La discesa e ... la risalita!
La cronaca di una di queste "imprese" può essere così descritta.
E' il 7 agosto di una giornata che si prevede caldissima; sono le ore 8.30,
l'appuntamento con Berardino Bocchino (responsabile per la Campania del
Soccorso Alpino di Napoli) è a quota 1000; si scarica dalle auto
l'attrezzatura scientifica e quella per la discesa; ci accorgiamo che si
tratta di una mole di materiale enorme da trasportare a spalla per sole
due persone. Da parte mia volano già le prime imprecazioni sulla
chiusura della seggiovia e sulla mancata ricostruzione della funicolare
(forse si tratta solo di uno sfogo pensando all'immane lavoro che ci aspetta).
Ore 9.00, fortunatamente ci vengono in aiuto le guide vesuviane che con
un trattorino caricano in un equilibrio precario sia le attrezzature che
noi, poveri sventurati. Benedetti mezzi meccanici un po' inquinanti per
la verità ma, pur di evitarci una inutile fatica che ci avrebbe
sfiancato ancora prima di iniziare, i gas di scarico ci sembravano costituiti
da aria pura. In un batter d'occhio siamo sul bordo del cratere. Berardino
inizia ad assicurare al bordo la scaletta e le corde per la discesa; un
lavoro certosino che viene fatto con la massima attenzione e cautela per
non rischiare inutilmente la vita. Ore 9.30, iniziano i preparativi per
la discesa : ci mettiamo gli imbrachi, controlliamo i discensori ed il
materiale da portare per la risalita e verso le ore 10.00 siamo pronti.
Inizia la discesa, si tratta di superare un balzo verticale di circa 20
metri in cui la nostra vita è letteralmente appesa ad una "corda".
Una volta giunti alla base della parete del versante nord inizia la discesa
vera e propria per la conoide di materiale detritico. Dall'alto la pendenza
non sembra così notevole come lo è realmente, ma poi caricati
gli zaini in spalla si scende velocemente "in frana" lungo la conoide ed
in poco più di mezz'ora siamo sul fondo del cratere, a circa 300
m più in basso. Lungo la discesa si incontrano alcune scorie ricoperte
di una patina iridescente di siderazoto (tale minerale è noto anche
con il nome di silvestrite) e scorie sbriluccicanti di microcristalli lamellari
di ematite. Arrivati sul fondo inizia il mio lavoro che ci terrà
occupati per non so quante ore. Dal fondo lo spettacolo è impressionante;
gruppi di turisti ci guardano dall'alto e probabilmente scuoteranno il
capo nel senso di dire quelli laggiù (noi) sono pazzi. Di tanto
in tanto qualche sasso si stacca dalle pareti. Alcuni grossi massi franati,
in passato, dalla parete dei prodotti dell'eruzione del 1906 sono ricoperti
da incrostazioni, più o meno spesse, di colore verde di atacamite.
Ci guardiamo intorno, lo spettacolo è notevole, soprattutto quello
della parete perfettamente verticale del settore orientale, guardiamo attentamente
anche il percorso che abbiamo fatto per scendere, e giù ci terrorizza
l'idea della risalita. Mentre siamo su una parete, resa scivolosa dall'attacco
che i gas fumarolici provocano sul materiale roccioso trasformandolo in
alunite, avvertiamo un boato; non abbiamo neanche il tempo di capire cosa
stia accadendo, che dalla parete orientale "parte" una grossa frana i cui
materiali vanno ad alimentare la grande conoide sottostante. Tutto si svolge
in un attimo, fortunatamente noi eravamo sul versante opposto; sotto di
noi una scarpata di circa 30 metri di altezza. Saprò dopo che alle
ore 10.48 i sismografi del Centro di Sorveglianza dell'Osservatorio Vesuviano
hanno registrato una scossa di Magnitudo 2.5 (tale attività rientra
nella normale vita del vulcano). Subito dopo per sdrammatizzare abbiamo
ripensato ai cartoni animati di Hanna & Barbera, dove Willy Coyote
dopo aver beccato il solito masso sulla testa, cammina con il caschetto
da cui spuntano le due grosse zampe; anche noi avevamo il caschetto, ma
con massi grossi quanto un bue non c'è protezione che tenga. Fra
me ripeto come al solito che: "chi vuole fare un lavoro rischioso deve
sempre, in ogni situazione, pensare di essere immortale". Si continua il
lavoro vengono misurate le temperature delle aree fumarolizzate, prelevati
campioni di gas e di minerali. Dopo alcune ore ci prendiamo un po' di riposo,
andiamo sotto lo spettacolare abete di oltre tre metri che chissà
come è arrivato lì (miracolo della natura). Riprendiamo il
lavoro; alla fine sono circa le ore 18.00. Iniziamo a risalire lentamente;
il materiale scoriaceo ci impedisce di farlo con facilità, infatti
ad un passo in avanti corrispondono a due passi indietro. Dopo poco più
di un ora siamo alla base della parete verticale; ci rimettiamo gli imbrachi
e gli attrezzi per la risalita e scaliamo l'ultimo baluardo che ci separa
dalla vetta del cratere. Ritiriamo scaletta e corde, smontiamo e sistemiamo
tutto nei sacchi; sono le ore 19.30, ci rendiamo conto che non ci sarà
nessuno ad aiutarci nella discesa e, come portuali, ci carichiamo tutto
il materiale e via verso quota 1000 e le auto; per fortuna il percorso
è tutto in discesa.
