958, ed. Libreria Baronio e Resola
Per la I GM: A. Fappani, La guerra sull’uscio di casa – Brescia e i Bresciani nella prima Guerra Mondiale Brescia 1969; D'Annunzio poeta aviatore edito dalla Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani", Gardone Riviera Per la II GM: Flavio Mucia, Il volo degli Stukas nel cielo di Ghedi, articolo pubblicato dal Giornale di Brescia il 25 maggio 2000; Flavio Mucia, ”Fantasmi” nel cielo contro gli aerei alleati, articolo pubblicato dal Giornale di Brescia il giorno seguente. Aggiunte e correzioni gentilmente consigliate da Ferdinando D'Amico.

Altri articoli di interesse storico


TORNA ALL' INDICE


Hosted by www.Geocities.ws

1 1