Le osservazioni
Come appena detto le fumarole dell'interno del cratere e del fondo sono
raggiungibili solo con le attrezzature da roccia e con estrema difficoltà.
Ricerche sistematiche alle fumarole del Vesuvio sulle relazioni temperatura
- chimismo dei gas - fasi solide associate furono eseguite da Charles Sainte-Claire
Deville in occasione dell'eruzione del 1855. Lo stesso propose una classificazione
delle fumarole che è alla base di tutte le successive modificazioni
come quella proposta da A.Lacroix a seguito dell'eruzione del 1906. Allo
stato attuale nel fondo del cratere la deposizione di fasi solide alle
fumarole è caratteristica di quelle di bassa temperatura denominate
"fumarole solfidriche" [(o fumarole a vapor d'acqua con idrogeno solforato
(H2S) o zolfo di Deville)]. Esse sono caratterizzate dall'abbondante
sviluppo di H2O(vap) con quantità variabile
di H2S. I silicati delle rocce esposte alle loro esalazioni
vengono trasformati in opale: i minerali più frequenti sono zolfo,
gesso e vari solfati (alumogeno, allume potassico, metavoltina, voltaite).
In questo caso la temperatura raramente supera i 100°C. Mentre non
si osservano deposizioni di minerali alle fumarole dell'interno del cratere
(Tmax=90°C), quelle del fondo sono piuttosto interessanti (Tmax=101°C)
[nel 1987 la temperatura era di 210°C (P.Allard, comunicazione personale)].
Le aree esalanti del fondo cratere sono individuabili per una caratteristica
colorazione giallastra ["macchie gialle" come definite dal Parascandola
(1959]. I minerali che si rinvengono su queste aree sono: zolfo (in cristalli
rombico-bipiramidali, soventemente tramoggiati, di colore verde-olio),
gesso (in cristalli tabulari prismatici di colore biancastro), allume potassico
(in concrezioni grossolanamente fibrose di colore bianco-sporco e in rari
cristallini ottaedrici trasparentissimi), alunogeno (in cristallini tabulari
biancastri), metavoltina (in esili crosticine di colore giallo-chiaro di
cristallini tabulari esagonali), pickeringite (in cristalli aciculari biancastri)
ed alotrichite (in masse fibrose di cristalli aciculari di colore biancastro).
La genesi dello zolfo è da attribuire alla ossidazione dell'idrogeno
solforato presente nei gas delle fumarole. Analoga origine, ma con il coinvolgimento
di ioni solfato con acqua ed attacco della roccia, è da attribuire
la formazione degli altri minerali (solfati idrati) presenti; mentre le
paragenesi in questione sono coerenti con le temperature e la composizione
chimica dei gas osservate. Tutti gli studi geofisici e geochimici confermerebbero
che l'attuale attività del vulcano è caratteristica dei periodi
di "riposo" la cui durata è ancora lungi dall'essere determinata.
A tale scopo le Unità Operative dell'Osservatorio Vesuviano e di
altre Istituzioni Scientifiche sono freneticamente impegnate nella sorveglianza
continua e nella divulgazione di eventuali stati anomali.
Bibliografia